// di Gina Ambrosi //
Al Grey – “Boss Bone”, 1964
Al Gray è stato un trombonista di rango, purtroppo poco conosciuto, eppure dopo un esordio brillante con le orchestre di Benny Carter e Lionel Hampton, ha realizzato più di trenta album come band-leader e circa una ventina come gregario con Count Basie, registrando con Frank Sinatra ed Ella Fritzgerald. Molte le collaborazioni importanti con Dizzy Gillespie, Arnette Cobb, Johnny Hodges, Quincy Jones, Paul Quinichette, Clark Terry e molti altri. In “Boss Bone” riesce a creare spesso, sia pure con un ensemble ridotto, l’atmosfera della big band e della grande hall, dove il jazz oltre ad essere ascoltato, veniva anche ballato.
Nove componimenti brevi, immediati e senza troppi ghirigori improvvisativi: sei composizioni originali e tre standard, tra cui l’iniziale “Smile”, firmata da Charlie Chaplin, restituita con un gusto raffinato, quasi cinematografico e “Mona Lisa”, lanciata da Nat King Cole. Il disco spazia tra swing e bop, senza mai tradire la naturale predisposizione alla sintassi del blues con il classico taglio metropolitano tipico di Chicago; e qui gioca un ruolo fondamentale la chitarra di Leo Blevins, basta ascoltare “Tacos and Grits” ; ottimo il lavoro in squadra di John Young al piano, Ike Isaacs al basso e Phil Thomas alla batteria. I momenti più esaltanti dell’album sono determinati proprio dagli interscambi fra il trombone del leader e la chitarra, tra i quali emergono “Salty Mama” e “The Give Off”. Registrato al Ter-Mar Studios di Chicago il 17 dicembre del 1963 e dato alle stampe dall’etichetta ARGO l’anno successivo, “Boss Bone” è certamente uno dei momenti più significativi della carriera di Al Grey.

Roy Eldridge – “Happy Time”, 1975
Questo può essere considerato un album-compromesso fra musica e canzoni. Roy Eldridge, in una splendida stampa PABLO originale del 1975, suona e canta, stabilendo un dosaggio perfetto tra voce e strumento. “Happy Time”, registrato il giugno del 1974 a New York, mette in luce la vocalità adamantina e graffiante al contempo, tipica di un vecchio cantore di storie blues, mentre la chitarra di Joe Pass ricama splendide armonie che arricchiscono la progressione vocale del trombettista, che quando imbraccia lo strumento offre assoli brevi, ma mordenti, e di grande effetto, talvolta struggenti con l’uso dell’harmon mute. Dieci standard disposti in un’ottima sequenza e supportati da un’inossidabile sezione ritmica: Oscar Peterson al piano, Ray Brown al basso ed Eddie Locke alla batteria. L’album che scorre piacevole dal primo all’ultimo microsolco, fu una felice un’intuizione di Norman Granz, che in quel periodo organizzava concerti in lungo e largo per il mondo, facendo da promoter a numerosi artisti, tra i quali non mancava mai il “vecchio” Roy.
L’album, vocale e strumentale, venne concepito come nuovo veicolo anche di rilancio per uno dei più venerati “stilisti” del jazz, dove la sua attività canora, occasionale in passato, divenne il polo di attrazione in “Happy Time”. Le capacità trombettistiche di Eldridge non sono all’apice della potenza, anche se il soffio è ancora caldo ed infuocato, mentre le sue canzoni risultano sempre molto piacevoli e ritmiche, particolarmente “All of me”, dove mostra più di un accenno all’approccio tipico dell’improvvisazione vocale di Louis Armstrong. Non è difficile, ma soprattutto risulta abbastanza interessante, tentare confronto fra il modo di cantare di Eldridge in “On the sunny side of the street” e quello di Dizzy Gillespie, di solito citato come termine di paragone anche per il suo stile trombettistico. Assai sincero e sentito l’omaggio ad Anita O’Day con “Let Me Off Uptown”, assolutamente intenso e brillante. L’andamento della musica è alquanto esuberante, alimentata da un persistente swinging, mentre tutti brani sono facilmente riconoscibili ed apprezzati dai cultori del jazz classico, i quali non dovrebbero farsi mancare questo album, se non già presente nella loro collezione. Per i neofiti è una vera manna dal cielo.

Yusef Lateef -The Centaur and the Phoenix, 1960
Tra il 1957 e il 1961 Yusef Lateef fu quasi una sorta di rutilante marchingegno che produceva idee sonore a getto continuo: nell’arco di 5 anni pubblico ben 17 album, senza soluzione di continuità e senza mai mettere in pausa la sua costante ricerca sonora. In queste registrazioni dell’ottobre 1960 per la Riverside Records il suo approccio all’avanguardia risulta ancora più evidente. Anche qui, con un line-up quasi da Big Band con la complicità di Clark Terry e Curtis Fuller l’equilibrio e la bellezza del suono sono sorprendenti.
Il diciassettenne Kenny Barron contribuì con “Revelation”, di cui scrisse anche gli arrangiamenti, ma senza sedere al pianoforte, concesso a Joe Zawinul; il compositore Charles Mills curò due delle sue sinfonie per l’affascinante title-track. Anche dopo più di mezzo secolo, non si può che rimanere incantati di fronte a questo album per la ricchezza di toni, sfumature sonore e colpi di scena. Questo il line-up: Yusef Lateef sassofono tenore, flauto, arghù, oboe; Richard Williams tromba Clark Terry flicorno, tromba; Curtis Fuller trombone; Josea Taylor fagotto;Tate Houston sassofono baritono; Joe Zawinul piano; Ben Tucker basso; Lex Humphries batteria.
George Cables – “Cables Vision” , 1980
Questo è uno di quei dischi che hai nella tua collezione a sostenere il peso dei vinili che lo seguono nello scaffale, poi un giorno lo tiri fuori e, come per incanto, ti accorgi di possedere un piccolo gioiello di creatività. “Cables Vision”, registrato il 17, 18 e 19 dicembre 1979, all’Ocean Way Sound Recorders di Hollywood, con un nutrito gruppo di musicisti a rotazione, è una delle sessioni più più riuscite di quegli anni, forse dell’intera carriera di George Cables. Il pianista contribuì alla buona riuscita del progetto con quattro dei sei originali eseguiti. Fluidificante la presenza di Freddie Hubbard, che suona il flicorno su tre tracce e la tromba in “Byrdlike”, suo cavallo di battaglia, che offre ai virtuosi un blues up-tempo da imitare, sicuramente uno dei momenti più vibranti dell’album. Anche il sassofonista tenore Ernie Watts appare in forma splendente ed in vena di stupire.
Da sottolineare la presenza del vibrafonista Bobby Hutcherson insieme al bassista Tony Dumas, al batterista Peter Erskine e al percussionista Vince Charles. Ottima la soluzione scelta per “The Stroll”, determinato da un intrigante duello piano-vibes fra Cables e Hutcherson. Lungo tutto lo svolgimento dell’album, gli assoli sono molto efficaci, rapidi e fanno buon uso di ogni nota, senza dispersioni o fughe impossibili; così come le melodie risultano ben strutturate, orecchiabili e a presa rapida: basta ascoltare “Morning Song”, “I Told You So,” e “Inner Glow”. Un set ben concepito, senza sbavature o momenti di insipienza creativa.

