// di Mauro Micheloni //
Ecco una validissima testimonianza di come si possa tener vivo, aggiornato, convincente, persino originale il linguaggio dell’hard bop, ossia di un jazz lanciato addirittura in concomitanza con l’avvento del rock and roll, ossia tra il 1954 e il 1955. A esprimerne appieno la potenza sono, a quei tempi, quasi esclusivamente musicisti neri: oggi invece il sestetto One For All, è composto da soli bianchi, segno quindi che, nel corso dei decenni, l’hard bop giustamente si internazionalizza, diventando quindi il gergo comune tra i fautori prima del nuovo jazz, poi di una musica condivisibile, quasi moderata e tranquilla (e ripetitiva).
One For All forse non è né l’una ne l’altra cosa, ma un gruppo che vuole e sa fare di più. Composto da sei eccelsi solisti, nel rispetto del tipico combo, con tre fiati e tre ritmi, One For All, dopo circa un ventennio di attività, si presenta con “Incorrigible” nei panni di Jim Rotondi (tromba e flicorno), Eric Alexander (sax tenore), Steve Davis (trombone), David Hazeltine (pianoforte), John Webber (contrabbasso), Joe Farnsworth (batteria). Il sound insomma, a tratti, è volitivo, trascinante, vivace, grazie a un lavoro di équipe assai ben collaudato, che funziona tanto nel senso collettivo generale, quanto dalla somma delle singole individualità. A ciò si può altresì aggiungere che il disco funziona perché gli otto brani sono molto variati, benché le composizioni siano tutti originali: nell’hard bop odierno infatti il rischio di non improvvisare sugli standard, ma su soli brani propri è quello di stancare l’orecchio o banalizzare il discorso.
Ma non è così per One For All che, a parte l’iniziale e pur notevole “Bewitched, Bothered And Bewildered” di Jay Ferguson, si compone di song firmate da David (“Petite Ange” e “Blues For Jose”), da Steve (“So Soon” e “Spirit Waltz”), da Jim (“Voice” e “Back To Back”) e da Eric con la title-track. Dunque tutti, tranne John e Joe (di cui però va apprezzato il robusto accompagnamento), concorrono a creare un disco intelligente, che per molti versi non fa rimpiangere gli storici Horace Silver & Art Blakey’s Jazz Messengers, a cui idealmente si ispira il nuovo sestetto. “Incorrigible” è il quattoridicesimo album di una band che esordisce tredici anni prima con “Too Soon to Tell”(Sharp Nine, 1997), e che offre il giusto tributo al nume tutelare con “No Problem: Tribute to Art Blakey” (Venus, 2003) e che registra quello che è al momento l’ultimo album con l’etichetta che negli anni Dieci esprime il meglio della BAM o new hard bop grazie a “The Third Decade” (Smoke Sessions, 2016).
