George Adams & Don Pullen Quartet – «Decision» , 1984

// di Francesco Cataldo Verrina //

Da più parti si è sempre detto che quando questo quartetto era al meglio della condizione, negli anni ’80, fosse insuperabile, davvero non ce n’era per nessuno, soprattutto per quella loro innata capacità di saper dosare l’immediatezza e l’appetibilità delle melodie ad una serie di escursioni musicali non del tutto prevedibili. L’assunto mingusiano del cosiddetto «un colpo alla botte ed uno al cerchiò» nel George Adams / Don Pullen Quartet divenne particolarmente evidente. All’interno del filotto di ben otto album realizzati con questa formazione, «Decision» è certamente tra i più riusciti: immediato, creativo, senza momenti di cedimento.

Parliamo di quattro musicisti maturi e con una comprovata esperienza, dove l’entusiasmo era accompagnato sempre da una calibrata e sapiente ricerca della novità espressiva, ma anche da un certo mestiere che stemperava taluni tentativi di esibizionismo virtuosistico: siamo nell’ambito di un jazz straight-ahead, ma non del tutto prevedibile o asservito al gusto dei novizi. Tutti i brani sono farina del loro sacco, a parte «The Eye Is On The Sparrow», un tema tradizionale giocato sulla breve distanza, che in questo set diventa una ballata perforante e sensuale dal vago sapore soul-spiritual. Era consuetudine, riscontrabile in molti album di Adams e Pullen, rinvenire una vecchio motivo tradizionale riadattato ad un contesto jazz. L’iniziale «Trees and Grass and Things», a firma Don Pullen, della durata di oltre 9 minuti, tira la volata a tutto l’album esprimendo un vigore gioioso e festoso, in grado di catturare anche il più ostico dei detrattori del jazz con un’energia contagiosa ed una melodia a facile presa, di quelle che si possono fischiettare e memorizzare facilmente.

Dovunque, come in Message Urgent», Adams autore della traccia, prende l’iniziativa e trascina tutto il line-up per mano, ma questa volta lo fa attraversando qualche sentiero spigoloso ed accidentato, mentre Pullen batte sulla tastiera da par suo con il sostegno di tutta la retroguardia: Cameron Brown al basso e Dannie Richmond alla batteria non perdono occasione per essere protagonisti. Lo schema si ripete anche sulla seconda facciata del disco, che parte in picchiata con la title-track, «Decision», un altro distillato dei neuroni di Don Pullen che fa della melodia a tinte variabili un oggetto di desiderio, trovando l’ispirazione in un lisergico blues insanguato di funky, con passaggi e cambi di umore che consentono a ciascuno dei sodali di apportare un fattivo contributo. A seguire «Triple Over Time», a firma Dannie Richimond, che non tradisce la matrice blues e l’esperienza mingusiana, per una ballata mid-range bagnata nel soul, dove il sax di Adams raggiunge l’informale narrazione di una poesia senza rime ed una liricità non perimetrabile, dal canto suo il piano di Pullen, sia pure giocando d’impeto, cerca di contenerne a tratti lo sturm und drang collettivo inducendo il sodale a più miti consigli: il finale è un brivido a fior di pelle. Il sacrificio sull’altare del blues si compie con «I Could Really For You» un componimento di George Adams, cantato dallo stesso, il quale abbandona in parte il sax mentre i tre sodali saltellano sulle blue notes come demoni ad un baccanale.

Registrato il 2 e 3 febbraio 1984 e pubblicato dalla tedesca Timeless, «Decision» è un album dalla struttura non convenzionale, caratterizzato da arrangiamenti fantasiosi ed a larghe maglie, capaci di favorire fughe, incontri, contrasti e ritorni, mai scontato ma fruibile e metabolizzabile, come tutto ciò che solo i grandi riescono a fare.

EXTRA LARGE

Don Pullen – «Tomorrow’s Promises», 1977

Con «Tomorrow’s Promises» Don Pullen sconfina nei territori di una fusion multitasking, giocata su una varietà di impostazioni tematiche, tipiche dello spirito inquieto del pianista, con il baricentro sempre spostato in avanti. L’uso insolito dei sintetizzatori da parte di Pullen conferma il desiderio di spaziare e di sondare nuovi terreni di caccia. L’album si apre con «Big Alice», una giocosa performance jazz-funk, che da sola vale il prezzo della corsa, un perfetto affresco di sound sound meticcio, tipico di quello scorcio di anni ’70, magnificato dal violinista polacco Michal Urbaniak e dal trombettista Randy Brecker. Nell’album c’è una sorta di bilocazione che si pregia dell’apporto di due differenti front-line: da una parte George Adams e il trombettista Hannibal Marvin Peterson e dall’altra Michal Urbaniak e Randy Brecker. «Autumn Song», ha un’impostazione più nostalgica e crepuscolare riportando la bussola verso un un itinerario più ortodossamente jazz .

«Poodie Pie» si sostanzia attraverso una solida ed efficace modalità easy-rock, segnata da riff brevi ed incisivi. «Kadji « è una composizione sorretta da un incisivo ed articolata ritmo 6/8 che attinge all’Africa la sua forma mentis e ne fa un modello ispirativo. Don Pullen si riappropria del piano acustico e si lancia in progressione free-form da manuale. «Last Year’s Lies and Tomorrow’s Promises» ha i tratti somatici della perfetta ballata jazz, narrata sotto forma di dialogo tra Don Pullen e George Adams, i quali si supportano a vicenda con repentini cambi di direzione e di umore in un andirivieni a schema armonico libero e modale ad ampio raggio. In chiusura «Let’s Be Friend», una piacevole song che si avvale della calda voce di Rita Da Costa. «Tomorrow’s Promises» di Don Pullen è un album che si muove seguendo il concetto della divaricazione dei percorsi, aggiungendo forti suggestioni avant-garde all’approccio tradizionale, ma tenendo gli elementi ben separati. Si potrebbe parlare di un’opera duale, che travalica il diffuso crossover di quegli anni. Nel complesso un disco di notevole spessore creativo ed esecutivo.