// di Guido Michelone //
Snarky Puppy- “Immigrance”, 2019 (GroundUP)
Esiste ancora la fusion oggi? O meglio continua a svilupparsi e progredire il linguaggio nato sostanzialmente dal ‘laboratorio’ di Miles Davis e arrivato via Weather Report e Steps Ahead, a condizionare indirettamente nuovi stili come l’acid-jazz e il nu-jazz? Questo raffinato, stabile e nutrito collettivo (che arriva a venticinque componenti), di origini texane, ma di stanza a Brooklyn, è la palese dimostrazione che negli ultimi anni esiste ancora chi stia riplasmando una screziata ma composita matrice di elementi sonori, da cui circa un secolo prima comincia l’avventura del jazz medesimo. Quella degli Snarky Puppy di Immigrance– come di tutti i sedici album ufficiali finora editi tra il 2006 e il 2022 – è una musica ampiamente orchestrale, quasi sinfonica, oltremodo composita, di vivace concezione per l’ appunto fusion mediante un tripudio via via giocoso, spettacolare, elegante, felpato di fiati, tastiere, chitarre, ritmiche, con ben tre batteristi in azione – e sempre armoniosamente sospesa tra post-bop e funky-soul.
Sono i propositi compositivi a essere nuovi e originali, perché votati a fusione audaci, fluida, pertsino funamboliche di elementi diversi (oltre i suoni ‘neri’ e americani, qui anche musica turca e marocchina, in specie gnawa); e in tal senso il pirotecnico ensemble sa congiungersi perfettamente tra un gruppo fusion classicamente impostato e una jamming band digressiva o vorticosa di ultima generazione. Immigrance tende poi a valorizzare e difendere il movimento (oggi in buona parte negato), perché, come afferma il leader bassista Michael League: “Ogni cosa è fluida, ogni cosa è sempre in movimento, noi tutti siamo in un costante stato di immigrazione”. E questo jazz liquido, elettrico, progressivo vuole infine presentarsi quale profondo invito a collaborazione e a cooperazione tra le genti, mettendo in comune svariate provenienze e diverse culture, mediante sinergie arricchenti sempre più integrate!

Ambrose Akinmusire – “On the Tender Spot of Every Calloused Moment”, 2020 (Blue Note)
Il leader nel disco si rivela particolarmente maturo come artista soprattutto all’interno della tradizione jazzistica con un lavoro, audace e modernoin grado di muoversi facilmente oltre i confini e al contempo di rimanere radicato in alcuni valori fondamentali del jazz medesimo. Sotto quest’ultimo aspetto il jazzman evidenzia via via il primato del blues, dla vitalità in un suono distintivo e individuale, l’impegno sano e creativo all’interno della musica popolare, la lotta per la cultura, dal punto di vista sociale e politico. Il trombettista Ambrose Akinmusire assicura che gioie e dolori dell’attuale vita afroamericana restano in prima linea nella propria estetica mediante un trombettismo che a tratti ricorda il grande Booker Little, tra le influenze dichiarate dello stesso Akinmusire.
L’album di Ambrose trova il solista trentottenne in una modalità riflessiva come sempre, giacché si pone domande sull’identità nera, si guarda dagli ovvi cliché, si spinge per le strade musicali meno battute e più impervie. Del resto per Ambrose, a parte l’esordio con Prelude To Cora (Fresh Sound, 2007) tutti i dischi per la Blue Note dal 2011 a oggi – When the Heart Emerges Glistening, The Imagined Savior Is Far Easier To Paint, Origami Harves – mostrano un trombettista dal suono limpido e dalla tecnica virtuosistica. Lasciati alle spalle gli idoli dell’adolescenza (Miles Davis e Clifford Brown), guarda in avanti a sé cercando una propria identità espressiva mediante un’arte personale, scevra da ogni tentazione: niente mode o formalismi, ma, come già detto, tanto impegno e lavoro.