Miles Davis & Marcus Miller – “ Siesta”, 1987
// di Francesco Cataldo Verrina //
Le quotazioni di Miles Davis, all’inizio del 1987, erano in forte aumento e mostravano un flottante assai attivo. Il trombettista era in buona salute, godeva di un discreto successo di vendite e del parere favorevole di una creta critica, specie quella interessata alla musica “commerciale”, mentre “Tutu” volteggiava nell’airpaly radiofonico soggiogando le dance-floor di mezzo mondo. La domanda che in molti si ponevano era più o meno questa: adesso dove sarebbe andato a parare Davis e come sarebbe stato il follow-up di “Tutu”? Tra le varie opzioni c’era anche quella di un ipotetico lavoro per il cinema. E’ notorio che il trombettista non fosse estraneo al mondo delle colonne sonore: “Ascenseur Pour L’échafaud (Lift To The Scaffold”), in italiano “Ascensore per il patibolo”, era stata per lo più improvvisata in soli due giorni, così come la musica creata per “Jack Johnson” fu altrettanto spontanea, sebbene soggetta al dettagliato lavoro di post-produzione da parte di Teo Macero.
Così quando Davis ricevette una telefonata dai produttori di Siesta, dopo che la loro richiesta di utilizzare “Sketches Of Spain” nella colonna sonora del film era stata rifiutata dalla casa discografica, si rivolse al fidato Miller per per un sostegno creativo. Miles fornì a Marcus le solite istruzioni alquanto criptiche: “Scrivi della musica che dovrebbe suonare come qualcosa di simile” – Facendo riferimento a Sketches Of Spain – “Quando hai bisogno di una tromba, fammelo sapere”. Anche Miller, all’inizio dell’87, era in corsa per le le stelle, fresco della coproduzione di “Tutu”, la sua carriera si stava espandendo in tutte le direzioni. Pur non essendosi mai cimentato in una colonna sonora prima di allora, abbracciò il progetto senza esitazione alcuna, entusiasta di lavorare di nuovo con Miles.
Il bassista-producer intuì subito che gli elementi spagnoli presenti nel film avrebbero potuto determinare notevoli sviluppi creativi. C’era un solo problema: quel film non aveva dietro una produzione miliardaria, era una sorta di low budget ed il tempo era alquanto stringente. Quello che avrebbe potuto essere un lavoro di hackeraggio sonoro e di campionamento mordi e fuggi con una guest-star a mezzo servizio, si rivelò quasi un trionfo: chitarre spagnole, suoni metallici vagamente astratti, ottoni bassi in versione elettronica intenti a ricreare le trame Gil Evans “Sketches of Spain”, effetti pulsanti, cori vocali sospiranti, tamburi da parata e riff di basso alla Weather Report incorniciarono le linee improvvisate, ritagliate e arricciate di Davis, con le loro forme graziosamente abbozzate, la spaziatura paziente e le note acute chiare e penetranti.
“Siesta” è il perfetto compare di “Tutu”: il lavoro sulla tromba da parte di Davis risulta tra i più sorprendenti e spontanei dell’ultimo decennio di vita. Paul Tingen definisce l’album come “l’apice della collaborazione fra Miller e Miles. Il trombettista da al materiare fornito da Marcus sia importanza che pathos, attraverso un suono che ricorda un ragazzino in cerca sua madre”. “Siesta” è tanto un album di Miller quanto di Davis, pur non presente in tutte le tracce, dove i sui inserti creano nell’ascoltatore un’atmosfera spagnola istantanea. La danza spettrale della tromba sconsolata, della pungente chitarra di Earl Klugh e del ricco panorama sonoro disegnato da Miller in “Lost in Madrid Part V” sviluppa una dimensione sonora impeccabile e fortemente seduttiva.
Si narra che l’intera troupe cinematografica, dopo aver ascoltato l’elegiaca “Los Feliz”, sia scoppiata in lacrime, così come per la drammatica “Conchita” arricchita da sfumature di flamenco. Il fantasma dell’arrangiatore di “Sketches of Spain” del 1959, Gil Evans, incombe su tutto l’album e “The Master” è dedicata a lui. Si potrebbe immaginare come “Los Feliz”, “Siesta” o “Lost In Madrid” avrebbero potuto essere con il pieno supporto orchestrale e l’arrangiamento di Evans, ma Miller ed il suo principale collaboratore, Jason Miles, trovano costantemente gli elementi costitutivi e le dinamiche musicali più appropriate, attraverso splendidi voicing di pianoforte, un gioco leggero e sottile di sintetizzatori e bassi fretless.
Come sottolinea George Cole nel libro The Last Miles: “Solo i nomi di Michel Legrand, Gil Evans e Marcus Miller hanno condiviso la copertina di un album di Miles Davis, e questo dimostra quanto Miles abbia apprezzato gli sforzi del bassista, il quale ad eccezione di alcuni cammei, suona tutti gli altri strumenti ”. Peccato che “Siesta” sia forse l’opera più trascurata degli ultimi anni della carriera di Miles Davis che, lungo il viale del tramonto, al crepuscolo dell’esistenza, guardò la passato e alle proprie radici, non con nostalgia, ma con ritrovata verve e giovanile inventiva. Come disse lo stesso Miller: “C’è molta più musica in “Siesta” che in tutto il caveau della Warner Bros”.
