// di Francesco Cataldo Verrina //

Se è vero che il jazz sia la musica del mondo o dei mondi possibili, i Jazz Tribe sono stati una delle esperienze più felici dell’ultimo mezzo secolo di musica popolare, frutto di una confluenza di stili limitrofi legati alle varie derivazioni dei suoni e dei ritmi afro-tribali, che coabitano nell’immenso pianeta delle Amerindie, incrociando trasversalmente il soul-jazz ad alto tasso funkified delle metropoli del Nord, l’afro-cuban, il bop, il swing, l’R&B, così come le policrome cadenze percussive delle Antille.

«The Next Spep» dei Jazz Tribe è un perfetto melting-pot sonoro dal sapore soulful, dal groove marcato e potente, arricchito costantemente da una texture percussiva in grado di spingere al massimo i due strumenti a fiato posizionati sul front-line: Bobby Watson al sax alto e Jack Walrath alla tromba, sostenuti da un Ray Mantilla, quale elemento caratterizzante in uno stato di grazia, che sottopone il suo apparato tambureggiante ad un vero e proprio lavoro sine die con la complicità di una virtuosa sezione ritmica: Ronnie Mathews, al pianoforte, Curtis Lundy al basso e Victor Lewis alla batteria. Bastano poche note per capire che la festa è già iniziata ed un intenso profumo di note dai connotati meticci invade l’ambiente.

Ogni partecipante al set dimostra di avere una visione ben precisa del jazz a forti tinte caraibiche; ciascuno di essi è ben connesso all’insieme con una percezione quasi telepatica dell’altro. Le composizioni di Ray Mantilla «Mantilla’s Jam» e «Camino Al Cielo», così come «Karita» di Bobby Watson, «Chili Plaza Suite» di Ronnie Mathews e «Los Apolypticanos» di Jack Walrath si dipanano tutte attraverso un crogiolo ritmico, fatto di movimenti tribali e danze esotiche, definendo la struttura ed il tono del disco. Watson, che insieme a Mantilla è uno dei due primi attori del progetto, gioca con misurata e calibrata aggressività senza mai debordare, ma soprattutto esprime una creatività luminosa, lungimirante e non convenzionale: il suo tono è perfetto ed il suo contributo in «Karita» è determinante.

Ray Mantilla organizza una piattaforma percussiva calda e densa che spinge al massimo il resto dell’ensemble; da manuale il suo innesto in solitaria sulle congas in «Percussion Poutpourri», mentre l’ingresso in «Chili Plaza Suite» è spettacolare. Il pianoforte di Ronnie Mathews si adatta subito al clima generale con un fraseggio percussivo sui tasti, fornendo un ottimo supporto attraverso uno swing latineggiante a maglie larghe, nel quale i vari solisti possono agevolmente innestare le loro idee. Il trombettista Jack Walrath, allievo di Mingus, lancia strali appuntiti ed infiammati, alimentando un’atmosfera già di per sé molto carica e ribollente, mentre il basso di Curtis Lundy mostra i suoi geni funkoidi in «Ella Dunham» e soprattutto in «River Jordan», dove emerge anche il lato più metropolitano e funkiness di Bobby Watson. C’è anche spazio per il bop con «Good Bait» di Tad Dameron, dove Watson sembra concatenare nel suo approccio elementi di Bird, Stitt ed Hodges, ma con la singolarità che caratterizza un suono unico ed inimitabile.

Dopo la tempesta, la quiete e gli animi si placano con una morbida e perforante «Know One Has To Know»,l’unico momento in pantofole dell’intero album. «The Next Step», registrato al Westrax Recording Studio di New York, il 2 febbraio dl 1999 e pubblicato dall’italiana Red Records, è un’altra carta vincente di Sergio Veschi, che ha saputo favorire l’incontro tra uomini e mondi, stili e culture, suoni e colori per un jazz di alta classe. Un disco che potrebbe aggiungere spessore alla vostra già ricca collezione jazz. Il Cd è disponibile nel catalogo della Nuova Red Records di Marco Pennisi.

The Jazz Tribe / Ray Mantilla & Bobby Watson – «Everlasting» 2009

The Jazz Tribe nacque come un progetto ideato da Alberto Alberti, il quale uni i talenti di vari musicisti per un concerto organizzato nei primi anni ’90 al Festival Jazz di La Spezia, dando il via allo storico sodalizio tra Bobby Watson e Ray Mantilla con la Red Records. Nel corso degli anni Watson ha sposato spesso la causa del jazz caraibico supportando le idee di Ray Mantilla e viceversa. Nel catalogo Red Records sono presenti alcuni piccoli capolavori come «Quiet As It Kept» di Bobby Watson, in cui il sapore latino affiora da ogni microsolco, per poi culminare in «The Next Step» che trabocca di ritmi caldi ed esotici.

The Jazz Tribe ha finito per diventare una sorta di società a responsabilità illimitata, guidata proprio da Watson e Mantilla, riaffermando una lunga tradizione già presente nella storia del jazz afro-americano, ossia il connubio con i ritmi-fratelli del Centro-Sud America; soprattutto confermando la lungimiranza della Red Records, la quale ha finito per divenire una sorta di roccaforte a presidio di questo modulo espressivo del jazz mainstream, che, ancora oggi, si caratterizza come uno dei più vivaci e prolifici e, forse, una delle forme evolutive praticabili dal jazz del terzo millennio. «Everlasting» di The Jazz Tribe poggia un sostegno ritmico-armonico di notevole spessore: Bobby Watson al sassofono contralto, Jack Walrath alla tromba, Xavier Davis al piano, Ray Mantilla alle percussioni, Curtis Lundy al basso e Victor Lewis alla batteria.

La «Tribù» si cimenta con quasi tutti gli stili più popolari del jazz dell’ultimo mezzo secolo, amalgamando alla perfezione blues, bop, ritmiche afro-cubane, funk e R&B. La mescolanza di generi non è casuale, calcolata e fine a se stessa, ma ben calibrata ed arricchita da folate di calore e sentimento; soprattutto il sestetto, per la ricchezza di ambientazioni, variazione ed accenti musicali, riesce a creare l’atmosfera di una big band, dove le ricche trame percussive di Ray Mantilla e Victor Lewis fertilizzano un proficuo terreno per l’irrequieto contralto di Bobby Watson e l’infuocata tromba di Jack Walrath, mentre il piano di Xavier Davis martella ritmico e deciso, ma con forte espressività melodica, incalzato dal deciso drive del basso di Curtis Lundy, che a volte sputa proiettili di funk slappato.

Nove tracce a presa rapida, in cui spiccano l’opener «Pecado Primero», firmata Jack Walrath che crea una piacevole atmosfera da music hall anni ’40, con una superba tromba in primo piano, incalzata dal sax: sullo sfondo una Cuba, ancora colorata e cinematografica; a seguire «Hello Albert«, composta da Bobby Watson, che riporta l’ensemble su binari di un bop in odor di Jazz Messengers ed insanguato da movimenti latini. «Donna Lee» è un omaggio ad un classico di Charlie Parker, quasi reinventato e corroborato da un fulminante Watson in vena di eroiche gesta: «Ay Caramba», ancora a firma Watson, è la perfetta sintesi tra Nord e Sud del jazz: la title-track, «Everlasting», composta da Curtis Lundy, si caratterizza come un festoso bop, dal tratteggio soul-funk, diluito ed espanso da lunga linea percussiva. Registrato al Garden Production Recording Studio di New York, nell’aprile del 2008, «Everlasting» di «The Jazz Tribe» è un concentrato di bop-swing latino fuso a caldo, un album festoso ed irresistibile, melodico ed avvincente, che non dovrebbe mancare in nessuna collezione jazz, degna di questo nome.

Tutti i dischi sono disponibili nel catalogo della nuova Red Records di Marco Pennisi. Per informazioni: https://redrecords.it