// di Guido Michelone //
Il maggior gruppo sassofonistico da tempo svolge un ruolo di rilettura del patrimonio musicale afroamericano: non stupisce quindi che in questo disco Bluiett e compagni si dedichino al blues politico quale forma artistica, ma anche come efficace strumento per criticare l’operato dell’amministrazione Bush su diversi fronti. Il risultato è indiscutibile sotto l’aspetto puramente musicale, anche perché accanto all’abituale quartetto di ance si aggiungono a dare man forte una ritmica intensa, le voci umane e altri fiati. Ecco quindi che “Political Blues” si pone tra i capisaldi di questa formazione all black, in riferimento soprattutto agli altri numerosi tributi dal “Duca” (Plays Duke Ellington, 1986) a Miles Davis (Selim Sivad, 1998), da Jimi Hendrix (Experience, 2003) a Julis Hemphill (Requiem For Julius, 2001) alto/sopranista fondatore del gruppo medesimo, scomparso per malattia.
In “Political Blues” il gruppo prospera grazie al colore degli strumenti, al gioco delle parti, all’incisività dei temi e infine alle mirabolanti invenzioni del solito Bluiett (baritono) leader generosissimo, dei grandi Oliver Lake (alto e soprano) e David Murray (tenore e clarinetto), del nuovo arrivato Bruce Williams (alto e soprano), dell’efficace Craig Harris (trombone), della spinta elettrica con Jamaaladeen Tacuma (basso), James Blood Ulmer (chitarra) e Lee Parson (batteria) e in un brano ciascuno di ospiti illustri come Jeremy Pelt (tromba), Jaleel Shaw (alto), Herve Samb (chitarra) e soprattutto Carolyn Amba Hawthorne (anziana blues singer). Parlando dei brani del disco, colpiscono in particolare la suite “Bluocracy” in tre parti per la qualità formale, la cover “Mannish Boy” da Muddy Waters e i tre pezzi cantati dai testi espliciti: la title track, “Spy On Me Blues” e “Amazin’ Disgrace” (gioco di parole sul classico spiritual Amazing Grace) parlano tutti dell’uragano Katrina e di come il Partito Repubblicano non brilli di certo per efficienza o solidarietà negli aiuti alla popolazione colpita dalla catastrofe naturale.
Ma al di là delle questioni ideologiche, è ammirevole il coraggio di affrontare anche con la musica questioni delicate senza mezzi termini. Il WSQ, dopo “Political Blues”, realizza solo “Yes We Can” (Jazzwerkstatt, 2010) in onore di Barack Obama che diventa il ventiduesimo album ufficiale, a trentatré anni dall’esordio con “Point of No Return” (Moers Music, 1977).
