Eric Kloss – “Introducing Eric Kloss”, 1965

// di Francesco Cataldo Verrina //

Eric Kloss, cieco dalla nascita, è stato un fenomeno sottovalutato e per molti aspetti ancora misconosciuto dalla massa, nonostante una lunga e sorprendente discografia come solista. Oggi ultrasettantenne (classe 1949), Kloss vive in un sobborgo di Pittsburgh con la moglie di quasi cinquant’anni più giovane. Negli ultimi anni frequenti attacchi di emicrania ed asma gli hanno impedito di esibirsi con regolarità. In alcune interviste ha dichiarato di poter suonare il sassofono solo per una quarantina di minuti al massimo, prima che la forze gli vengano meno.

Kloss aveva appena 16 anni quando debuttò nel 1965 con “Introducing Eric Kloss” per la Prestige, ma la tecnica espressa in studio ed il tasso creativo apportato al progetto sembravano quelli di un musicista navigato, esperto e consumato. Merito del suo eccelso maestro: Sonny Stitt. Chiunque avesse avuto il coraggio di unirsi a Sonny Stitt su un palco per una jam, era conscio che avrebbe rischiato l’umiliazione pubblica, se non fosse stato in grado di mostrare di sapersela cavare egregiamente con un sassofono in mano. Così, quando Eric Kloss, appena dodicenne, si unì a Stitt al Crawford Grill di Pittsburgh per un’audizione, chiuse gli occhi, respirò profondamente e soffiò nel suo strumento tutto ciò che sapeva e che aveva appreso ascoltando anche i dischi dello stesso Stitt. Quando il vecchio Sonny capì che il ragazzo aveva imbroccato la strada giusta, gli afferrò il ginocchio e con entusiasmo urlò: “Sì, amico, ci siamo, vai alla grande!” Non solo il provetto Kloss passò il severo esame del collega, ma Stitt divenne suo amico e mentore, insegnandogli molte delle tecniche non convenzionali e qualche trucchetto da vecchio marpione.

Con “Introducing Eric Kloss” l’esordiente sassofonista fece squadra con l’organista Don Patterson (in quello che rimane uno dei migliori set delle loro carriere), con il sostegno di Pat Martino alla chitarra e Billy Jones alla batteria. Il quartetto distillò un ottimo hard-bop e, come accadeva nelle sessioni in cui fosse presente un organo, il costrutto sonoro si distinse per una marcata presenza di elementi soul-funk. L’incrocio fra chitarra ed organo, rispetto ai più comuni basso e pianoforte, offrirono al giovane Kloss spunti per uno sviluppo melodico meno prevedibile rispetto agli standard. Eric si destreggiò con disinvoltura sia con il sax tenore che il contralto. Gli inediti a firma Patterson sono solo due su sei, ma il giovane sassofonista e di suoi sodali apportarono una serie novità sostanziali anche agli standard. L’album si apre con un ottimo bigliettino da visita, “Close Your Eyes”, rivitalizzato e stravolto da una sequenza di riff funkified distillati dal contralto, mentre “All Blues” di Miles Davis assume le sembianze di un funk sinuoso ed acidulo, così come “Embraceable You” di Gershwin che, grazie al lavoro sulla melodia, diventa un classico a sé stante.

“Introducing Eric Kloss” è un disco perfetto nella sua totalità, sia nell’aspetto tecnico-formale che creativo; il quartetto sembra affiatato ed in perfetta sintonia: in particolare per essere l’album di un debuttante, sorprende la padronanza sugli strumenti e la concretezza del giovane Kloss e la capacità di interazione con i più attempati sodali. In poche parole, è uno dei quei dischi che ti fanno dire: mi piace il jazz, sono un privilegiato!

EXTRA LARGE:

Eric Kloss –“The Doors”, 1972

Questo non è un album per tutti. Ci vogliono nervi saldi e resistenza al terreno accidentato. “The Doors” di Eric Kloss del 1972 è un giocattolo free-form con retrocarica esplosiva ma ad avanguardia controllata. Un salto ad ostacoli tra gli accordi per giungere a una meta. Come già descritto, dopo aver incontrato sul proprio cammino Sonny Stitt, Eric Kloss registrò il suo primo album a 16 anni, “Introducing Eric Kloss” (Prestige, 1965) con Don Patterson e Pat Martino, dimostrando subito di prediligere le vie traverse ed i camminamenti più accidentati del jazz d’avanguardia: fusion e free jazz segneranno la sua carriera. Collaborazioni eccellenti con Chick Corea, Dave Holland, e Jack DeJohnette. Nel 1972 lasciò la Prestige e debuttò con la Cobblestone, realizzando uno dei migliori album della sua carriera insieme a Neal Creque, piano e piano elettrico, Gene Taylor al basso e Ron Krasinski alla batteria. Eric Kloss suonò sia sassofono contralto che il tenore.

I Brani dell’album hanno tutti titoli brevi e quasi tutti formati da una sola parola: “Doors”, “Waves”, “Quasar”,”Sweatin’ It”, “Love”, “Libra”, di certo a voler sottolinea l’idea del concept sonoro progressivo, rispetto alla frammentarietà dei classici lunghi titoli descrittivi. Più che canzoni narrate dal suono, sono stati d’animi. Ascoltando il disco vi basterà ad associare ad ogni titolo una certa suggestione ed il gioco è fatto. Il sax di Eric Kloss per quanto incontenibile, (tranne in due momenti sotto forma ballata, dove ricorda Coltrane e Sonny Stitt), non perde mai la quadratura melodica, ottimo il lavoro della retroguardia ritmica e l’alternanza pianoforte-piano elettrico. Gli strappi improvvisi ed i salti armonici riportano alla mente Archie Shepp; le progressioni armolodiche praticate non sono mai altissime, niente glissato o ruzzoloni per le scale, quindi le dissonanze risultano alquanto contenute; a tratti si ha l’idea di un post bop rivoluzionato, ma non anarcoide. Dopo il terzo ascolto potreste non farne più a meno.