VITO DI MODUGNO ORGAN TRIO vol.2 / MODERN JAZZ STANDARDS E ALTRE STORIE…
// a Cura della Redazione //
I Di Modugno, padre e due figli, sono una famiglia di musicisti professionisti. Pino, il padre, è un noto e stimato fisarmonicista. Il figlio Vito, diplomato in pianoforte, suona abitualmente il basso acustico e elettrico, strumento di cui è un virtuoso, e l´organo Hammond, giusta sintesi di piano, basso e tastiere. Nando, l’altro figlio, insegna chitarra classica al conservatorio Niccolò Piccinni di Bari e suona talvolta anche musica jazz con il sassofonista Roberto Ottaviano che sul sax soprano è uno dei migliori strumentisti in attività. La famiglia Di Modugno è ormai molto nota in ambito musicale in Italia e non solo e tutto ciò in un “paese normale” dovrebbe essere considerato un vanto e come tale andrebbe tutelato, ma così non è e purtroppo non possiamo farci niente.
Possiamo, però, contribuire a farvene conoscere la storia che comincia con il capostipite Pino Di Modugno, fisarmonicista internazionalmente noto, ma a me ignoto fino a quando non c´ho praticamente sbattuto contro alla Fiera degli Strumenti Musicali di Rimini, meglio nota come Disma Music Show, alla fine degli anni 90, dove la Red Records aveva uno stand, proprio di fronte a quello dove il Di Modugno padre dimostrava gli strumenti di una nota fabbrica delle Marche e, ogni volta, che si esibiva attraeva frotte di strumentisti professionisti e dilettanti che lo ascoltavano e l’applaudivano entusiasti. Non potevo ignorare la cosa anche perché nel repertorio di Pino Di Modugno erano sovente inseriti almeno un paio di jazz standards, fra cui “The Cat” di Lalo Schifrin e portato al successo internazionale dal padre dell’organo Moderno Jimmy Smith, che catturavano la mia attenzione sia per l´abilità tecnica che per la sintassi e la freschezza con cui erano suonati. C´era non solo del virtuosismo ma anche e soprattutto un istintivo e immediato senso del blues e del jazz nonché feeling e swing da vendere. A completare il tutto un uomo, semplice dall’eterno sorriso e dall’entusiasmo di un fanciullo, amato, rispettato e riverito da colleghi e non, e come in seguito appresi, ciò che accadeva a Rimini davanti ai miei occhi si verificava anche alla analoga e ben più importante Fiera degli strumenti musicali di Francoforte, dove Pino Di Modugno si esibiva sempre in qualità di dimostratore.

Qualche anno dopo la conoscenza del padre, ricevetti una mail da parte del figlio, Vito Di Modugno, che mi chiedeva se fossi interessato a produrre un suo CD organ oriented con un trombettista americano di passaggio. Declinai la proposta ma nell’accertarmi se era il figlio di Pino, solo per pura cortesia gli chiesi con quale tipo di formazione e repertorio avrebbe voluto fare la registrazione. Mi sottopose così una lista di brani a cui risposi sottolineandogli l´importanza di includere altri brani che avrebbero reso particolare la registrazione. Man mano procedeva l´esame della tracking list –cioè il repertorio del CD – cresceva in me l´interesse e la curiosità verso questa esperienza che sentivo come una sfida ed una occasione per fare qualcosa che mi sembrava avere un senso e una logica profonda molto attuale.
D’altra parte ogni volta che si fa una session è un come sposarsi. Divorziare si può sempre ma diventa complicato ed oneroso perché si dedicano tempo, energie e soldi ad un´impresa che non si sa mai come poi finirà. Dopo un intenso scambio di mail si giunse quindi alla scelta pressoché definitiva di quello che è contenuto nel disco in questione e che spazia da classici a tutti noti, bellissimi brani di compositori poco conosciuti anche se molto apprezzati da certi segmenti specializzati della jazz audience. Poiché il leader è un organista, in una session organ based strumentalmente e anche organ oriented compositivamente, si decise anche di accettare la sfida e confrontarsi con i maestri dello strumento che ne avevano fatto la letteratura, suonando alcuni dei loro brani più famosi ma riproponendoli e adattandoli all´epoca e mutandogli la veste sonora pur rispettandone il feeling ed il groove.
Da qui Larry Young, il John Coltrane dell’Hammond B3, e Duke Pearson, pianista e compositore e A/R della mitica Blue Note di Alfred Lion a cui si debbono delle memorabili e storiche sessions, nonché Jimmy Smith proprio con “The Cat”. Nella scelta dei musicisti si approdò ai nomi di Fabrizio Bosso, Stefano D´Anna, Sandro Gibellini, Massimo Manzi nonché Di Modugno padre – che costituiscono uno spaccato dell´Italia Jazzistica dalla Lombardia alla Sicilia – ed anche la ricerca del titolo “Organ Grooves” venne spontanea proprio per indicare il senso estetico e musicale dell´operazione che è stata ulteriormente arricchita dal suggerimento di Pino di inserire un bellissimo brano, “Les Grelots”, dell´organista francese Eddy Louis, e da lui magnificamente interpretato con un melanconico e sublime “french touch”. Per questo il cd è praticamente unico nel suo genere in quanto vi si respirano atmosfere non solo americane ma anche europee, per esempio i brani di Larry Young, Duke Pearson hanno subito un arrangiamento mirato a mettere in luce particolarmente gli aspetti melodici e il blues feeling, tipico degli organisti, mentre in “The Cat” predomina l’aspetto funky jazz.
“Organ Grooves” ha avuto un successo inaspettato, ma non tanto fra critici e addetti ai lavori, quanto fra i musicisti e in quel sotteso mondo di fans dell´organo Hammond e di tastiere di vario tipo. Si è così abbondantemente ripagato i costi di produzione andando in ristampa numerose volte. Oggi, a diversi anni dalla sua uscita, non solo continua ad avere un suo mercato ma costituisce un classico del catalogo Red Records ed ha ampia circolazione sia in Italia che all´estero. Tutto ciò in genere non succede per caso ma solo quando una musica ha un motivo per esistere autentico e profondo e risponde ad una esigenza dell´audience reale.

Il passo successivo è stato quindi il primo CD interamente jazzistico di Pino Di Modugno che ha delegato al figlio Vito la messa a punto del line-up, Sandro Gibellini alla chitarra, Vito all´organo, Massimo Manzi alla batteria, ed i fiati di Michele Carrabba al sax tenore e Vincenzo Deluci alla tromba in due brani, e di gran parte del repertorio che include prevalentemente jazz standards di Duke Pearson, Cannonball Adderly, Milton Jackson, alcuni classici del repertorio tipico degli accordeonisti nonché alcuni originals ed inizia con un brano di Bud Powell, “Down With It”, che è una vera dichiarazione d´intenti. Uno dei motivi non secondari che mi hanno spinto a produrre questo CD è stato non solo la stima nei confronti di Pino di Modugno ma anche il desiderio di far comprendere che esisteva un modo tipicamente jazzistico di suonare l’accordion che è oggettivamente uno strumento difficile in questo genere di musica. Sono molti coloro che oggi lo suonano dicendo di fare del jazz ma, a mio modo di vedere, in realtà fanno altro e per comprendere ciò basta solo mettere a confronto Pino Di Modugno, che per gran parte della sua vita ha suonato e continua a suonare altro per esigenze professionali, con qualunque suo collega per accorgersi della differenza e dell´abisso che esiste fra lui e gli altri sia strumentalmente che jazzisticamente.
Considero questo il disco importante, di un vero maestro dello strumento che approccia con modestia, umiltà ma anche consapevolezza un repertorio sul quale ben pochi hanno osato avventurarsi uscendone vincitore. In essa brilla una perla di inusuale bellezza, l´introduzione in solitudine e totalmente improvvisata di due minuti e sedici secondi a “Bedouin”, il brano di Duke Pearson che da il titolo al disco e riprende un celebre disco della Blue Note in cui primeggiava, come uno dei solisti principali, il mitico Joe Henderson, che risponde a tutti i criteri universalmente noti della composizione istantanea e crea un climax stupefacente per intensità e modernità. Parlandone un giorno con il pianista siciliano Salvatore Bonafede ho scoperto di non essere il solo ad apprezzare Pino Di Modugno. Salvatore lo stimava così tanto che aveva scritto delle musiche appositamente per lui contenute nel CD “Paradoxa”, dove Pino e Vito suonano in compagnia di Lorenzo Tucci e Pietro Ciancaglini ed il cui titolo dell´opera è, in qualche modo, una chiave di lettura del disco. Musica d´autore in cui jazz e altro confluiscono nel tipico e paradossale universo musicale di Salvatore Bonafede per il quale il termine “compositore” non è speso, come spesso succede, invano.
Anche il lavoro di Pino Di Modugno è stato un successo non solo dal punto di vista artistico ma anche da quello commerciale e questo a riprova che esiste un pubblico capace di ripagare gli sforzi produttivi soprattutto quando il prodotto è di eccellente livello tecnico e artistico. Attualmente è esaurito, come “Organ Grooves”, “Organ Trio Plus Guests”, “Paradoxa” ed è prevista, a breve, una ristampa di tutti questi CD per i quali continua ad esserci ancora mercato a testimonianza che se la musica di qualità di solito sopravvive al tempo in cui è stata prodotta. All’epoca di “Organ Grooves” Vito era un bravissimo musicista localmente noto ma nel frattempo è ulteriormente cresciuto ed ha avuto modo di esibirsi parecchio anche in giro per l´Italia suonando con musicisti del calibro di Bobby Watson al festival di Trenzano in una memorabile session con Salvatore Tranchini e Pietro Condorelli e, con il suo gruppo, ai festival di La Spezia e Serravalle Outlet e numerosi altri in giro per l´Italia, al Blue Note di Milano e all´Alexanderplatz di Roma. Vanta anche una pregevole collaborazione con l´Orchestra Arturo Toscanini di Parma con la quale ha eseguito il concerto per organo dei Deep Purple composto da John Lord. Da un paio d´anni visita regolarmente gli Stati Uniti dove ha suonato e registrato con la sassofonista Carol Sudhalter a New York e il grande Jerry Bergonzi a Boston, che non disdegnerebbe, peraltro, di registrare con lui. In jam session allo Smoke, si è confrontato con altri organisti, fra cui Mike Le Donne, ricevendone unanimi apprezzamenti e lodi, tanto che un manager specializzato nel giro degli organisti si è attivato per organizzare una prossima tournée nella East Coast.

Oggi Vito Di Modugno è uno strumentista e un musicista affascinante, nel pieno della sua maturità e può tranquillamente essere considerato un Top Organ Player worldwide. Chi scrive ritiene che abbia ben pochi rivali, anzi nessuno! CD alla mano brano per brano, ci si può confrontare con chiunque e trarne le medesime conseguenze con la opportuna competenza e buonafede. Organ Trio è stato registrato nella stessa session di “Organ Trio Plus Guests”. A questo proposito trovo doveroso ricordare che Bobby Watson lo ha apprezzato molto e, da sassofonista, ha speso anche parole di grande elogio per Michele Carrabba. Come il precedente si avvale della collaborazione preziosa di Pietro Condorelli alla chitarra e Massimo Manzi alla batteria. Il repertorio ha però un taglio più attuale e spazia da grandi compositori del jazz moderno pescando in modo bilanciato nell’area Blue Note oriented degli anni 60 -McLean, Dorham, Shorter, Larry Young – a cui aggiunge temi più eterodossi di Ornette Coleman e Jaco Pastorius e la contemporaneità di Cedar Walton e Bobby Watson e un paio di originals. Lo spazio solistico è ripartito fra Vito Di Modugno e Pietro Condorelli come nei classici trii organ/guitar based di innumerevoli organisti fra cui spiccano i grandi classici di Jimmy Smith con Kenny Burrell o Wes Montgomery o altri e quelli di Larry Young con Grant Green.
Se la formula è standard, ed è un banco di prova irrinunciabile per qualunque organista e/o chitarrista, non lo è il risultato che si distingue sia per la scelta del repertorio che per la resa del gruppo e dei solisti che ci mettono del loro in termini di sonorità e fraseggio e capacità interpretative. All´approccio decisamente nero con uno spiccato senso del blues di Vito si contrappone, in un felice contrasto, la chitarra di Pietro Condorelli dal fraseggio più cool, sofisticato e leggero ma che sa essere pieno e invasivo, con sonorità molto updated, come in Broadway Blues. Come capita spesso, per non dire quasi sempre, i temi sono dei veicoli per l´improvvisazione ossia lo spunto da cui partire, in cui quello che non c´è, ma spesso è sottinteso dalla natura del tema, ce lo deve mettere il solista per dare compiutezza e spessore alla musica. “Appointment in Milano” è qui reso in una dimensione più soft e intima rispetto a quella dello stesso Watson che è più drammatica e atmosferica. In questo contesto molto si deve al groove di Massimo Manzi che contribuisce alla propulsione dei solisti con un fraseggio moderno e spezzato, mentre un tocco a se è dato dalle sonorità nuove ed un po’ acide del piano Fender Rhodes che ben si sposa sia con la chitarra che con l´organo. Non esisteva a mia conoscenza una tipica session organ/guitar based di questo tipo fino ad ora nel mondo del jazz in cui tradizione e contemporaneità – la tradizione in movimento – si fondessero in modo così chiaro ed evidente e ad alto livello qualitativo strumentale e musicale. Credo che per chi è interessato a questi ambiti espressivi abbia più di un motivo per apprezzare questa musica che, per altro, è stata espressamente e più volte richiesta dagli appassionati del genere ed in questo senso può quasi intendersi anche come un lavoro su commissione. (Sergio Veschi, ottobre 2009).
N.B. I dischi citati sono disponibili nel catalogo della Nuova Red Records di Marco Pennisi. Tutte le informazioni al sito: https://redrecords.it