// di Irma Sanders //
Per descrivere un album del genere, musicalmente concreto, ma allo stesso tempo surreale e visionario, bisogna innanzitutto usare l’arma dell’immaginazione e lasciarsi trascinare dall’istinto, al fine di penetrarne le profondità e scandagliarne la forza emotiva. Trovare una definizione congrua del costrutto musicale e concettuale potrebbe risultare impresa assai ardua. Usando il pensiero laterale e procedendo per assonanze, si porrebbe parlare di una sorta di «quarta via» ideale, che partendo da Debussy, vero motore mobile dell’opera, giunga a Brubeck o ad altri fenomeni legati al jazz classicheggiante, i quali nel corso dei decenni hanno fatto delle aritmie il loro terreno di impianto e di coltura.
In più occasioni l’AB Quartet ha cercato di mettere le mani avanti, sostenendo più o meno quanto segue: «Il nostro stile è piuttosto difficile da definire perché è frutto di influenze molto eterogenee, dalla musica antica al jazz, dalla contemporanea al metal. Il nostro comune denominatore in ogni caso è l’interesse per l’improvvisazione radicale. Il risultato è una musica in cui gli echi di stili musicali differenti si mischiano e in cui la facilità di ascolto, oltre a nascondere una difficoltà esecutiva non comune, lascia a lungo nell’ascoltatore il ricordo di questa musica».
«I bemolli sono blu», è il secondo album dell‘AB Quartet pubblicato dalla TrJ Records ed ispirato alle musiche di Debussy, musicista molto avanti rispetto ai suoi coevi e sempre con un passo proiettato verso il futuro. Il quartetto formato da Antonio Bonazzo al pianoforte, Francesco Chiapperini al clarinetto e clarinetto basso, Cristiano Da Ros al contrabbasso e Fabrizio Carriero alla batteria e percussioni, prende in prestito anche la definizione con cui lo stesso Debussy descriveva i «bemolli», associandoli al blue, colore che dava un’idea di morbidezza, rotondità, profondità, ma anche di una sonorità avvolgente e notturna: concetto che, in qualche maniera, ricalca il significato delle blue notes usate nel blues e nel jazz.
L’intenzione è palese: «Per quanto riguarda il concept del disco, ci siamo rifatti alla musica di Debussy – racconta il quartetto – anche se spesso non sono rimasti che fugaci accenni del materiale originale. Abbiamo invece lasciato largo spazio alla creazione di una nuova musica, ibrida e di difficile collocazione dal punto di vista stilistico». In verità, l’album «I bemolli sono blu» nasce dalla rivisitazione di alcuni brani di Debussy, in occasione del centenario dalla morte del musicista francese, adattati però allo stile di Antonio Bonazzo e soci. I temi originali, sia pur trattati come standard, vengono eseguiti con estrema libertà; a volte sono solo accennati o occultati dalle fitte trame sonore sviluppate dal gruppo, ma rimandano inequivocabilmente alle inconfondibili atmosfere del compositore.
Il dinamico e sinergico scambio tra i musicisti sviluppa una singolare rappresentazione della musica di Debussy a un secolo di distanza, ma con una connessione diretta a quello che potrebbe essere un modulo espressivo di jazz contemporaneo calato un caleidoscopio sonoro, dove le sette tracce dell’album, pur essendo in massima parte scritte su pentagramma, concedono notevole spazio alla fase improvvisativa, sia singolo che dell’ensemble. L’album si regge su un’architettura sonora dalle timbriche non consuete e prevedibili, puntellata da ritmi irregolari e da linee melodiche segnate da marcati sviluppi contrappuntistici. Ne scaturisce, per tanto, uno stile ibrido difficilmente catalogabile o incasellabile in un preciso genere musicale. Siamo di fronte ad un insieme di metalinguaggi sonori che attingono alla tradizione classica, filtrata attraverso i moduli espressivi di un jazz a maglie larghe e del rock progressivo, mentre un linea di confine taglia stili molteplici legati all’hic et nunc della musica contemporanea.
Le sette tracce del percorso sonoro: 1.Moon / 2.Serenade / 3.Snow / 4.The five notes / 5.Disharmonies / 6.Immagini dimenticate / 7.Movements si srotolano attraverso un plot narrativo che sembra camminare sulla tensione superficiale dell’acqua, con disinvoltura ed estrema leggiadria, tra alti e bassi, onde improvvise, luci ed ombre, discese abissali e momenti di calma apparente, un un universo sospeso e dai tratti sfumati e non contenibili in un precisa galassia musicale.
Le dichiarazioni del quartetto, aiutano di certo la comprensione: «Al di là del centenario, la scelta di Debussy è dovuta al fatto che vari aspetti della sua musica come l’armonia e molte sonorità sono molto vicini al nostro stile e al nostro gusto. Dal punto di vista più strettamente tecnico abbiamo trattato i temi originali con una certa libertà, talvolta sono evidenti ma più spesso questi sono nascosti nelle pieghe dello sviluppo musicale o addirittura solo accennati. In ogni caso le atmosfere di Debussy riecheggiano inconfondibili in tutto il disco». «I bemolli sono blu» dell’AB Quartet è un album di serena bellezza, un viaggio che affascina ed appaga, al riparo da ogni prevedibile e scontato itinerario sonoro. Sono certo che vi sorprenderà.
