Pure Joy – «Firedance», 2019
// di Irma Sanders //
Pubblicato nel 2019 dalla Abeat Records, «Firedance» di Pure Joy è un disco da ricercare, anche perché non comune e caratterizzato da una cifra stilistica superiore allo standard qualitativo europeo medio. Parliamo di un album dai contrafforti internazionali, sia per l’ottima qualità compositiva della contrabbassista e leader Joy Grifoni, sia per l’eccellente caratura esecutiva dell’ensemble: Giovanni Amato tromba e flicorno; Francesco Baiguera chitarra; Guido Bombardieri sax contralto, sax soprano e clarinetto basso; Emanuele Cisi sax tenore; Mattia Manzoni pianoforte, Davide Bussoleni batteria ed ovviamente Joy Grifoni contrabbasso e voci, vera anima del progetto, ottima strumentista ed artista tout-court, in grado di oltrepassare la professione di musicista, ma soprattutto capace di supportare e corroborare le semplici composizioni con una serie di suggestioni poetiche e motivazioni ideali.
Da qui un concept visionario legato all’emergenza ambientale, da sviluppare attraverso un percorso a tappe costituito da cinque dischi dedicati ai principali elementi della natura: «Firedance» porta l’ascoltatore nell’era del «fuoco». Scorrendo le otto tracce originali si avverte una forte dimestichezza con la materia sonora, che travalica il ristretto ambito localistico del jazz italiano, spesso non del tutto definito rispetto ai moduli afro-americana. Tra modernità e tradizione che si uniscono in afflato sincrono e sincretico, il costrutto musicale si schiude ad una dimensione olistica, che sembra coprire l’intero arco evolutivo del jazz moderno, per sfociare in un elegante post-bop filo-americano con qualche linea di credito verso un’embrionale «terza via» europea. L’itinerario si snoda tra atmosfere a volte sospese ed oniriche, come l’iniziale «Play Like Down», altre pressanti e marcate come «Hism», annunciata da un lungo assolo di basso, e poi narrata con un gusto urbano e funkified.
In «Prometheus» la prima linea intesse un arazzo melodico vagamente etereo, fortemente lirico e con accenni classicheggianti, sostenuto da un’impeccabile retroguardia ritmica dal passo calibrato e mai invadente. Il fuoco, elemento guida dell’album, sia accende per scaldare gli animi dopo una tempesta di note, «After The Storm» mostra tutta la sua vocazione fusion, con la chitarra che diventa protagonista e prepara il terreno al sax. In realtà il ruolo dei singoli sodali è ben ponderato ed equamente distribuito nelle partiture, ma senza eccessi di protagonismo, così «Phoenix Ash», con il suo aplomb da notte metropolitana, crepuscolare e piovigginosa, mostra un convincente equilibrio d’insieme nella lettura del tema e nello svolgimento strumentale. «Coward Tale» s’infila inizialmente un’atmosfera fiabesca, che richiama il jazz nord-europeo, presto diluito da un’improvvisazione che sposta il baricentro verso altri lidi, specie l’arrivo della chitarra allarga maggiormente lo spettro d’azione mentre il sax emana un flusso sonoro quasi orientale.
«Me Loves Company» è un midrange in crescendo dal sangue blues innervato da un groove marcato e da innesti di fiati a corto raggio, ma il sassofono prima e la tromba, che ne segue le coordinate, lo trasformano presto in una vetrina di hard bop post moderno, mentre l’ineffabile basso di Joy Grifuni e la batteria di Davide Bussoleni ne delimitano abilmente il perimetro. Chiude i battenti «Kintsugi» che sposta la bussola dell’ensemble verso una condizione profondamente lirica, quasi un’alta marea di note che emerge da un abisso di emozioni. «Firedance» è una danza propiziatoria intorno al fuoco del jazz, dove nulla è affidato al caso, ma dove tutto nasce per caso, poiché il filo conduttore è l’amore ancestrale per la natura e la forza dei suoi elementi.
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