Buster Williams – «Pinnacle», 1975

// di Francesco Cataldo Verrina //

Buster Williams, oggi ottantenne, è considerato uno dei grandi maestri del contrabbasso moderno. Il suo curriculum si pregia della partecipazione in qualità di sideman a set storici a fianco di Herbie Hancock, Art Blakey, Herbie Mann, McCoy Tyner, Dexter Gordon, Gene Ammons, Gary Bartz, Chet Baker, Kenny Barron e Roy Ayers, o di rinomato accompagnatore di jazz-singers quali Sarah Vaughan, Nancy Wilson, Betty Carter e Bobby McFerrin. Il bassista del New Jersey debuttò come band-leader nel 1975. Proprio in quell’anno, Buster Williams, non sapeva che un giorno sarebbe diventato anche un valido autore di colonne sonore e spot pubblicitari per la TV, ma tutti i suoi pensieri erano concentrati sulla recente esperienza nella band di Harbie Hancock.

Tutto ebbe inizio con l’album «Mwandishi» di Herbie Hancock, in cui Buster Williams aveva suonato il basso. Hancock si era aperto aperto un varco nella fitta boscaglia di stili, linguaggi, generi e sottogeneri in uso che in quegli anni, affollavano il territorio jazz (o sedicente tale), destabilizzando i canoni del free di maniera e della fusion-elettrica a basso consumo energetico. Così, con «Pinnacle» Williams scelse di ricreare proprio quelle trame e quelle atmosfere mantenendo solo il batterista Billy Hart tra i vari membri di quel line-up. Il pianista Onaje Allan Gumbs, indossò un armatura hancockiana, clonandone lo stile, ma non l’estro, ad eccezioni dei momenti più elettrici, che ne denotano il naturale eclettismo imitativo, in particolare in un roccioso brano dall’impianto funkified, «The Hump». Scorrendo l’album ci si avvede che il pianoforte di Onaje costituì la spina dorsale di tutto l’impianto sonoro, con delle punte d’eccellenza in «Noble Ego», un groviglio sonoro dalla struttura gospel e in «Batuki» che si aggroviglia su molteplici elementi esotici, i quali tentano di diluire l’eccesso di elettronica liofilizzata. I fiati di Earl Turbinton e Sonny Fortune condivisero il compito di ricreare la spavalderia e la dolcezza di Bennie Maupin, mentre la tromba di Woody Shaw, uomo per tutte le stagioni, portò il suo caratteristico brand nella title-track e in «Batuki».

L’aggiunta del percussionista Guilherme Franco in «Noble Ego» e «Pinnacle» suggerisce l’ampia visione d’insieme che il bassista intendeva ricreare: un concentrato di esotismo elettrificato e multidirezionale, che non lasciasse particolari punti di riferimento, proprio come aveva fatto Hancock nel paradigmatico «Mwandishi». Le cinque lunghe composizioni, quattro a firma Williams, crearono momenti propedeutici ad un’improvvisazione mai banale, a tratti angolare e sfuggente ma sempre ponderata. Lo stesso Buster dimostrò un forte equilibrio, assai geometrico e controllato, ben rappresentato ma circoscritto all’interno dei suoi spazi espositivi, mai fuori luogo o ostruttivo come spesso accade quando il band-leader è un elemento della sezione ritmica. Williams dimostrò ampiamente di aver sviluppato un linguaggio, che lo portava oltre la più lineare sintassi di Ron Carter o di altri illustri predecessori, anticipando chiaramente quelle che sarebbero state le basi per uno stile alla Stanley Clarke.

«Pinnacle» fu un ottimo trampolino di lancio per bassista attraverso moduli espressivi non convenzionali e sonorità spaziali, che avrebbero trovato una naturale evoluzione nelle opere successive, ma che fissarono i punti di ancoraggio di un sound ad ampio raggio e ricco di suggestioni. Per verità storica, l’album fu la risultante di un forte impegno collettivo: Buster Williams: basso acustico, basso fender e voce in «Pinnacle»; Earl Turbinton: sax soprano in «Pinnacle», «Tayamisha», «Batuki», clarinetto basso in «The Hump» e «Pinnacle»; Sonny Fortune: sax soprano in«The Hump» e «Pinnacle», flauto in «Batuki», flauto contralto in «Pinnacle» e «Tayamisha»: Woody Shaw: tromba in «Pinnacle» e «Batuki»; Onaje Allan Gumbs: pianoforte acustico , piano elettrico, sintetizzatore Moog, ensemble di archi; Billy Hart: batteria; Guilherme Franco: percussioni; Suzanne Klewan e Marcus: voce in «Noble Ego»e «Pinnacle».

La predisposizione al collettivismo collaborativo fu una delle costanti di quello stralcio di anni ’70, quando ammassi di sonorità e ritmi, provenienti dai quattro punti cardinali della musica, si addensavano nei dischi, dove una sorta di panafricanismo elettrificato diventava la via maestra o la via di fuga per tanti musicisti alla ricerca di un centro di gravità permanente. L’operazione di Buster Williams avrebbe potuto costituire un punto di partenza, se, come raccontato, non ci fosse stato un precedente. Va da sé che, nel marasma di un decennio da basso impero e da oscurantismo creativo, dove impegno, avanguardia, antagonismo, moda e tendenza si mischiavano facilmente, «Pinnacle» costituisca un momento di fervida creatività o di libertà dagli schemi e dai codici del mainstream.