I dischi soul-jazz vengono spesso tenuti in una sorta di limbo da una certa critica intellettualoide, poiché considerati una forma di sotto-cultura jazzistica, roba da juke-box destinata al trastullo del popolo nero, specie della classe operaia, quella massa di gente con pochi mezzi e non troppe complicazioni mentali, che voleva soprattutto ballare e divertirsi. Se da una parte ci sono torme di cultori, anche nella nostra epoca, dall’altra insorgono gli haters dell’organo ritenuto uno strumento invadente e non adatto al jazz.

«Let ‘Em Roll» di John Patton, registrato al Rudy Van Gelder Studio, l’11 dicembre del 1965, è un album perfetto, magnificato da una melodia finemente soul, dal tono morbido dell’organo, rassicurante ed opulento, di Patton, dal tocco diagonale di Hutcherson, dalla ragnatela sonora della chitarra di Grant Green e dalla percussione millimetrica del drumming di Otis Finch. Si aggiunga che John Patton, a torto sottovalutato, risulta diverso da tutti gli altri organisti soul-jazz. Armonicamente meno sofisticato di Jimmy Smith, si distingue subito per l’immediatezza e l’impostazione del groove, il suo apporto funkified è spigoloso, il fraseggio è spesso arpeggiato e caratterizzato da linee di basso distintamente sincopate. Otis «Candy» Finch era un batterista di lunga data a fianco di una donna-organista Shirley Scott, quindi non estraneo al boogaloo. La chimica tra Patton e Grant Green era cementata da un certo numero di dischi realizzati insieme per la Blue Note, ma l’elemento inaspettato risulterà proprio Bobby Hutcherson, il quale determinerà un’accoppiata non comune tra l’Hammond B3 ed il vibrafono.

John Patton guidò sei album per la Blue Note e altri cinque negli anni della Liberty /TransAmerica, poca cosa rispetto ai 30 titoli che Jimmy Smith accumulò per l’etichetta di Lion prima di passare alla Verve. Patton fu, comunque, una figura di spicco in quell’ambito jazzistico radicato nel funk e nel blues conosciuto come soul-jazz, ma soprannominato anche boogaloo. Patton appartiene alla scuola di Larry Young, un organista dal solido groove ma collaborativo e più adatto ad un’impresa di gruppo piuttosto che foriero di un pirotecnico solismo alla Jimmy Smith. Il Nostro appronta la pietanza con vampate di soul, lanciandosi sotto le corse lineari e le figure geometriche di Grant Green, mentre, dal canto suo, Green opera magnificamente sotto le escursioni di Patton. Hutcherson apporta uno strato di complessità e di valore aggiunto che alza l’asticella della qualità al di sopra di una qualsiasi performance di tipo soul-jazz.

«Let ‘Em Roll» è un disco poco conosciuto, ma sicuramente costituisce una delle migliori performance di John Patton. Le composizioni sono tutte originali tranne «Shadow of Your Smile», La title-track è diventata un classico del soul jazz. La versione di «The Turnaround» domina, alimentata dalle formule di Patton e Green, basata su una chimica di intrecci e reazioni a catena. «Latona» è una scheggia di latin-funk. Se avesse avuto un andamento più lento, sarebbe stato una specie di latin-lounge ante-litteram. «Jakey» possiede un gancio melodico ed orecchiabile, ma non risulta privo di assoli ad intensità variabile. A suggello dell’album c’è «One Step Ahead», il climax dell’intero tragitto sonoro, basato un funk-blues minore in 5/4. Poliritmico, polisensoriale, modale, groover latino, boogaloo fluente, melodie a presa rapida, strumenti in overdrive, in altri termini «Let ‘Em Roll», un altro caposaldo del catalogo Blue Note da aggiungere alla vostra collezione.