// di Bounty Miller //
Kenny Dorham – “Whistle Stop”, 1961
Per il jazz a volte non tutto il mondo è paese: qualche anno fa, cinque critici britannici hanno scelto “Whistle Stop” come uno dei 200 album, tra quelli registrati dopo la seconda guerra mondiale, da includere in una collezione jazz di base. Giudizio lusinghiero non condiviso dalla critica del resto del mondo, che spesso fa orecchie da mercante. L’album fu realizzato nel 1961 un anno assai intenso per l’etichetta di Alfred Lion, forse per eccedenza di produzioni importanti, “Whistle Stop” passò quasi in secondo piano finendo in una specie di limbo. Eppure, l’album è un vero concet, sostanziandosi attraverso sette composizioni, tutta farina del sacco del trombettista che consentono ai sodali di esplorare una varietà di stati d’animo e approcci ritmici, mantenendo l’ascoltatore costantemente allo stato di veglia.
Il quintetto guidato da Kenny Dorham alla tromba, con Hank Mobley al sax tenore, Kenny Drew al piano, Paul Chambers al basso e Philly Joe Jones alla batteria, rappresentava quanto di meglio si potesse chiedere in quel contesto ed in quel dato momento storico, eppure questo come altri album del trombettista, ad esempio “Showboat”, vennero ingiustamente trascurati. Dorham è stato un musicista di talento: “Mi ero preparato per succedere a Fats Navarro e a Diz”, dichiarò una volta il trombettista “Pensavo di essere seduto una sedia calda. Stavo seguendo i dettami di due trombettisti più rappresentativi della storia del jazz”. Dorham aveva registrato con Bud Powell; era stato membro regolare del quintetto di Charlie Parker con cui fece una tournée a Parigi, sostituito il compianto Clifford Brown nel quintetto Max Roach nel 1956 e collaborato con Thelonious Monk, Andrew Hill, Art Blakey & the Jazz Messengers e Joe Henderson, il partner più frequente. Kenny Dorham è stato descritto da Gary Giddins come “virtualmente sinonimo di sottovalutato”. Sebbene gli album prodotti per la Blue Note e altre etichette contengano alcune delle migliori esecuzioni degli anni ’50 e ’60, non ha mai attirato l’attenzione del del vasto pubblico come Donald Byrd, Freddie Hubbard o Lee Morgan.
A parte le numerose apparizioni come sideman, le pubblicazioni a suo nome reggono il confronto con qualsiasi altro prodotto del catalogo Blue Note. Dopo il debutto come leader per con “Afro-Cuban” del 1955 e “Round About Midnight” al Café Bohemia del 1956, non aveva realizzato nessun altro album a titolo personale in casa Lion fino a “Whistle Stop”, un progetto che sembrava nascere sotto buoni auspici e dove Dorham si distinse non solo come trombettista ma soprattutto per un’efficace vena autorale. Nessuna delle sette delle composizioni, però, nonostante l’alta qualità del line-up, l’impeccabile esecuzione e le ricchezza di spunti melodici, fu ripresa in seguito diventando uno standard. L’iniziale “Philly Twist” e la title-track “Whistle Stop” da sole valgono il prezzo della corsa, così come “Sunrise In Mexico” e “Dorham’s Epitaph” potrebbero essere due validi case study di alta scuola hard bop: tutto l’album è un ottimo concentrato di blues e swing a tinte soulful, che riprende gli insegnamento e le intuizioni dello sciamano Art Blakey, mescolate alle regole auree dei maestri d’arme del bop tradizionale. Un album di questa caratura meriterebbe, di certo, più attenzione.

EXTRA LARGE
Kenny Dorham – “Show Boat”, 1961
Questa è una delle migliori sessioni di Dorham dell’era hard-bop. Il geniale trombettista è accompagnato da Jimmy Heath al tenore, Kenny Drew al piano, Jimmy Garrison al basso e Art Taylor alla batteria. L’album si sviluppa attraverso sei famosi standard di Jerome Kern e Oscar Hammerstain II, ma tutte le melodie e le strutture di “Why Do I Love You?”, “Nobody Else But Me”, “Can’t Help Lovin’ Dat Man”, “Make Believe”, “Ol’ Man River” e “Bill” sono rinverdite, rinvigorite e riproposte con un piglio decisamente inedito, dove al tratto levigato ed elegante della tromba di Dorham fa da eco il più irruento fraseggio del sax di Jinny Heath. Tra i due fiati si stabilisce una sorta di tacito accordo, fatto di complicità ed elegante competizione in un call and response da manuale, mentre il piano di Kenny Drew sembra fare da garante al compromesso, acquietando gli animi ed abbassando i toni con piccoli inserti, i quali si trasformano in camere di decompressione, supportato dalle retrovie da un basso e da una batteria che sembrano impartire lezioni di precisione da alta accademia del jazz. “Show Boat”, registrato il 9 dicembre del 1960 a New York, costituisce uno quelli che potremmo definire “set all stars”, dove l’equilibrio tra i comprimari raggiunge un break-even-point, ossia il il punto di pareggio creativo su un piano estremamente paritetico e nel bilancio complessivo del progetto. Pubblicato nel 1961, l’album segna uno dei momenti più fertili della carriera di Kenny Dorham, artista di talento, ancora tutto da (ri)scoprire. Consigliato agli amanti del jazz a presa rapida, diretto ed immediato, soprattutto facile da metabolizzare.
