// di Francesco Cataldo Verrina //

Considero questo passaggio determinante nella lunga carriera di Roberto Ottaviano, musicista e compositore atipico nel panorama italiano, la cui ricerca sonora nel segno della diversità non finirà mai di stupire. Pur rimanendo nel solco della tradizione, tutte le opere di Roberto non sono mai convenzionali e prevedibili.

Il musicista e compositore è affiancato in «Rhapsodies» dal quartetto «Eternal Love» composto da Marco Colonna (clarinetti), Giorgio Pacorig (piano, rodhes), Giovanni Maier (contrabbasso) e Zeno De Rossi (batteria) ampliato, nel primo cd «Resonance» dall’Extended Love con la presenza anche di Alexander Hawkins (piano), Danilo Gallo (contrabbasso e basso acustico) e Hamid Drake (batteria).

Per comprenderne le dinamiche, i contenuti e le scelte stilisti, le parole di Ottaviano diventano la migliore soluzione anche per un vecchio recensore-grafomane come il sottoscritto: «I miei ultimi lavori, “Sideralis” ed “Eternal Love”, apparentemente antitetici sul piano estetico giacché più aleatorio e proiettato verso una dimensione cosmica il primo, mentre più terrigno e radicato in un solco tracciato da una tangibile umanità il secondo, erano in realtà uniti da una attenzione spirituale presente in tutta la mia concezione ed il mio approccio all’esperienza musicale», sottolinea Ottaviano. «Questa sorta di ‘Spiritual Unity’ contraddistingue di conseguenza anche il nuovo lavoro, che prosegue nell’affermazione di un duplice piano di riflessione ed elaborazione. Il doppio disco intende infatti muoversi in un complesso universo che include da una parte memorie recondite e dall’altra esperienze dirette tradotte musicalmente, entrambe componenti di un unico nucleo vitale che guarda in due direzioni speculari, esterno ed interno. Le memorie recondite contenute in “Resonance”, in parte lascerebbero pensare ad un omaggio ad Ornette Coleman, sebbene il doppio quartetto solo nominalmente richiama la produzione del musicista Texano tant’è che oltre una evidente distanza estetica dal suo Free Jazz, anche l’organico si differenzia presentando qui la rarità costituita dalla presenza di due pianisti che agiscono simultaneamente», continua il sassofonista. «A tutti gli effetti c’è qualcosa di più sostanziale in questo capitolo del doppio cd. Lo spazio sonoro è incentrato su di una specie di “sospensione temporale” introspettiva, e la mappa delle composizioni, come in Sideralis, è focalizzata sul disegno dei grooves e delle tracce orbitali che si muovono intorno agli stimoli tematici. Le potenzialità di intreccio e interscambio tra i singoli musicisti ed i moduli che ne possono scaturire fanno il resto. Qui ne vengono sviluppate solo alcune rispetto a quelle che in una situazione live potrebbero ulteriormente concretizzarsi. Se Sideralis era uno sguardo verso spazi interstellari, in Resonance è come se il cosmo su cui si fissa l’attenzione è quello interiore, altrettanto infinito», prosegue. «Rhapsodies, per contrasto e completezza, si riallaccia al primo Eternal Love, raccogliendone grazie ad un paio d’anni di attività concertistica, la messa a fuoco di ispirazioni, dinamiche ritmico-melodiche, improvvisative e di interplay generale che ci appartengono e che nell’insieme caratterizzandoci attraverso un “suono”, diventano un documento identitario. Nella scrittura originale condivisa da tutti musicisti, rinveniamo amori comuni tra cui Monk, Misha Mengelberg, Herbie Nichols, Paul Motian, l’Africa, un certo disincanto umoristico al fianco di una preghiera laica e solenne che permea tutto il lavoro. Ma cosa più importante, si pone l’accento sulla testimonianza artistica come finestra espressiva su di un mondo che ci riguarda e dal quale per le sue immani  tragedie e la sua bellezza struggente non possiamo astrarci. Resonance & Rhapsodies rappresenta luoghi immaginari e concreti di una cartografia esplorativa, disegnata da Eternal Love qui anche in versione estesa al Doppio Quartetto, che definisce l’osmosi più pura tra individuo e collettivo, micro e macrocosmo, senso di continuità oltre il temporale».

EXTRA LARGE

Ottaviano incontra nuovamente il pianista inglese Alexander Hawkins rileggendo insieme undici composizioni di Charles Mingus.  

«Mingus il beffardo, il bullo, l’arrogante figlio di puttana, quello avanti a tutti, il guerriero samurai con la sua dinastia da una parte e l’uomo che non dormiva mai con la borsetta piena di psicofarmaci dall’altra… Non so. Per me è sempre stata un’altra questione d’amore», scrive Roberto Ottaviano nelle note di copertina. «Eccessivo, indicibile, in grado di passare dalla seta blue alle orge ecclesiastiche con lo scatto di un giaguaro. Accendere un fuoco e bruciare in fretta tutto, Gospel, Blues, Ellington, Songs, Pitecantropi e uomini multipli come Rahsaan, allucinazioni e psicosi, e poi sedersi con la sua pipa e osservare le fiamme con la tenerezza di un bambino, con gli occhi lucidi. Non potevo che chiedere ad Alexander di condividere con me questa autoterapia d’amore attraverso la luce blue del cielo di Charlie».

NOTE BIOGRAFICHE

Attivo sulla scena jazzistica internazionale da quasi quarant’anni, Roberto Ottaviano (Bari, 21 dicembre 1957) ha suonato e inciso con alcuni tra i più importanti musicisti americani ed europei a cavallo tra diverse generazioni. A cinque anni prende lezioni di clarinetto al Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari poi studia sassofono classico a Perugia con Federico Mondelci, armonia e composizione classica con Walter Boncompagni, Giacomo Manzoni e Luigi Nono. Un fortuito incontro con Steve Lacy lo spinge ad approfondire lo studio del sax soprano. In America studia composizione jazz e arrangiamento con Ran Blake, Bill Russo, George Russell collaborando con Buck Clayton, Ernie Wilkins, Benny Bailey, Sal Nistico; poi è membro dell’orchestra di Andrea Centazzo, collabora con Gianluigi Trovesi, Theo Jörgensmann, Franz Koglmann, Carlo Actis Dato, Radu Malfatti, Carlos Zingaro, Franz Koglmann, Georg Gräwe, Ran Blake, Tiziana Ghiglioni. Nel 1983 pubblica il suo primo album (“Aspects”) con Giancarlo Schiaffini, Paolo Fresu, Carlo Actis Dato. Nel 1986 costituisce un quartetto con Arrigo Cappellatti. Nel 1988 fonda l’ensemble di ottoni “Six Mobilies”, nel 1988 incide un omaggio a Charles Mingus (Mingus – portraits in six colours ), nel 1990 incide “Items from the old earth”. Dal 1979 collabora con numerosi musicisti jazz come Dizzy Gillespie, Art Farmer, Mal Waldron, Albert Mangelsdorff, Chet Baker, Enrico Rava, Barre Phillips, Keith Tippett, Steve Swallow, Irene Schweizer, Kenny Wheeler, Henry Texier, Paul Bley, Aldo Romano, Myra Sant’agnello, Tony Oxley, Misha Mengelberg, Han Bennink, Mario Schiano, Trilok Gurtu, Samulnori, Pierre Favre. Suona in moltissimi jazz festival europei e americani. Si esibisce in Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Francia, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Yugoslavia, Albania, Romania, Russia, India, Giappone, Messico, Tailandia, Marocco, Algeria, Costa d’Avorio, Senegal, Cameroun, Stati Uniti, Canada, ed ha inciso per Red, Splasc(h), Soul Note, Dodicilune, Hat Art, Intakt, ECM, DIW ed Ogun. Da didatta ha tenuto corsi a Woodstock N.Y., nei conservatori di Città del Messico, Vienna, Groningen, presso le istituzioni culturali di Urbino, Cagliari, Firenze, Roma, Siracusa. Ha fondato il corso Musica Jazz nel Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari e di cui è coordinatore da quasi 30 anni. È autore del libro, “Il sax: lo strumento, la storia, le tecniche” (Muzzio editore, 1989).