// di Francesco Cataldo Verrina //

Nato a Columbia, South Carolina, il 16 giugno 1924, Lucky Thompson, estroverso ed incontenibile sassofonista tenore, considerato come un punto di raccordo tra il jazz pre-bellico ed bebop, ha colmato il divario tra il dinamismo fisico dello swing e le complessità cerebrali del moderno parkerismo, caratterizzandosi come uno dei principali alfieri del sassofono moderno con uno stile ed una tecnica non comune. Per quanto il suo nome resti una riga sbiadita nella storia del jazz moderno, gli studiosi più attenti considerano Thompson fondamentale per l’evoluzione del sassofono tenore, al pari di Lester Young, Coleman Hawkins e Don Byas. Il suo vero nome era Eli Thompson e quel soprannome «Fortunato», che gli venne attribuito dal padre, dopo avergli regalato una maglietta con la scritta «Lucky», si rivelò amaramente inappropriato e non adatto a quella che sarebbe stata una vita difficile e piena di difficoltà. La madre morì quando Lucky aveva solo cinque anni, quindi trascorse il resto di una sofferta infanzia in gran parte a Detroit, dove la necessita e le ristrettezze economiche lo costrinsero a darsi subito da fare per aiutare il padre a mantenere e crescere i fratelli più piccoli.

Il piccolo Thompson amava la musica, ma la speranza di poter acquistare uno strumento sembrava assai remota. Dopo essersi adoperato in mille lavoretti e commissioni varie, guadagnò abbastanza per comprare un manuale di istruzioni per sassofono, completo di tabella delle diteggiature, quindi intagliò delle linee imitando le chiavi ed i tasti sul manico di una scopa, imparando a leggere la musica qualche anno prima di poter suonare un vero sax. Una leggenda metropolitana narra che, per uno strano gioco del destino, il giovane Thompson ricevette per sbaglio un sassofono: una società di consegne ne lasciò erroneamente uno sull’uscio di casa sua, avvolto in una sfavillante custodia, insieme ad alcuni mobili e suppellettili varie. Dopo essersi diplomato al liceo ed aver lavorato brevemente come barbiere, nel 1943 il provetto sassofonista si legò al gruppo di Lionel Hampton stabilendosi a New York City. Proprio durante la tournée con Hampton, firmò per la Bama State Collegians, l’ensemble guidato da Erskine Hawkins.

Giunto nella Grande Mela, Thompson venne subito scelto per sostituire Ben Webster durante un regolare concerto al Three Deuces sulla 52esima Strada: Coleman Hawkins, Lester Young, Art Tatum e lo stesso Webster erano tutti presenti al debutto di Thompson, e sebbene egli abbia sempre considerato quella performance un disastro (era un noto perfezionista, raramente, se non mai, soddisfatto del suo lavoro), tuttavia si guadagnò rapidamente il rispetto dei più noti colleghi divenendo un’attrazione fissa in quel club. Dopo un periodo a fianco del bassista Slam Stewart, Thompson partì di nuovo in tour con Hampton, prima di unirsi alla big band di Billy Eckstine in cui militavano anche Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Art Blakey, in altre parole, il Ghota del nascente bebop. Ciononostante, il sassofonista di Columbia non si adattò mai del tutto completamente al paradigma del «movimento»: il modo di suonare di Thompson esprimeva un’eleganza ed un carattere formale dal tratto saliente e personale, con una profondità emotiva, assai rara tra i tenori della sua generazione, sedotti spesso da un desiderio di muscolarità competitiva e da un chiassoso velocismo da gara. Il suo manifesto programmatico in tal senso potrebbe essere un album del 1954, «Accent On Tenor Sax».

Alla fine del 1944, si unì alla Count Basie Orchestra che abbandonò presto per stabilirsi Los Angeles, almeno fino al 1946. nella città californiana lavorò come arrangiatore, partecipando in qualità di sideman a svariate sessioni dell’etichetta Exclusive. A questo punto, il sassofonista sembrava vivere appartato e rinunciatario nel suo buon ritiro losangelino, lontano da New York, dove si andavano consumando gli eventi epocali del jazz moderno, ma Dizzy Gillespie lo scosse dal torpore. Il trombettista lo assunse per sostituire Charlie Parker nel loro combo epocale. Il 28 marzo del 1946 l’irrequieto Lucky suonò anche nella storica sessione di Parker per la Dial; ed in quello stesso anno diventò membro del progetto All-Stars di Charles Mingus e Buddy Collette. Tale attività consociativa, purtroppo, non venne mai finalizzata ad una registrazione in studio o live.

Thompson tornò a New York nel 1947, al famoso Savoy Ballroom, alla guida di un line-up tutto suo, mentre l’anno successivo esordì in Europa al Nice Jazz Festival, continuando a partecipare a varie sessioni per conto terzi, al servizio dei nomi più importanti della scena bop di quegli anni, tra cui Thelonious Monk e Miles Davis (partecipò al seminale Walkin’). Il carattere spigoloso ed intransigente, però, spingeva il sassofonista di Columbia a non trovare mai un legame con la stabilità ed a camminare sul filo del rasoio. Sostenuto da un gruppo soprannominato Lucky Seven, con il trombettista Harold Johnson e l’altoista Jimmy Powell, il 14 agosto 1953 Thompson interruppe bruscamente la sua prima sessione in studio come band-leader, tornando sul luogo del «delitto» il 2 marzo dell’anno seguente. Per il resto della sua carriera rimase un sideman di lusso, godendo di una collaborazione particolarmente fruttuosa con Milt Jackson con cui, durante la metà degli anni ’50, registrò diversi album. Non sono da meno alcune sessioni del 1956 registrate con l’accompagnamento dell’Oscar Pettiford Trio come «Lucky Thompson Featuring Oscar Pettiford».

Molti musicisti, per non parlare di certi dirigenti delle case discografiche, trovavano complicato trattare con Thompson, il quale era notoriamente schietto su ciò che considerava «un potere ingiusto» quello esercitato sul jazz dal business delle etichette discografiche, dagli editori musicali e dagli agenti, tanto che nel febbraio 1956 cercò di sfuggire al sistema di costoro che chiamava «avvoltoi», trasferendo con tutta la famiglia a Parigi. Due mesi dopo era già nell’organico di Stan Kenton durante il tour francese. Al rientro negli Stati Uniti, sempre al soldo di Kenton, si trovò nella lista nera di Joe Glaser, manager di Louis Armstrong. Thompson aveva avuto un diverbio con Armstrong, il quale pretendeva di essere il primo musicista a lasciare l’aereo dopo l’atterraggio, al rientro da un tour o da una serata. Boicottato in patria e senza un lavoro fisso, Thompson ritornò a Parigi dove iniziò una proficua collaborazione con il produttore Eddie Barclay, partecipando a decine di sessioni di studio per l’etichetta di quest’ultimo. Di questo periodo, meritano una particolare menzione l’album «Lucky Thompson in Paris 1956. The All Star Orchestra Sessions» e «Lucky In Paris» del 1959.

Il tenorista rimase in Francia fino al 1962, rientrando a New York. Nella Grande Mela, ritrovato il giro, un anno dopo partecipò come headliner ad un importante progetto della Prestige «Plays Jerome Kern And No More”, insieme al pianista Hank Jones. In questo periodo darà alle stampe alcuni dei suoi album più significativi come «Lucky Strikes», registrato il 15 settembre del 1964 al Van Gelder Studio con la complicità di Hank Jones al pianoforte, creando un’ambientazione sonoro del tutto personale, equidistante sia dalle mollicce atmosfere del West Coast Sound che dai furori avanguardistici del post-bop. Altre interessanti registrazioni, realizzate tra il 1963 ed il 1965 allo Studio Van Gelder, vanno sotto il nome di «Lucky Thompson Happy Days». Anche in questi set Thompson è affiancato da Hank Jones.

La prematura scomparsa della moglie pose Lucky ancora in una condizione di difficoltà artistica ed esistenziale. Sembrava che quel nomignolo «Fortunato», fosse piuttosto una maledizione degli Dei che un bene: oltre a lottare per crescere i propri figli da solo, le vecchie battaglie del sassofonista con i potentati discografici e manageriali non erano mai giunte ad un armistizio o trovato una tregua; così e nel 1966, dalle pagine della rivista Down Beat, Lucky Thompson annunciò formalmente il suo ritiro. Di certo, per uno spirito inquieto come lui non sarebbe stato facile appendere veramente le armi al chiodo, dunque, nel giro di pochi mesi dal fatidico annuncio di ritiro, il veterano Thompson è di nuovo sul piede di guerra, anche se le sue frustrazioni nei confronti dell’industria discografica permangono. Il 20 marzo 1968, data di registrazione di «Candid Lord, Lord Am I Ever Gonna Know?», egli disse: «Lo sento, ho solo scalfito la superficie di ciò che so di essere in grado di fare».

Dalla fine del 1968 al 1970, Thompson visse a Losanna, in Svizzera, battendo in lungo ed in largo tutta Europa prima di tornare negli Stati Uniti, dove insegnò musica alla Dartmouth University. Nel 1973, diresse la sua ultima registrazione, «I Offer You». Sempre del 1973, risulta assai interessante l’album, «Goodbye Yesterday», registrato insieme a Cedar Walton e Billy Higgins. I restanti decenni della vita di Thompson sono in gran parte un enigma avvolto in un mistero. Si racconta che avesse trascorso diversi anni sull’isola di Manitoulin, in Ontario, come una specie di Robinson Crusoe, prima di trasferirsi a Savannah in Georgia, dove fu costretto a vendere i suoi sassofoni per poter pagare la parcella di un dentista. In seguito fece perdere le proprie tracce trasferendosi nel Pacifico Nord-Occidentale. Le sue condizioni economiche andarono progressivamente peggiorando, al punto che, a seguito di un lungo periodo vissuto per strada e all’addiaccio come un «barbone», nel 1994 fu accolto dal Columbia City Assisted Living Center di Seattle, nel quale rimase in assistenza fino alla morte, avvenuta il 30 luglio 2005.

Lucky Thompson, Dizzy Gillespie, Charlie Parker e Billy Eckstine, 1944