Don Cherry – “Home Boy, Sister Out”, 1985
// di Bounty Miller //
Cherry ha costantemente stimolato il jazz innestando i propri germogli musicali su ramificazioni sonore non occidentali. La scelta degli strumenti divenne progressivamente sfaccettata come la sua musica. Nei primi anni della sua ascesa veniva spesso visto imbracciare e suonare una tromba tascabile, una versione miniaturizzata dello strumento standard con qualità tonali uniche, senza tralasciare la tromba tradizionale o il flicorno.
Man mano che il suo interesse per le culture del terzomondiste cresceva, Cherry adottò un’ulteriore gamma di strumenti, tra cui il “malienne doussou n’goni” e i metallofoni che fanno parte del “gamelan” indonesiano. Tali strumenti ritornano nel disco in oggetto, “Home Boy, Sister Out”, realizzato a Parigi nel 1985. Ascoltantando questo disco mi veniva in mente il “Canto Notturno di un Pastore Errante dell’Asia” di Leopardina memoria, quando il poeta recanatese scrive: Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita la vita del pastore”. Anche la vita di un’esploratore errante ed alchimista di suoni, come Don Cherry, mai pago di girovagare per i quattro punti cardinali della musica, tra mari, deserti e valli.
Sgomberiamo subito il campo da equivoci, questo non è un disco ortodossamente jazz, ma un disco fusion, una pastiche sonora ricca di ingredienti saporiti, o meglio un melting-pot sonoro di razze meticce che si mescolano, giocando con una serie di sonorità afro-centro-nord-americane. Era un segno dei tempi, se in quei giorni lo faceva Miles Davis, perché a Don Cherry avrebbe dovuto essere preclusa una via di fuga o una valvola di sfogo di questo genere? In quel periodo, un numero significativo di musicisti provenienti dall’Africa francofona vivevano e registravano nella capitale francese, divenuta polo di attrazione della musica mondiale.
Cultura francofona e anglofona, allora come oggi, era separate dalla lingua e dalla storia, ma molti musicisti di New York si stavano evidenziando sulla scena parigina. Tra questi segnaliamo il bassista e produttore Bill Laswell, la cui etichetta, Celluloid, aveva sede in Parigi, dove era gestita dall’eccentrico corso Jean Karakos, e dal chitarrista e produttore Ramuntcho Matta, nato in Francia, ma sempre con un piede nel centro di New York. Laswell divenne in seguito il più prolifico e di successo, ma il catalogo di Matta, che comprende anche la produzione di “Home Boy, Sister Out”, operava su prodotti più complessi e meno scontati. Negli anni ’50, con il poeta Beat Brion Gysin, che aveva creato lo stile di scrittura “cut-up” con William Burroughs drogato in un hotel parigino, Cherry e Matta realizzarono il singolo “Kick”, sul quale Gysin recitò i suoi testi, apparentemente anti-eroina, su una base musicale caratterizzata dagli ostinati* di tromba di Don Cherry.
*(L’ostinato è un breve disegno musicale, un motivo, un inciso, un disegno d’accompagnamento ripetuto ad oltranza senza modificarne altezza e ritmo. Il più delle volte si colloca al basso, definito appunto basso ostinato. L’ostinato crea un effetto di staticità e insieme di stacco rispetto alle altre parti, soprattutto in relazione alla melodia. Molto frequente nella musica etnica, anche solo come ostinato ritmico).
“Kick” è inclusa come bonus-track nella ristampa di “Home Boy, Sister Out”. Dopo l’apertura con “Call Me” ispirato al doo-wop, il resto dell’album è principalmente avant-funk, con innesti afro e rimiche in levare, talvolta reggaeggianti, con Cherry alla voce (potrebbe cantare, ma il suo rap, i suo borbottio è molto convincente) e una tromba tascabile, supportata da una schiera di guerrieri francesi e combattenti africani. C’è anche l’anticipo di “Art Deco”, qui con un groove più delicato: la versione più lunga del brano sarebbe diventata la title-track di un album relativamente lineare registrato da Cherry per A&M nel 1988, come nello stile di questa etichetta depurato da ogni apporto etnico e cosmopolita, ma carta patinata per ambenti signorili. “Home Boy, Sister Out” non ha nulla da spartire con il jazz, ma ci testimonia la irrequietezza di un personaggio seminale, che nell’arco della sua caotica carriera, è stato il musicista afro-americano più instancabile nell’esplorazione sonora e culturalmente il più inclusivo del ventesimo secolo.
