L’INTERVISTA COMPLETA SU DUKE ELLINGTON (2002)

// di Guido MIchelone //

Mi è capitato di incontrare a tu per tu Steve Lacy (1934-2004) in un paio di occasione, la prima a Loano dopo un concerto in duo con Mal Waldron, la seconda a Milano in albergo prima e dopo la proiezione del film Steve Plays Duke di Daniele Ciprì e Franco Maresco, di cui è attore-musicista-performer. Il discorso è caduto inevitabilmente più che sul cinema sulla figura del Duca, per il quale il sopranista rivela tutto il proprio amore, come dimostra questa breve ma significativa intervista.

Steve, ci puoi raccontare di questa tua esperienza sul set del film per Duke Ellington?

Io ho fatto apposta quest’anno l’omaggio a Duke Ellington perché me l’hanno chiesto quest’inverno; siccome io ho cominciato con la musica di Ellington era una cosa naturale per me; allora io ho investigato ancora delle cose di Ellington per trovare in sequenza dei pezzi orchestrali ellingtoniani che posso fare da solo. E’ una ricerca che ho compiuto a Parigi e sono quindi riuscito a trovare dieci brani ellingtoniani che ho messo in sequenza per fare su unico strumento ciò che egli faceva con l’intera orchestra; questa sequenza l’ho chiamata Ten of Duke e l’ho eseguita in concerto nel 1999 una dozzina di volte a San Francisco, Chicago, New York, Vienna e in Italia. E CIPRI’ e MARESCO hanno filmato una versione di questo a Palermo dal vivo in un bel posto, fuori città in una vecchia chiesa all’aperto, Santa Maria dello Spasimo. E poi abbiamo aggiunto anche un’intervista sulla musica di Ellington e sul mio rapporto con la musica ellingtoniana e il risultato è appunto questo film che si chiama Steve Plays Dukes.

E che cosa rappresenta per te la musica di Ellington oggi?

Ma io ho cominciato con questa musica! Quando io avevo dodici anni ho scoperto la musica di Ellington e da allora è iniziato il mio amore per il jazz. Un po’ più tardi ho sentito Sidney Bechet che eseguiva un pezzo di Duke e allora ho trovato il mio strumento! Poi ho iniziato a suonare col trombettista Rex Stewart, che mi ha dato il nome attuale Lacy, perché lui non sapeva scrivere il mio vero cognome di origine russa e dunque credo proprio di avere una relazione molto organica con la musica di Ellington, di cui ho ammirato moltissime volte orchestra dal vivo a New York negli anni Cinquanta e Sessanta al Birdland o a teatro. Ho inoltre collezionato quasi tutti i suoi 78 giri e la sua musica ancor oggi mi appassiona sempre. Anche quando ho suonato per sei anni con Cecil Taylor, il nostro rapporto era basato sull’amore rituale di Ellington. Anche Monk amava molto Ellington. E così pure Roswell Rudd, Miles Davis, tutti i musicisti d’avanguardia adoravano Ellington. E non è possibile ‘scappare’ da lui!

Quindi sei d’accordo con chi dice che Ellington è ormai da ritenersi uno dei grandi autori del Novecento…

Il più grande di tutti!

Perché hai chiamato la tua ricerca Ten of Duke?

Ten of Duke è un gioco di parole anche con le carte perché è anche il dieci di picche.

C’è un periodo di Duke Ellington che reputi più creativo o più importante?

No. Tutto è fondamentale! Ho seguito l’intera storia di Ellington dagli inizi sino alla fine. Ho cominciato con le cose degli anni Venti, lo stile giungla, The Mooche ad esempio. E io personalmente mi sono per primo innamorato del periodo Brunswick, ma oggi mi interessa veramente tutta la sua opera da allora fino agli anni Sessanta. D’altronde, quand’ero giovane, oltre a Stewart, ho lavorato con molti ellingtoniani Sonny Greer, Terry Glenn.

Un’ultima domanda: sei d’accordo con Gunther Schuller o con Bill Russo a proposito dell’Ellington compositore?

Con Schuller, senza dubbio. Si può forse imitare Ellington dopo averlo fatto. Ma il vero Ellington è inimitabile. Bill Russo è un arrangiatore e può solo replicare il colore di Ellington, come fa anche Wynton Marsalis. Ma è un’altra cosa, non è il vero Ellington. E’ solo una copia.

Steve Lacy