// di Bounty Miller //

Branford Marsalis Quartet – “Crazy People Music”, 1990

Al netto delle preferenze personali “Crazy People Music” è certamente uno degli album più riusciti della carriera di Branford Marsalis. Il “giovane leone” di casa Marsalis fa un passo in avanti, oltrepassando il post-bop di maniera, talvolta troppo raffinata, scarnificando le sonorità e giocando soprattutto in maniera trasversale, meno simmetrica e prevedibile. Registrato il 10 gennaio, il 18 febbraio e il 1 marzo 1990 presso gli RCA Studios di New York, il set vede in prima fila anche il pianista Kenny Kirkland, morto prematuramente a soli 43 anni, il bassista Robert Hurst e il batterista Jeff “Tain” Watts.

Branford Marsalis imbraccia tenore e soprano, rubando l’anima a John Coltrane, il senso melodico a Sonny Rollins ed il piglio al Wayne Shorter più angolare. Il quartetto sprigiona un’energia non comune attraverso un perfetta intesa, a tratti telepatica, facendo di “Crazy People Music” un gioiello di jazz post-moderno. Ottimi i quattro componimenti originali firmati da Brandford, in particolare l’opener “Spartacus”, un hard-bop di nuova concezione con un impianto melodico irresistibile ed a presa rapida, dove piano e sax sembrano inseguirsi in una corsa contro il tempo, sostenuti da un’eccellente retroguardia ritmica. A seguire “The Dark Knight” di Bob Hurst, dilatato in una sequenza sine die, dove il sassofono crea una spirale infinita, fino a tre quarti dell’opera, quando il piano, come un cavaliere cambia passo fino a condurre la ciurma in una dimensione davvero oscura.

La prima facciata si conclude con “Wolverine”, un altro originale composto da Marsalis, nel quale il soprano sembra trasportare l’ascoltatore in dimensione coltranina modello “My Favourite Things” con Kenny Kirkland che saltella sui tasti alla McCoyTyner. La B-side si apre con l’acceleratore a tavoletta, è la volta del terzo brano inedito, “Mr.Steepee”, che consente al sax ed al piano un altro duello all’OK Corral senza spargimenti di sangue, ma soprattutto senza pausa e senza respiro. Segue un omaggio a Keith Jarrett, calato in una dimensione cupa e notturna, mentre la classica “Rose Petals” diventa una ballata fumosa e dilatata, capace d’intrappolare i sensi e distribuire emozioni a tutto spiano.

Random Abstract (Diddle It)”, fuoriuscito dalla penna di un Branford Marsalis, quanto mai ispirato, è un excursus modale multitematico, dove il sax elabora perfette progressioni in verticale, a tratti dissonanti, sfuggendo alla regolarità dell’impianto sonoro, ma senza mai smarrire il contatto terreno con la melodia. “The Ballad of Chet Kincaid”, scritta a quattro mani da Bill Cosby e Quincy Jones, offre a Marsalis la possibilità di sfoderare ancora il soprano, mentre il piano emette colpi distanziati e precisi, tanto da creare un swing alla Monk, i due strumenti di prima linea, ben assistiti dalle retrovie, producono un forte contrasto di sapori agro-dolci e di antico e moderno. “Crazy People Music” è certamente un album poco generalista e ruffiano, suonato con tigna e decisione, ma facilmente intellegibile alla moltitudine. Se si considera l’anno di pubblicazione, ossia il 1990, momento di dissenteria creativa del jazz moderno, è da considerarsi davvero una manna dal cielo per tutti i cultori e gli appassionati. 

EXTRA LARGE

Brandford Marsalis – “Random Abstract”, 1987

Questa è uno dei migliori set di Branford Marsalis, si percepisce un forte senso di libertà, di colorata creatività e di astrazione da un certa impostazione canonica, tipica dei jazzisti di terza generazione, spesso troppo ossequiosi nei confronti del passato recente e remoto. Branford Marsalis in quartetto viaggia spedito e senza freni inibitori su tenore e soprano assecondato dal pianista Kenny Kirkland, dal bassista Delbert Felix e dal batterista Lewis Nash. Registrato in Giappone al Sound City Studios di Tokyo il 12 ed il 13 agosto del 1987 (e la qualità sonora ne beneficia non poco), “Random Abstract” fa leva su un repertorio alquanto collaudato, ma restituito al mondo degli uomini in maniera rinvigorita e rinverdita, soprattutto il sassofonista, forse per gioco o per diletto, ma stando ai fatti per bravura, indossa i panni, o si mette nelle scarpe, come dicono gli Americani. di molti colleghi famosi: l’assonanza con Wayne Shorter nell’iniziale “Yes Or Not” è impressionante.

L’anima camaleontica di Marsalis emerge nella sua composizione tributo, “Crescent City”, dove aleggia l’inquieto fantasma di Coltrane, seguita da un omaggio ad Ornette Coleman con “Broadway Falls”, sempre a firma Marsalis, mentre il sorriso bonario di Ben Webster invade le calde note di “I Thought About You”; la ripresa della lunga interpretazione di “Lonely Woman” di Ornette Coleman riecheggia perfino certe atmosfere alla Jan Garbarek. Ma la chicca dell’album è certamente “LonJellis” composta dal pianista Kenny Kirkland, un pezzo proposto in modalità jam e senza cambi di accordi. “Random Abstract” è un album insolito rispetto al classico registro di Branford Marsalis, forse per questo più interessante ed imperdibile.