“FATS NAVARRO FEATURED WITH TADD DAMERON BAND” (RISTAMPA 1976)
// di Francesco Cataldo Verrina //
Fats Navarro non ha mai raggiunto una notevole popolarità presso il grosso pubblico del jazz, ma ha sempre avuto la stima dei critici, degli appassionati e dei colleghi musicisti. Il batterista Roy Haynes lo descriveva così: “Fats è stato un musicista spettacolare perché, in un momento in cui molti sono arrivati sulla scena senza una vera preparazione, lui aveva già tutto: sapeva leggere la musica, poteva suonare su un registro altissimo ed essere la prima tromba in un set, sapeva suonare degli assoli ricchi di melodia con una sonorità avvincente, poteva correre su un tempo tempo veloce con note sempre piacevoli e mordenti ed eseguire qualunque cosa volesse, apparentemente senza sforzo. Ogni nota aveva un significato. C’era una marea di gente che suonava solo un sacco di note, alcune buone, altre spesso inutili e fuori luogo. Fats non era uno di quelli, ma faceva in modo che nella sua musica ogni nota avesse una precisa collocazione ed una ragione di esistere. La sua tromba emanava calore e sentimento. Ecco perché ho detto che aveva tutto!”
Fats, il cui vero nome di battesimo era Theodore, morì prematuramente a soli 27 anni nel 1950 a causa della tubercolosi, ma soprattutto a causa di una vita dissoluta ed autolesionistica fatta di troppa eroina e troppo sesso consumato nei postriboli, dopo una breve attività professionale durata appena quattro o cinque anni; ciononostante ha lasciato un’orma indelebile nella storia del jazz del dopoguerra, influenzando il lavoro di Clifford Brown ed indirettamente molti trombettisti venuti dopo, come lo stesso Miles Davis, Benny Bailey, Lee Morgan, Freddie Hubbard, Sam Noto, Woody Shaw ed altri.
Interessante la sua conversazione con Mingus, in cui emerge una personalità forte, ma autodistruttiva: “Caro Charlie, io sanguino perché voglio sanguinare. Mi sono preso la TBC intenzionalmente e spero che non ci sia né paradiso né inferno come dici tu. Pensa come ci rimarrei di merda ad arrivare là e a scoprire che l’uomo bianco è padrone anche di quello, e che il paradiso è un complesso residenziale e l’inferno sono solo le baracche. Gli direi: “Ammazzatemi, teste di cazzo di angeli bianchi finocchi, come avete fatto giù sulla terra, perché di certo dalla mia anima non avrete né lavoro né affitto!”… Guarda come la bibbia nera dell’uomo bianco è scritta apposta per incassare soldi e far lavorare gli altri! Geremia, capitolo sedici, versetto ventuno: “In verità vi dico: essi sapranno, essi conosceranno la mia mano e la mia potenza, conosceranno che il mio nome è Dio”… Quel versetto ti dimostra precisamente che Dio è bianco, perché l’uomo bianco è l’unica persona che conosco che riesce a forzare o a convincere la gente a ubbidirgli – principalmente noi neri. A me non va che qualcuno mi imponga di fare qualcosa. Ma sto per permettere a Dio di ammazzarmi per poterlo incontrare. E se sarà bianco non mi andrà per principio, e neanche alla fine”.
Nel 1982 è stato inserito dall’International Jazz Critics nella Down Beat Hall of Fame. Navarro ha lasciato un’eredità di circa 150 registrazioni di ottima qualità, tra cui quelle incluse in questo doppio album riproposto nel 1976 dalla Milestone, in Italia dalla collana “Jazz è bello” della Fonit-Cetra e contenente materiale registrato durante una performance al Summer And Fall del 1948, presso il Royal Roost di New York City e pubblicato in due album separati dalla Jazzland: nel 1950 come “Fats Navarro Featured With Tadd Dameron Band”; quindi nel 1968 come “Fats Navarro And The Tadd Dameron Band: 1948”. Fats, imbeccato e sostenuto da un ensemble stellare, esegue con disinvoltura una manciata di classici ed alcuni standard del periodo come la celebre “Anthropology” di Charlie Parker. Un disco documento di ottima qualità sonora, tenendo conto delle tecniche di registrazione degli anni 40, grazie al lavoro di remastering effettuato da David Turner negli anni ’70 presso gli studi della Fantasy in California.
