// di Guido Michelone //
Nel 2012 ho la fortuna di intervistare niente meno che Francisco Sánchez Gómez, per tutti Paco de Lucía (nato a Algeciras, Spagna, il 21 dicembre 1947 e morto a Cancún, Messico, il 25 febbraio 2014) l’epoca il maggior chitarrista flamenco e senza dubbio fra i più grandi in assoluto di ogni tempo. La curiosità verso ogni genere musicali compreso il classico, a cui dedica un omaggio a Manuel De Falla) lo spinge anche a confrontarsi con il jazz, inserendo due brani oggi definibili fusion o world-jazz nell’album Fuente y Caudal (1973). L’occasione speciale però arriva con una spettacolare jam session sfruttata poi nel 33 giri Friday Night in San Francisco (1980) che vende ben 5 milioni di copie: il disco è accreditato anche all’inglese John McLaughlin e all’americano Al di Meola, anch’essi chitarristi che, con l’elettrica, inventano il jazz-rock a fine anni Sessanta: qui però i tre sono alle chitarre acustiche, dando vita a un sound unico indefinibile che verrà perpetuato ancora solo tre anni dopo con Passion, Grace & Fire (in studio e, quasi come una reunion, nel 1996 con un terzo album The Guitar Trio, ancora in studio. Paco de Lucía, sintetico, ma precisissimo, ripsonde a quest’intervista – ancora inedita in italiano, ma uscita nelle lingue castigliana e inglese per due edizioni universitarie – lasciando la positiva impressione di un artista ancora innamorato della vita e della musica; all’epoca è da poco uscito En Vivo conciertos España 2010 (2 CD + DVD, 2011), mentre il lavoro a cui accenna alla fine esordirà postumo nel 2014: Canción Andaluza.
Paco, puoi raccontarci brevemente la tua carriera musicale?
Quando ho iniziato a suonare la chitarra, ovviamente non ho pensato a qualcosa come una carriera. Sono cresciuto ad Algeciras, in una famiglia molto povera, e suonare la chitarra ha aiutato la mia famiglia a sopravvivere. I primi anni sono stati molto duri e devo confessare che non mi piaceva suonare. Era solo un tipo di lavoro come un altro. Solo molti anni dopo, quando guadagnavo abbastanza, ho scoperto il piacere di fare musica. Oggi mi sento benedetto e molto privilegiato per aver potuto incontrare ed esibirmi con alcuni dei migliori musicisti al mondo. Quando ero piccolo, il flamenco non si sentiva nemmeno alla radio, e mi rende felice che ora la mia musica sia così rispettata in tutto il mondo.
Per te, Paco, la tua musica è dunque flamenco, flamenco-jazz, fusion o altri tipi di musica?
Mi sono sempre sentito e sarò sempre un chitarrista di flamenco. Benché abbia praticato molti stili diversi suonando con alcuni dei migliori musicisti jazz del mondo, la mia casa è il flamenco.
Da musicista, Paco, cos’è il jazz per te? Pensi sia corretto, come fanno molti tuoi colleghi chitarristi pop, rock, folk, parlare di jazz come forma di arte moderna dei nostri tempi?
Sì, il jazz è una delle forme più importanti dell’arte contemporanea. Per me, suonare con musicisti jazz mi ha fatto sperimentare la libertà nella musica. Come saprai, il flamenco tradizionale utilizzava strutture molto rigide, che di solito non lasciano molto spazio agli esperimenti, ma la libertà nella musica è molto importante per lo sviluppo della creatività. Forse la creatività è l’aspetto più importante che io ritrovo nel jazz.
Quali sono le persone, gli artisti, i suonatori che ti hanno influenzato di più e quali chitarristi preferisci in generale?
Ovviamente le persone più importanti della mia vita sono state mio padre e mio fratello maggiore, che mi hanno insegnato a suonare la chitarra quando ero piccolo. In seguito ho ascoltato tutti i grandi chitarristi e compositori classici spagnoli, e da giovane ho sperimentato il jazz. Ho iniziato a sviluppare il mio stile molto presto e ho cercato di non farmi influenzare da altri chitarristi. Ovviamente la mia collaborazione con John McLaughlin e Al Di Meola ha aperto la mia mente all’improvvisazione, ma stavo comunque cercando di mantenere sempre la mia identità.
E c’è un’identità del jazz spagnolo?
Non so se si possa parlare di identità del jazz spagnolo, ma è molto interessante vedere quanti musicisti jazz spagnoli conoscono il flamenco. Quindi forse possiamo parlare di un’identità musicale spagnola, piuttosto che di un’identità del jazz spagnolo.
Com’era la dittatura franchista con il jazz?
Il franchismo considerava il jazz e il flamenco qualcosa di degenerato. Solo quando hanno visto che i turisti erano attratti dal flamenco questa musica è stata più rispettata. E, naturalmente, la gente ha sempre ascoltato musica jazz; non puoi opprimerlo per sempre.
Qual è la situazione attuale della musica in Spagna?
Anche se l’influenza anglo-americana è molto forte, come in tutto il mondo, sono molto felice che abbiamo ancora un’identità spagnola nella musica. In Spagna la musica fa parte della nostra vita, come il cibo.
Puoi parlarci dei tuoi progetti attuali per il presente e per il futuro?
Siamo stati in tour tutto l’anno [2011], da febbraio, e siamo piuttosto stanchi, ma devo preparare una nuova registrazione e sto pensando di pubblicare un album dal vivo con le registrazioni di questo tour, e sono progettando anche un nuovo album in studio per presto.
