// di Marcello Marinelli //

Roma Fiumicino, destinazione Nashville (U.S.A.), agenzia Avventure nel mondo. Appuntamento col gruppo che parte da Roma, sei persone, alle ore 7.00, le altre 10 partono da Milano. Partenza prevista per le 10.30. Sono l’ultimo ad arrivare e constato che i miei compagni di viaggio sono tutti molto giovani e la cosa mi fa piacere, contrariamente ad altri viaggi dove l’età media è più alta. Si stabilisce il giusto feeling immediatamente, un’empatia spontanea. Ci dirigiamo al ‘check in’ della United Airlines dove lasciamo il bagaglio in stiva e prendiamo le nostre carte d’imbarco. Superiamo i controlli canonici aereoportuali e andiamo al gate. Entriamo in perfetto orario. Finito l’imbraco dei passeggeri l’aereo procede per il decollo.

Siamo tutti pronti con le cinture allacciate. Una volta in pista però l’aereo indugia a partire e comincia un ritardo sospetto. Dopo una mezzora la voce del pilota annuncia un problema tecnico al sistema elettronico dell’aereo che non funziona come dovrebbe. La voce parla di reset del sistema, il classico spegni e riaccendi e così che inizia la giostra dei reset. Il sistema elettronico vien spento e poi riacceso in continuazione per tentare di ovviare all’imprevisto. Non sapevo che anche per gli aerei la prima verifica è quella di spegnere e riaccendere e la cosa ci preoccupa alquanto visto che dobbiamo varcare l’oceano. La fase va avanti per un bel po’ senza risultati. Dopo parecchio tempo il pilota decide di far tornare l’aereo al punto di imbarco per continuare a monitorare il problema tecnico dell’ultima ora, un guasto improvviso ,visto che stavamo per partire. Tornati alla base ma non veniamo fatti scendere, perché immagino che i tecnici al lavoro pensano di risolvere il problema in un tempi rapidi, ma è già passata un’ora. Passano altre due ore e di risoluzione del problema nemmeno l’ombra. Dopo un’attesa estenuante e quasi rassegnata ci comunicano che il guasto non è stato risolto e che il volo è cancellato e rinviato all’indomani mattina e tante scuse per l’inconveniente. La compagnia di bandiera mette a disposizioni camere all’Hotel Ergife di via Aurelia

Cominciamo bene il viaggio’ penso tra me e me e con i miei nuovi compagni di viaggio inizia a serpeggiare il malumore ma di fronte alle contrarietà e agli imprevisti arrabbiarsi non serve a niente e iniziamo a ironizzare dell’accaduto sperando che sia l’unico e ultimo imprevisto del viaggio. Ci sbagliavamo.’ Che faccio ora? Torno a casa?’ rifletto, ma è troppo complicato ritornare a casa e poi tornare di nuovo in aeroporto, vista la distanza notevole dalla mia abitazione. I miei compagni di viaggio sono simpatici e decido di rimanere anche io. Prendiamo le stanze e ci diamo appuntamento in piscina. Ho dimenticato il costume ma chissenefrega faccio il bagno in mutande. Entriamo in piscina e notiamo con stupore le palme in bella mostra. Sembra Miami, la Miami ‘de noantri’, non siamo arrivati negli ‘states’ ma respiriamo già l’aria degli ‘states’, quando l’immaginazione ti aiuta a superare i momenti d’ ’impasse’. Dopo la cena offerta gentilmente dalla United Airlines, andiamo a nanna per essere pronti, l’indomani mattina, a iniziare il viaggio, prematuramente interrotto. Mentre sto dormendo profondamente nella mia stanza d’albergo, nel cuore della notte, verso le tre, sono svegliato da urla tremende di un uomo in preda agli effetti di sostanze allucinogene con distorsioni mentali, almeno così sembra. Il cuore comincia a battere a ritmo vertiginoso. Cosa starà succedendo, un omicidio? Un aggressione? Un’overdose di acido lisergico? Arriva la polizia ma non vado a curiosare. Il trambusto prosegue per un paio d’ore e fatico a riaddormentarmi. Che inizio di viaggio di merda e il buffo è che i miei compagni di viaggio non sentono niente del fattaccio, quindi un supplemento di merda personalizzato. L’indomani mi dicono che il tizio è stato arrestato o portato via per il trattamento sanitario obbligatorio.

Torniamo in aeroporto carichi di bagagli e speranze. Rifacciamo la trafila dell’imbarco e andiamo al gate. L’aereo non c’è ancora, brutto segno. Ci comunicano che il problema non è stato risolto perché c’è un pezzo che viene dagli Stati Uniti e che deve superare le formalità burocratiche e chi ci sarà un ulteriore ritardo. ‘Nnamo bene’ direbbe la sora Lella. La giornata è iniziata in salita. Ora deve venire questo fantomatico pezzo da oltreoceano e poi che facciamo? Lo collaudiamo in viaggio, in un viaggio che dura nove ore? La cosa non ci rassicura affatto. Passano le ore e di partire nessuna avvisaglia, cominciamo a pensare a rinunciare al viaggio, almeno una parte di noi. Questo viaggio evidentemente ‘non s’ha da fare’ e mi abituo all’idea di rinunciare e farmi rimborsare quando alla fine di un’estenuante attesa comunicano ‘in zona Cesarini’ che l’areo decollerà dopo un ritardo di quattro ore. Contrordine, si parte. Per arrivare a Nashville dobbiamo fare scalo a Washington. All’inizio avevamo cinque ore di buco tra un volo e l’altro, ora il tempo si è assottigliato, speriamo bene.

Finalmente l’aereo decolla, speriamo che abbiano stretto tutti i bulloni e le viti del pezzo sostituito altrimenti addio mondo crudele. Arriviamo a Washington con quattro ore di ritardo. Dobbiamo prendere i bagagli, imbarcarli per l’altro aereo, superare i controlli che in America sono fastidiosi, e raggiungere il gate in tempo per partire per la terra promessa, Nashville. L’aeroporto è grande, file chilometriche, cominciamo a sudare freddo. Il poliziotto al controllo passaporto comincia a farmi le domande sul perché della mia visita. Il mio inglese è peggiorato, quasi inesistente, regressione totale e conseguente faccia da ebete alle domande incalzanti del poliziotto che continua dirmi “Why?’ il perché del mio viaggio in America, pensavo che bastasse rispondere ‘sono qui per turismo’ ma evidentemente non basta, a saperlo mi preparavo il discorso. Il tempo incalza ed è rimasto poco tempo per raggiungere l’aereo per Nashville. Dopo aver superato il controllo passaporti dobbiamo superare il controllo sicurezza e raggiungere il gate. Manca poco tempo, dobbiamo sbrigarci. Mi levo le scarpe e le metto nel metal detector insieme allo zainetto. Non ho tempo di rimettermele. Comincia la folle corsa. Scalzo per non sprecare tempo. Pronti partenza via. Lo sprint è quello di Marcel Jacobs, probabilmente faccio il record del mondo dei cento metri, 9.80 ma nessuno lo omologa. Arriviamo stremati al gate e constatiamo con rabbia e contrarietà che l’aereo per la terra promessa Nashville è partito da due minuti. Li mortacci loro, non hanno ritardato la partenza neanche cinque minuti per aspettarci. Siamo in America ma non a destinazione.

Andiamo al banco della United Airlines per concordare il da fare. C’è un volo per Nashville la mattina dopo ma bisogna fare scalo a New York. Ci accompagnano ad un hotel di Washington per passare quelle tre ore per riprendere il viaggio infinito. Per fortuna che il clima tra di noi viaggiatori è buono e ridiamo di tutti questi cazzo di imprevisti. La mattina si riparte per l’aeroporto e si prende il volo per New York, di nuovo i soliti controlli di merda e per fortuna il volo parte in orario e arriva in orario, ma purtroppo per noi non è l’ultimo volo per la terra promessa, ne manca ancora uno. L’ultima tratta pare abbia un buono inizio, l’aereo si prepara a decollare in perfetto orario e io mi addormento come un angioletto nella pista di decollo. Mi sveglio dopo un paio d’ore e siamo ancora fermi in pista, ci comunicano che ci sono dei problemi, qualcuno pare che dica che c’è un busta di plastica nel motore. Ci aspettiamo un cartello con la scritta ‘State su scherzi a parte’ ma a parte gli scherzi invece è tutto vero. Guardiamo però il bicchiere mezzo pieno, siamo ancora vivi e non ci siamo sfracellati al suolo, sarà ‘magra’ ma sempre una consolazione è. Dopo tre ore di ritardo l’aereo parte con nostra grande sorpresa, ormai è un terno al lotto, tutto può succedere. Arriviamo finalmente dopo un paio d’ore alla nostra tanto agognata Nashville. Una volta arrivati e scesi dall’aereo, faccio come il Papa, mi inginocchio e bacio la terra promessa e ringrazio tutti i rappresentanti delle religioni monoteiste e, per ‘par condicio’, tutti gli dei di tutte le religioni politeiste, perché non voglio avere angoli scoperti. Andiamo a prendere la macchina già prenotata con una regolare votazione democratica sulla scelta del modello e inizia il viaggio con un paio di giorni di ritardo.

Arriviamo a Nashville la capitale del Tennesse e della musica country resa celebre dal film di Robert Altman che si intitola come la città che rappresenta le contraddizioni, le miserie e le nobiltà della città e quindi del paese tutto. L’itinerario del viaggio è anche un itinerario musicale, si comincia con il country e col museo dedicato la “Country music hall of fame”, un bellissimo museo nella downtown della città. In bella mostra tutta una serie di cimeli, di immagini, di oggetti e di una serie incredibile di dischi d’oro e di platino, in bella mostra degli innumerevoli esponenti dedicati a questo tipo di musica che nei paesi del ‘midwest’ e del sud e del sud ha un certo seguito, in alcuni casi un seguito enorme. Una delle icone più caratteristica di questo genere musicale è stata quella di Johnny Cash resa celebre da un bel film biografico “Walk the line” che ho visto prima di partire per saperne di più sull’argomento, un bel film. A Johnny Cash è dedicato anche un altro museo il “Johnny Cash Museum” che non abbiamo potuto vedere, causa il poco tempo a disposizione, per il disastro della partenza. Poco distante la via principale Brodway dove ci sono tutta una serie di locali di musica dal vivo, il centro della movida della città. Entriamo in uno di questi locali ed assistiamo ad un concerto di musica country.

Atmosfera elettrizzante e partecipata. Sarà una costante del viaggio trovare punti di attivismo frenetico e isole del divertimento nelle varie città e poi il nulla fuori da queste zone perché in America si cena presto e si va a letto presto, così almeno sembra. Ci dirigiamo verso Memphis, altra città importante del Tennesse per tre motivi prevalenti. Il primo perché qui il 4 aprile del 1968 trovò la morte per mano di un assassinio ancora oggi ignoto il leader nero pacifista Martin Luther King che aveva avuto un sogno , quello di un‘ America migliore, ma quel sogno venne infranto da un colpo di fucile di precisione alla testa sparato all’hotel Lorraine quando il leader si affacciò al secondo piano. L’omaggio al grande leader nero è uno dei momenti più toccanti del viaggio, perché il luoghi di un viaggio sono anche i luoghi della storia, quando la geografia e la storia si incontrano e formano un unicum e quindi anche i luoghi della memoria. Davanti a quel motel , che è diventato un museo dedicato alla memoria del grande leader, la commozione, a tanti anni di distanza dal tragico evento, è ancora forte e sentita e quella ferita aperta non è ancora rimarginata.

Il secondo e il terzo motivo di interesse sono musicali. Memphis ha dato i natali al celebre Elvis Presley e la visita a Graceland la sua dimora dove morì nel 1977, la seconda residenza più famosa e visitata dopo la Casa bianca, è degna di interesse e di curiosità. Terzo motivo, ma il secondo in ordine di importanza, è che questa città è stato uno dei crocevia della grande musica nera, qui sono nati una miriade di grandi musicisti neri (Aretha Franklin in primis, una delle voci più belle della storia della musica. Da vedere assolutamente il film, commovente, biografico dedicato a lei ‘Respect- the queen arrives’ su Netflix), o qui hanno iniziato le loro carriere e qui è stata fondata una delle case discografiche più importante della musica soul, la Stax Record. Nella nostra breve visita la musica soul si sente ovunque, la città è impregnata di musica soul, il cosiddetto Memphis sound.

Nel piccolo centro della città però, ‘round midnight’, la situazione però non è delle migliori. Nel centro della movida, una strada piena di locali che sprigionano onde d’urto musicali di alto livello, sono poche le persone che girano per strada o che stanno dentro e fuori dai locali e le numerose auto della polizia che stazionano ad ogni angolo della strada e le transenne che delimitano la zona pedonale con cartelli tipo “in questa area non sono ammesse armi” non favoriscono un’atmosfera distesa e rilassata e non invogliano ad entrare nei locali, anzi sembra che da un momento e l’altro potrebbe scoppiare una sparatoria tra gang. Forse è la suggestione o il primo impatto con realtà diverse o la prima serata a zonzo per le strade d’America, ma la prudenza in certi casi non è mai troppa e Memphis, secondo le cronache, è una delle città più pericolose, quindi un rapido giro e rientro in albergo. Con il senno di poi, forse avremmo dovuto infrangere il muro della diffidenza ed entrare in uno di quei locali e ballare a ritmo black, ma sarà per la prossima, stavolta è andata così.

Si riparte in direzione New Orleans tra sconfinate piantagioni di tabacco, fattorie e piccole cittadine sparse qua e là. Si alternano cittadine ordinate e curate a cittadine ‘sgarrupate’. Questo è anche e soprattutto un viaggio musicale, tra le altre cose, e la meta d’obbligo lungo la strada, la via del blues, nello stato del Mississippi, a Clarksdale, all’incrocio tra la U.S Route 61 e la U.S. Route 49, dove la leggenda narra che il primo grande blues man della storia, il leggendario Robert Johnson, in questo luogo abbia fatto un patto col diavolo per acquisire una tecnica chitarristica e talento fuori dall’ordinario. Questo straordinario chitarrista a cui una miriade di musicisti moderni bianchi e neri (Keith Richard e Eric Clapton fra i tanti e tra i più famosi) hanno tributato onori è morto a soli 27 anni, in circostanze misteriose, inaugurando la triste conta dei grandi cantanti morti a quell’età (Jim Morrison, Janis Joplin, Kurt Kobain, Brian Auger, Amy Wynehouse, Jimi Hendrix, la maledizione del 27). Ci siamo fermati a mangiare in un locale di questo posto storico e a rendere omaggio al grande musicista. Fuori dalla locanda c’è un murales a lui dedicato e al centro dell’incrocio il monumento composto da tre grandi chitarre blu. L’incrocio è situato in una zona depressa ma l’alto valore simbolico e storico lo rendono un posto superlativo. In questi luoghi è nata la musica moderna. Prima in forma di ‘work songs’ i canti dei lavoro nelle infinite distese di piantagioni di cotone e poi diventati blues. Il blues è il substrato di tutta la musica. All’inizio fu il blues. Il rock’n’roll, il boogie woogie, il jazz, la musica pop, tutto discende dal blues. In questi luoghi pianeggianti dove si è consumata una delle tragedie dell’umanità, un’umanità che ha reso schiava un’altra parte di umanità, è nata la musica moderna, una sorte di riscatto di compensazione dalle tragedie umane. Una musica nata per alleviare una vita di privazioni, di stenti e di duro lavoro, una musica che ha dato un parziale riscatto all’umanità africana deportata in America in schiavitù e ha costruito l’identità afroamericana. (Devil at the Crossroads è un bel film documentario sulla figura del leggendario Robert Johnson, su Netflix. C’è anche un bel cofanetto curato da Martin Scorsese, intitolato ‘Blues’ di quattro DVD. Quattro film documentari ambientati in questi luoghi diretti dallo stesso Martin Scorsese, Wim Wenders, Clint Eastwood e Charles Burnett. Ce n’è anche una versione di 7 dvd).

Si riparte in direzione New Orleans, ma visto che a strada è lunga si fa tappa intermedia a Natchez, una piccola cittadina, sempre nello stato del Mississippi. Sulle strade americane in questi paraggi il paesaggio è uniforme. Quattro corsie, con uno spartitraffico enorme e foreste a destra e sinistra inframmezzate da piccole cittadine e da case sparse. Gli incroci sono simili e quindi potresti essere in un qualsiasi incrocio di un qualsiasi stato del sud, vista la somiglianza. Tutto così dispersivo. Nessuno gira a piedi, è tutto a dimensione di automobile. I vetri oscurati del 90% delle automobili rendono tutto molto inquietante. A Natchez a mezzanotte non vola una mosca, strade deserte. Decidiamo di andare a prendere da mangiare da Burger King. Ordiniamo e consumiamo nel parcheggio del fast food. Sparute automobili prendono da mangiare al ‘drive in’ del locale. Ci rimettiamo in macchina per tornare in albergo. La compagna di viaggio alla guida dimentica di accendere le luci ma se ne accorge subito e le accende ma la cosa non è sfuggita alla pattuglia di polizia sbucata da chissà dove, lampeggianti come nella migliore tradizione cinematografica ci intimano di fermarci. Accostiamo poco più avanti. Scende un poliziotto bianco sorridente e chiede lumi alla nostra guidatrice che mortificata balbetta al poliziotto le sue scuse. Il poliziotto visto che siamo stranieri e turisti ci lascia andare, scampato pericolo. Riprendiamo il cammino e poco più avanti , strade desertissime, non rispettiamo uno stop, di nuovo i lampeggianti di un’altra pattuglia, sbucata anch’essa da chissà dove, le capacità mimetiche della polizia incredibili. Scende un poliziotto nero per niente sorridente. Ci illumina con la torcia e fa un ‘cazziatone’ alla nostra autista ormai in preda al panico sul mancato stop ma senza conseguente e anche questo poliziotto ci lascia andare. La sensazione è quella di una città col coprifuoco e con un controllo asfissiante del territorio o forse solo una coincidenza di fattori che ce la fa immaginare così.

Si riparte l’indomani per New Orleans, la mitica New Orleans, la città sul fiume Mississippi, in Louisiana, affacciata sul golfo del Messico. Per me che sono un appassionato di musica afro americana, questo luogo come i precedenti è un una linea continua di interesse musicale, siamo nel cuore della musica nera nella sua variate jazz. E’ qui che inizia l’epopea di questa musica nella sua forma dixieland dei primordi, all’inizio del secolo scorso. E’ la città di ‘Satchmo’ il grande Luois Armstrong, uno delle figure più importanti della storia del jazz a cui sono dedicati un parco con relative statue e un importante festival. Una volta lasciati i bagagli in albergo nella ‘down town’ subito nel quartiere francese della città, uno dei pochi centri storici di una città americana. Nei vicoli del quartiere francese c’è l’apoteosi di suoni, colori, profumi . L’atmosfera di quel quartiere è quella di un carnevale perenne. Gruppi musicali, le cosiddette ‘marchin band’ con sassofono, trombe, tromboni e basso tuba suonano alla maniera della tradizione in ogni angolo. Bambini suonano tamburi improvvisati con maestria percussiva e personaggi eccentrici fanno da contorno a questo incredibile posto. Sciame di ragazze ‘over size’ impazzano tra le vie affollate. In Italia è in voga il ‘body shaming’, in America invece si esibisce l’orgoglio grasso, ragazze mostrano in abiti succinti i loro corpi ‘ciccioni’ e l’idea è che ci sia la moda ‘over size’, nessuna vergogna per le taglie forti. Il quartiere è tutta una sequela ininterrotta di locali che offrono concerti dal vivo. Il luna park dei suoni fuoriesce da ogni anfratto.

Musica sui marciapiedi, musica nei locali, musica nelle automobili che transitano con volumi altissimi che evidenziano impianti stereo di altissimo livello. Motociclette musicali, biciclette con casse annesse, radio portatili, tutto è musica e non ho dubbi che se vivessi in questi paraggi andrei anche io in giro con una bicicletta con una grande cassa con musica ad alto volume, è così ‘cool’ sentire questa babele di suoni intorno, mi mette decisamente di buon umore. Ci immergiamo nella ‘movida’ della città ed assistiamo ad un paio di concerti di musica dal vivo, uno di cover r’n’b con tanto di balli annessi e uno di musica jazz tradizionale degli albori del jazz in omaggio alla storia gloriosa della musica jazz. Qui la musica è a ciclo continuo, non so se va avanti fino all’alba, ma sicuramente inizia la mattina presto. Sempre in omaggio alla tradizione prendiamo il battello per un giro sul fiume Mississippi con annessa orchestra jazz, il giro è deludente ma permette uno sguardo diverso della città dall’acqua, della serie: è bello comunque esserci e navigare il fiume della storia. Il giorno dopo prima di riprendere il nostro viaggio ‘on the road’ andiamo ad assistere ad una messa ‘gospel’ in un quartiere popolare della città. La chiesa è spoglia, una chiesa priva di lussi esteriori ma che si permette il lusso della musica dal vivo e del coro ad essa collegato. È una grande emozione ascoltare la brava sassofonista intonare un pezzo gospel in solitaria o insieme al coro e il trombonista e al suonatore di basso tuba. Mi viene la pelle d’oca ascoltare questa musica in una chiesa. E’ un bello omaggio a Dio, la forma più sublime di omaggiare Dio con musica altrettanto sublime, la musica nera al servizio della divinità, un inno alla gioia e alla speranza . La messa è partecipata con applausi e con ritmico battito di mano che accompagna il coro e i musicisti. Una volta finita la cerimonia con una menzione speciale al Santo Protettore laico della città, Louis Armostrong e al festival a lui dedicato, una parata inaspettata per le vie del quartiere di pubblicità all’evento musicale con tanto di bande musicali, saltimbanchi e personaggi pittoreschi che riempiono di belle sensazioni le strade del quartiere popolare. Un groviglio inestricabile di musica e danza. Decisamente un bel fuori programma e visto che la maggior parte dei musicisti e dei presenti è nera, qualcuno ci ricorda con una scritta sulla porta che la vita dei neri conta ’Black lives matter’, è triste ricordarlo ma doveroso e necessario perché la ferita aperta con la schiavitù è ancora aperta. Emozioni uniche ed irripetibili, scampoli e frammenti di felicità.

Si riparte verso la Florida, verso lo stato più a sud del paese. Prima di arrivare a Key West l’ultimo avamposto a sud ci sono un paio di tappe intermedie, Pensacola Beach e Cocoa Beach, località turistiche tipiche della Florida, spiagge grandi di sabbia fina e bianca e hotel a ridosso costa. Le spiagge sono enormi e gli alberghi non particolarmente belli, sembrano stile Unione Sovietica, quindi sembra di essere in Crimea, ma forse ho esagerato anche perché non sono mai stato in Crimea, magari in Crimea sembra di stare in Florida, della serie: i paradossi della geografia. Comunque bagno sull’oceano come da copione e bagno sul golfo del Messico, quindi mar dei Caraibi, perché la Florida è una penisola che è bagnata da tutti e i mari. La cosa sorprendente è che l’acqua è caldissima, quasi imbarazzante, in tutti e due i versanti. La temperatura esterna è altissima, caldo asfissiante e grande umidità, temperatura in linea con quelle italiche che in quest’anno (2022) hanno toccato livelli di durata da guinness dei primati, quindi già temprato alle temperature roventi. Presenza di alghe sul bagno asciuga e nell’acqua. Per raggiungere l’acqua senza alghe bisogna spostarsi lontano da riva, ma visto che non mi fido di mari non battuti frequentemente, rimango vicino alle mie adorate alghe, ma, a proposito, ad Alghero ci sono le alghe? Stendo un velo pietoso su questa battutaccia e vado oltre.

Dopo una visita a Cape Canaveral al ‘Kennedy space center’ dove è il centro della NASA l’agenzia spaziale da dove è partita la spedizione sulla luna e da dove partono ancora le missioni spaziali, fichissima la simulazione di un volo sullo spazio dopo un’ora e mezza di fila, proseguiamo il nostro viaggio. Arriviamo a Miami, ma la vedremo al ritorno dalle isole Keys estrema propaggine dello stato. Queste isole della lunghezza di 200 km sono tutte collegate tra loro da una serie di ponti fino all’isola più a sud che dista solo 80 miglia da Cuba. Mi sono innamorato di queste isole vedendo una serie TV ‘Bloodline’ ambientata nei paraggi ma, una volta arrivati a destinazione nel punto più a sud Key West, delle spiagge cristalline caraibiche neanche l’ombra, anzi la prima spiaggia che vedo è così brutta che al confronto Coccia de Morto sembrano le Maldive. Troviamo una spiaggia decente e ci passiamo il pomeriggio godendo il sole dei caraibi e l’acqua trasparente. La spiaggia è bella ma niente paragonabile al ricordo di quelle della serie, forse avranno usato dei filtri, penso io, invece le spiagge belle ci sono e sono fantastiche ma bisogna andarsele ‘a capà’, non ci sono dappertutto. I miei super smart giovani compagni di viaggio individuano, dopo le mie rimostranze sulla mancanza di belle spiagge, quelle della serie TV e al ritorno verso Miami ci fermiamo in una di queste e il colpo d’occhio è fenomenale però 150 km più a nord da Key West il posto in cui risiedevamo. Key West il centro più mondano dell’arcipelago è bel posto turistico con annesso parco divertimenti notturno. Di giorno andiamo a visitare una delle tante case di Ernest Hemingway, il grande scrittore e anche grande seduttore (si è sposato quattro volte e innumerevoli sono le sue storie d’amore, che anche qui ha lascito il segno). La casa anche se non vista mare è bellissima esteticamente e di storia è abitata da una colonia felina e i tanti gatti sparsi per la casa sono gli unici residenti che la rendono comunque vissuta.

La sera andiamo in giro per il centro della cittadina e anche se non è alta stagione c’è parecchia gente e i locali sono molti e l’immancabile musica dal vivo. Cominciamo a curiosare per i locali passando da un luogo all’altro cercando il posto ‘giusto’ e in questo girovagare ci imbattiamo in un locale particolare. I miei compagni di viaggio entrano in un posto e poi escono immediatamente ridendo e mi fanno ‘Vai entra vai a vedere’. Io incuriosito entro e mi vedo immediatamente un signore anziano, forse avrà la mia età (gli anziani sono sempre gli altri) o forse di più o di meno, ma ha una certa età, ma ovviamente non è l’età che mi colpisce, il fatto è che è seduto sullo sgabello del bancone completamente nudo col suo ‘pisellino’ in posizione ‘stand by’ e con la pancia sovrastante che gli impedisce la vista del suo arnese a riposo. Il pene potrebbe far capolino con delle sollecitazioni, ma non è una dark room, con orgia annessa, è soltanto una discoteca con dei nudisti. Oltre al signore descritto c’è un’altra donna nuda, anch’essa non giovane e poi una coppia di giovani ragazze in topless che ballano come niente fosse. La maggioranza degli astanti è vestita e la musica è buona e io ci rimarrei anche ma ai miei compagni di viaggio ‘nun j’aregge la pompa’ a ballare con delle persone nude al fianco e anche se la nudità non è preludio ad un’orgia di inaudite proporzioni, è sempre un luogo aperto al pubblico, e comunque se non si è abituati, la nudità integrale è un po’ imbarazzante e decidiamo di continuare il giro dei locali notturni, in ogni caso per una discoteca nudista servono gli armadietti per riporre i vestiti, come in palestra. Mi sarebbe piaciuto intervistare le persone nude lì presenti per capire il senso di quella nudità in una discoteca ma non sono un giornalista e la mia curiosità rimane insoddisfatta. In ogni caso le discoteche nudiste per me erano una novità assoluta, non le ho mai viste anche rappresentate nelle molteplici serie televisive e film statunitensi. Poco dopo, nel nostro peregrinare nel parco divertimenti, davanti ad una porta illuminata, tra le altre, un mio compagno di viaggio mi fa ridendo sotto i baffi: ”C’è bella musica jazz dentro, vai a vedere”.

Capisco l’antifona e il consiglio trabocchetto e mi aspetto entrando che entrando il mitico uomo dell’impermeabile presente in tutti i continenti lo apra al mio ingresso e mi faccia vedere il suo membro eretto , a differenza dell’uomo in discoteca, in modo che io possa giocare a tirare i cerchietti, ma una volta entrato trovo una situazione già rappresentata nella cinematografia, ovvero il mitico locale strip-tease, lap-dance. La scena che ho davanti agli occhi è divertente. Una ragazza bellissima accovacciata sul podio dov’è posizionata la pertica, in posizione a 90° sculettando alla moda del ‘twerking’ giamaicano. Dietro di lei un paio di uomini o ragazzi, non ho fatto in tempo a focalizzarli, che stavano a cinque centimetri dalla magnifica visione dell’immagine iconica dell’origine dell’umanità, da dove sgorga umanità, sua maestà la vulva, appellativo ‘politically correct’. Guardavano da esperti dottori in ginecologia e infilavano bigliettoni in quello che rimaneva delle mutandine della spogliarellista o forse erano otorinolaringoiatri che cercavano di vedere se l’ugola fosse arrossata, da quella prospettiva visiva si potevano vedere distintamente tutti gli organi interni. Ora sicuramente quella vista, da quel punto d’osservazione, è un panorama stupendo, al pari dei tramonti sul mare o della vista del Gran Canyon o della Grande Muraglia, ma cessa di essere interessante, almeno per me, se vedo quel panorama come se fosse una cosa, ovvero vedere un pezzo di corpo distinto dalla sua persona . Non riesco a godere di una vista così sublime se non c’è interazione (niente da dire su una ipotetica interazione o su un suo potenziale soddisfacimento perché sono faccende personali e non pubbliche) con la persona e quindi non mi sarei mai avvicinato a quella minima distanza per mancanza di interesse legata alla mancanza di interazione e per pudore.

Sarei anche rimasto per curiosità a vedere come funzionava la serata e per capire la situazione ma sono andato via subito per il freddo. Gli americani hanno seri problemi con la Russia, con la Cina e più in generale con chi non la pensa come loro (inguaribili imperialisti), ma hanno anche un grosso problema con l’aria condizionata. Si passa, come nel periodo estivo, dai 40 gradi esterni a temperature glaciali all’interno con uno sbalzo termico incredibile. Giravo sempre con la felpa, della serie : mettiti la felpa, togliti la felpa. Aria condizionata a palla, tanto è vero che passeggiando per i locali sui marciapiedi l’effetto dell’aria condizionata ti raggiunge all’esterno. Fatte queste debite precisazioni capite il motivo della mia uscita quasi immediata dal locale, avevo dimenticato la felpa, quindi niente curiosare nel locale strip-tease. L’indomani si parte per Miami, la nostra ultima tappa per gli stati del Sud.

Prima di arrivare all’hotel di Miami Beach ci fermiamo nella downtown e precisamente nella ‘Little Havana’ dove c’è il quartiere degli esuli cubani e qui si respira musica salsa e reggeaton e soprattutto anticastrismo. Mi fermo davanti al monumento dei martiri cubani morti durante lo sbarco nella Baia dei Porci, ovvero durante il tentativo della CIA per mezzo degli esuli cubani anticastristi, di rovesciare il regime di Fidel Castro ma purtroppo per i cubani di Miami non riesco a sodalizzare con loro su questo punto e nonostante i limiti e i crimini in nome del comunismo, non riesco a condannare l’esperienza cubana che rimane sempre nel mio cuore, nonostante i suoi limiti, di un’idea che ha nutrito il mio desiderio di utopia andata in frantumi successivamente. Anni prima avevo visitato a Cuba il museo che celebra all’incontrario il successo dei cubani nel respingere l’invasione, ad ogni paese i suoi martiri ed a ogni persona di pensarla diversamente e magari, visto che sto parlando di eventi accaduti nel 1961, un giorno, forse, i castristi e gli anticastristi troveranno il modi di convivere democraticamente rinunciando entrambi alle loro granitiche certezze. Poco distante un’area industriale riconvertita alla ‘street art’ ricca di magnifici graffiti e dentro quest’area un museo vero e proprio , una galleria d’arte dei più famosi artisti del genere che cambia di volta in volta esposizione ma che fa rimanere intatta la qualità dei lavori esposti, decisamente, per i miei occhi, il posto più bello di Miami.

Miami beach conserva intatte le aspettative di città vivace anche la vivacità non è ovunque e generalizzata, diciamo che ci sono isole di vivacità, ma dentro le isole la vivacità è notevole e i personaggi pittoreschi ed eccentrici popolano il lungo lungo-mare, l’Ocean drive’. Decisamente un bel colpo d’occhio la spiaggia con annessi alberghi grattacieli. Spiaggia di sabbia fina, mare cristallino e percorso super organizzato per ‘runner’, ciclisti e pattinatori o semplici camminatori come me. Gli ‘skyliner’ delle città americane hanno sempre il loro ‘porco’ fascino e quello di Miami in particolare, visto anche la sua vicinanza all’oceano. Mi godo la lunga camminata in solitudine, con i miei compagni di viaggio affidiamo al caso il nostro incontro in giro per la città, caso che ci fa incontrare qualche ora dopo lungo la spiaggia con annesso bagno rigenerante. Arrivo la sera in albergo distrutto e per la prima volta declino l’invito ad uscire per andare nella discoteca più ‘in’ della Miami della downtown. E’ richiesto un abbigliamento consono, quindi pantaloni lunghi e camicia, ma gli unici pantaloni lunghi li ho sporcati nel terreno paludoso della riserva naturale di Everglades regno degli alligatori (visti in quantità industriali), quindi anche volendo non avrei potuto entrare. I miei compagni di viaggio si preparano per la serata e quando arrivano, dopo una lunga fila all’entrata, trovano una discoteca gremita e le immancabili spogliarelliste di ‘lap dance’ che si esibiscono in numeri di alta acrobazia. La maggior parte dei presenti lancia banconote verso le postazioni delle ragazze senza dispendio di mezzi, sono talmente tanti i bigliettoni che non raggiungono gli slip delle ragazze che la maggior parte cadono per terra e poi arriva l’omino che con una scopa, raccoglie le banconote per terra e le mette in una cesta, la metafora dei nostri tempi: denaro e sesso, ‘this is America’. Le ragazze prendono per mano i miei compagni di viaggi volendoli portare altrove a consumare altri drink o a fare sesso, ma visto che respingono le lusinghe, non sappiamo con precisione dove sarebbero approdati.

Ormai siamo arrivati alla fine del viaggio dopo svariati migliaia di chilometri in macchina e siamo pronti per il rientro ma ci rimane il tempo di farci un giretto per il centro di Chigago che è l’ultimo scalo per il rientro in Italia. Ebbro di buone sensazioni e di pensieri contraddittori su questo paese che bene o male condiziona il corso del mondo mi ritengo soddisfatto e ringrazio il destino che mi ha portato in questi paraggi, i paraggi della memoria storica e soprattutto i paraggi della mia memoria musicale ed è sempre bello annusare angoli di mondo.