// di Kater Pink //

«Afinidad», mai titolo fu più azzeccato, è un album che documenta la forte affinità tra il sassofonista contralto David Binney e il pianista Edward Simon. È sorprendente come due artisti diversi per background musicale e formazione culturale riescano trovare un vero terreno comune attraverso l’approccio più modernista del jazz, ossia il suo legame ombelicale con la musica latina. Binney e Simon non si dividono o si suddividono il compito, ma sviluppano un processo creativo integrato, quale frutto dell’esperienza di due differenti personalità musicali. A partire dalla metà degli anni ’90, il sassofonista si era ritagliato un ottimo posizionamento in quel tipo di nicchia musicale che la maggior parte degli jazzisti moderni sognano ed agognano.

Musicista potente ed innovativo, Binney aveva già brillato per una spiccata capacità compositiva, grazie ad una scrittura distintiva sin dalle prime battute, facile da identificare indipendentemente dal contesto, ribadendo costantemente la sua reputazione di incallito esploratore all’interno delle forme più complesse degli spazi improvvisativi. Allo stesso modo Edward Simon si era affermato come uno dei pianisti più versatili e convincenti della sua generazione, attraverso il sodalizio come musicisti del calibro di Bobby Watson, Greg Osby e Terence Blanchard. Simon, venezuelano di origine, aveva dimostrato subito un’innata capacità di unire le radici tradizionali della musica latina con una sensibilità jazzistica più contemporanea. «Afinidad» esplora ritmi e trame latine, ma filtrate attraverso una più ampia visione estetica, formale e sostanziale del jazz, dove Binney e Simon inventano un suono che, pur avendo radici profonde nel loro parenchima genetico, si muove verso altre direzioni, creando una sorta di latin-jazz progressivo.

L’ensemble si completa con una sezione ritmica dallo spirito gentile, ma determinato: il bassista Scott Colley ed il batterista Brian Blade, con l’aggiunta di Adam Cruz alle percussioni, la voce di Lucia Pulido e la chitarra di Adam Rogers. Per quanto riguarda la squadra, Simon disse: «I musicisti-compositori interpretano la musica degli altri in modo molto più informato, e sia Scott che Brian, per esempio, hanno la giusta sensibilità per articolare il tipo di musica che scriviamo, con attitudine allo spazio, alla qualità del suono, alle sfumature testuali». Binney e Simon condividono il compito della scrittura, oltre a includere due affreschi sonori del compositore argentino Ginastera e un lungo pezzo del venezuelano Simon Diaz. I contributi di Binney giocano molto sul contrappunto, scivolando su uno sfondo ritmico più complesso, ma l’intelaiatura compositiva non disdegna richiami al folklore. Il sassofonista appare a volte ruvido, ma con l’abilità a costruire assoli di forte intensità, fino a raggiungere un picco estenuante, in particolare nella sua «Red» ed «Mi Querencia» di Diaz.

La scrittura di Simon s’innesta su un substrato sonoro più dichiaratamente latino: «Pere» è un pezzo ad alta energia che spinge la tradizione del clave verso nuove destinazioni, mentre «Aguantando» inizia con il lucido assolo di chitarra classica di Rogers. La lunga melodia, cantata da Pulido e doppiata da Binney, dimostra la propensione di entrambi i co-leaders per lo sviluppo tematico di lunga durata. Così come Binney, anche Simon prende tempo per sviluppare i suoi assoli armonicamente avanzati, ma sottolineati sempre da un approccio caldo, mai spigoloso o fine a se stesso. I due solisti creano arazzi sonori multicolor, con motivi carichi e traboccanti di contrappunti, melodie maestose e improvvisazioni. Il temperamento della prima linea risulta perennemente dinamico con una serie di duetti epigrammatici, inondati da sottili sviluppi armonici ed intermezzi, mentre i fruttuosi suggerimenti provenienti dal bassista Scott Colley e dal batterista Brian Blade valorizzano l’intera sessione con un accompagnamento a dir poco perfetto e sinuose strutture ritmiche.

Da manuale la chiusa dell’album, «Remembrance», con un amalgama di temi morbidamente enunciati, dove Simon fa coincidere la progressione degli accordi con le invenzioni tematiche di Binney, un po’ struggenti e malinconiche, ma ravvivate dagli accenti ritmici del percussionista Adam Cruz. «Afinidad» è un album perfettamente geometrico e basato sulla sinergia, pregno di lirismo e di forza evocativa, dove raziocinio e sentimenti si equivalgono. A proposito del suo partner, Binney disse: «Mi è sempre piaciuta la sensibilità musicale di Edward. Il suo concetto di jazz riassume il modo in cui sento le cose, e grazie alle sue radici latino-americane, il suo senso ritmico è molto spiccato, tanto da completare il mio modo di suonare». «Afinidad» punta i riflettori su due talenti di classe superiore che, muovendo da complessi fondamenti armonici e ritmici verso un nuovo approccio tematico, evitano con fermezza l’ovvio, rimodellando con abilità le pratiche tradizionali.

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