// di Guido Michelone //

Nel 2010 ho la fortuna di intervistare, sia pur brevemente, Jelena Ana Milcetic, ovvero Helen Merrill, oggi ritenuta tra le maggiori jazz vocalist bianche d’ogni tempo. Nata a New York nel 1930 da genitori di origini croate, cominciare a esibirsi appena quattordicenne in locali del Bronx e già due anni dopo si dedica alla musica a tempo pieno. Ma è solo nel 1952, che debutta in sala di incisione con il brano A Cigarette for Company accanto al gruppo del favoloso pianista nero Earl Hines, già a fianco di Louis Armstrong. Helen viene poi scritturata dalla Mercury Records, per la nuova etichetta Emarcy, nel 1954 quando riesce a registrare il suo primo album, il disco omonimo noto come Helen Merrill With Clifford Brown (successivamente anche come What’s New): si tratta di un album oggi considerato un ‘classico’ del jazz, a cui partecipano e il bassista/violoncellista pellirosse Oscar Pettiford, mentre alla produzione e agli arrangiamenti c’è uno sconosciuto ventunenne di nome Quincy Jones, che dunque compie, come lei, il primo atto di una favolosa carriera. Il successo del 33 spinge la label a offrile un contratto aggiuntivo di ben quattro padellone: e per il successivo, Dream of You ( 1956) viene chiamato a produrre e arrangiare Gil Evans, il quale, grazie a lei, pone i fondamenti musicali per il lavoro di poco successivo per la Columbia con il grande Miles Davis, tornato su livelli altissimi.

Delusa dai riscontri di quest’album, Helen dalla fine degli anni Cinquanta fino ai mid Sixties, soggiorna di fatto in Europa, dove ottiene maggiori successi commerciali, grazie a concerti e dischi soprattutto italiani, come lei stessa racconta nell’intervista. E dopo un altro lungo periodo all’estero (in particolare in Giappone, dove ancor oggi è famosissima) nel 1972 – anno cruciale per il risveglio del jazz in America, come più volte sottolinea lo studioso Nate Chinen – torna negli Stati Uniti continuando a fare tournée e a entrare in sala di registrazione fino a cimentarsi in diversi generi dalla bossa nova ai canti natalizi, fino un tributo a Rodgers e Hammerstein. Nel 1987 rincontra dopo un trentennio Gil Evans con il quale lavora anuovi arrangiamenti dei brani di Dream of You, pubblicati su CD con il titolo Collaboration, forse il più acclamato album della cantante nell’ultimo periodo, che però offre altri frutti gustosissimi da Billy Eckstine Sings with Benny Carter (1987) a Brownie: Homage to Clifford Brown (1995). Il disco più originale però resta Jelena Ana Milcetic a.k.a. Helen Merrill (2000), mix, di jazz, pop, folk, blues con canzoni tradizionali jugoslave cantate in lingua originale, onde ricordare le proprie origini croate: anche il successivo Lilac Wine (2003) riscoute il successo della critica e, nell’aprile del 2017, per tre notti filate si esibisce al Blue Note di Tokyo mostrando di essere ancora la Helen Merrill di sempre.

Helen, cosa provi anzitutto a essere considerato tra le maggiori cantanti jazz di sempre?

Domanda difficile. Ma un riconoscimento ti fa sentire sempre bene.

Ma ha ancora significato oggi la parola jazz?

Credo che la parola ‘Jazz’ abbia più significato oggi, che non al tempo in cui si stava sviluppando. Significato in un’accezione pubblica con larghe audiences. La musica stessa si è evoluta e ha seguito certi percorsi. E con il termine si è così espando fino a indicare cose che non forse non si potrebbero considerate ‘jazz puro’. Nel periodo in cui stavo crescendo artisticamente, c’era una grande enfasi sull’individualità e, ovviamente, sul talento

Oggi per te è difficile proporre la tua musica negli Stati Uniti?

No, anche perché i giovani jazzisti di oggi sono incredibili, molto preparati, con una tecnica meravigliosa. Ci sono stupende integrazioni alla nostra musica, ad esempio dalla ‘world music’, così come c’è anche un elemento di intrattenimento popolare che sta rendendo il ‘jazz’ più appetibile al pubblico.

Quale musica ascoltavi da bambina?

Ascoltavo mia madre che aveva una voce incredibile. Cantava per se stessa o per noi figli, ma l’amore per la musica l’aiutata a esprimere ogni tipo di sentimento. Poi ho cantato il folk, lo spiritual, Jerome Kern, le romanze di Caruso e così via. Quindi ho iniziato ad ascoltare la musica di mia sorella che era lo swing di Jimmie Lunceford, Count Basie, Billie Holiday. È stata una fortuna, perché da lì ho scoperto le cantanti blues nere e la musica originale dal profondo Sud, con i race records.

E poi hai fatto tantissimi dischi: ce n’è uno che ricordi con maggior affetto?

Ho lavorato con grandi musicisti e forse non c’è un disco preferito in assoluto, ma tanti; ma se devo citartene uno, allora dico What’s New con Clifford Brown, che era anche il mio primo LP.

Oltre Brown, la lista dei ‘giganti’ con cui ti sei esibita è lunga…

In effetti è così, se penso a Clifford Brown, Gil Evans, Bill Evans, Tommy Flanagan, Stan Getz, Lester Young, Billie Holiday, Sarah Vaughan.

E tra gli italiani?

Ennio Morricone.

E qui apriamo una parentesi sull’Italia e il tuo rapporto con il cinema.

Ricordo per che il film Smog ho incise due canzoni Dreaming Of The Past e Dawn, la prima con big band e archi, la seconda con un combo jazz.

C’erano Gino Marinacci, Enzo Grilini, Berto Pisano, Sergio Conti: ho trovato i dati nel CD antologico Jazz At Cinecittà di Piero Umilani.

Sì, certo, Piero componeva e dirigeva. All’epoca anche Chet Baker ha fatto qualcosa a Cinecittà.

Addirittura una comparsata in un film a fianco di Celentano, dove accendono un cero vicino alla foto di Louis Armstrong, come se fosse un santino.

Voi italiani! Ho bei ricordi dell’Italia, ho inciso un EP Helen Merrill Sings Italian Songs con Nun è peccato, Estate, Nessuno al mondo, S’è fatto tardi e partecipato anche a programmi televisivi con il regista Enzo Trapani, e all’epoca due validi pianisti come Renato Sellani e Romano Mussolini e un gruppo di altri simpatici jazzmen. Poi sono ancora tornare a tenere diversi concerti. E, per dirti dell’amore per l’Italia, pensa che mio nipote sta studiando all’Università di Bologna la lingua e la cultura italiane e anche, per conto suo, la cucina italiana: una grande esperienza!

Helen Merrill e Gil Evans