// di Francesco Cataldo Verrina //
Billy Higgins – «For Peace», 1994
Billy Higgins è spesso ricordato dalla cronache jazz come il batterista del leggendario Quartetto di Ornette Coleman o come sideman al soldo di altri autorevoli jazzmen, dimenticando l’attività di Higgins come band-leader, soprattutto il suo rapporto con l’italiana Red Records con cui ha pubblicato alcuni classici di jazz mainstream. Come già sottolineato in altre occasioni, gli album in cui la guida è affidata ad un batterista, oltre ad una migliore compattezza ritmica, fanno emergere la maggiore libertà espressiva dei vari strumentisti ed una propensione all’improvvisazione da parte di tutto l’ensemble, senza mai disperdere lo spirito collaborativo.
Va sottolineato anche il fatto, che Higgins non ha mai cercato di scimmiottare nelle sue uscite da solista i capiscuola della batteria jazz, in particolare cercando di usare un metodo organizzativo simile a quello di Art Blakey. In genere i dischi di Billy Higgins sono delle piacevolissime performance inter pares, dei raffinati set all-stars che non perdono mai di vista l’unità d’intenti e la finalità del progetto nel suo insieme. In questa sessione il batterista si avvale della collaborazione di William Henderson al piano, il quale diventa una sorta di alter-ego, firmando anche due della nove tracce presenti nell’album; Horold Land al sax tenore e soprano, il quale, da par suo, aggiunge anche tre stille di creatività al progetto; infine, ma non ultimo Jeffery Litleton al basso. Higgins tiene unito il gruppo con sopraffina maestria e, sul finale si concede anche un’ottima composizione per soli tamburi, «Something For Juno (A Drum Suite Dedicated To Juno Lewis)», una vera e propria lezione di arte percussiva, quasi un lungo assolo di batteria della durata di oltre sei minuti. L’album si apre con «3/4 For Peace», dove il 3/4 indica un tempo di valzer, un perfetto tempo di danza dove pianoforte e batteria trasportano l’ascoltatore in continuo vortice di bellezza espressiva ed esecutiva.
«In The Trenches» mette ancora in risalto le zampillanti armonie del pianoforte di Henderson, mentre Higgins accompagna con un ritmo quasi spazzolato. «Thogether With Love» a firma Henderson, crea un atmosfera introspettiva e sospesa, mentre «Short Subject», composta da Land, il sax soprano sviluppa una ragnatela sonora surreale e fiabesca. Con «Dark Mood», composta sempre da Land, il gioco si fa «duro», il sassofonista lancia il suo infuocato tenore verso cime tempestose, imbeccato dal piano e dall’ottimo lavoro di sostegno di basso e batteria, puntualissimi dalle retrovie. Lo standard «What’s New» è una ballata dall’umore notturno ed oscuro, eseguita con un pathos abissale, dove il sax di Land accarezza le corde della nostalgia. «Step Right Up To The Bottom», altra creatura di Harold Land, è un ottimo post-bop uptempo nel segno della migliore tradizione, ottimo il lavoro collegiale di tutta la band. Con «Someday My Prince Will Come» si giunge a più miti consigli, con un raffinata ballata mid-range, magnificata dai ricami armonici del piano di Henderson.
Billy Higgins regala al mondo un piccolo scrigno di gioielli sonori ed una registrazione superba che fa risplendere al meglio il suono reale degli strumenti con una dinamica impressionante, forse una delle sue migliori incisioni discografiche: eccellenti tutte le composizioni e perfetti i suoi compagni di viaggio. Registrato il 27 gennaio del 1993 al Sonora Studio di Los Angeles, «For Peace» è un album che non dovrebbe mancare nella collezione dei veri cultori del grande jazz di ieri, di oggi e di domani.
Billy Higgins – «Once More», 1980
«Once More» è il terzo album a guida Billy Higgins per la Red Records, dove il batterista si avvale della collaborazione di Bob Berg al sassofono tenore, Cedar Walton al pianoforte e Tony Dumas basso. «Once More», registrato il 25 maggio 1980 al Music Center di Bologna, si basa su una perfetta sequenza di brani, a partire dall’iniziale «Plexis», firmata Cedar Walton, in cui Bob Berg, sostenuto dal bassista Tony Dumas, assume subito il ruolo del comando con un assolo potente ed esplosivo, volteggiando sull’ampia e spaziosa prateria sonora fornita dal pianista-autore, mentre Higgins martella dalle retrovie con colpi decisi e senza risparmio di energia. In «Lover Man» è Walton a tracciare le coordinate del viaggio con un lunga introduzione, seguita da un inciso di basso copioso e corposo, fino all’arrivo di Berg che lancia un infuocato assolo in modalità post-bop a una lunga gittata, senza mai smarrire il senso della melodia; Higgins, dal canto suo, mantiene la band ben salda sui binari, puntellando il perimetro sonoro con una quadratura rimica quasi mercuriale. L’armonia dell’insieme è sorprendente anche quando il quartetto espianta il classico «Sabiá» di Antonio Carlos Jobim dalle sue originarie radici bossa nova, trapiantandolo in un nuovo terreno di coltura e restituendolo al mondo degli uomini attraverso un costrutto post bop che supera i confini del tempo e dello spazio.
L’insaziabile Bob Berg è anche autore di uno dei momenti più significativi dell’album «Amazon», una melodia contagiosa imperniata su un semplice, ma insistente riff, che si pianta nelle meningi al primissimo ascolto, dove lo stesso Higgins trova il suo stato di grazia, imbeccato dal piano di Walton che passa alla modalità accompagnamento. La splendida «Estate» di Bruno Martino, rimodulata come un ballata brasiliana in agrodolce, dopo una lunga introduzione, ritrova tutto il suo potenziale melodico ed evocativo, grazie ad un penetrante assolo di Berg, sostenuto dal meditativo piano di Walton e dalle sussurranti spazzolate di Higgins. In chiusura «Horizon», un mid-range in crescendo con una lunga progressione di Bob Berg a tutto campo, calato in una dimensione quasi post-coltraniana e spintonato da un sezione ritmica al piccolo trotto. «Once More» è un altro piccolo gioiello di jazz dagli umori ambientali italici, ma dai contenuti internazionali.
Tutti i dischi sono disponibili nel catalogo della nuova Red Records di Marco Pennisi. Per informazioni: https://redrecords.it

