// di Bounty Miller //
Ci sono dischi che hanno il pregio dell’atemporalità: «Digging Reflections On Jazz And Blues» dell’Emanuele Parrini Quartet possiede tutte le caratteristiche di un lavoro fuori dal tempo, divenendo all’istante un classico senza perdere la sua vivida attualità: un album che potrebbe essere stato inciso sessant’anni fa, e non sfigurare vicino ad opere di quel periodo, così come molti classici dell’avanguardia del periodo aureo, oggi, appaio ancora vitali e ricchi di energia. Parliamo di un’opera non comune che travalica lo schema tipico del jazz contemporaneo o del mainstream a facile presa, ma si sostanzia attraverso una polveriera di blackness pronta ad esplodere in ogni momento sui carboni ardenti e dissonanti di un modulo non convenzionale, dove il violino del band-leader, strumento di derivazione classica, diventa il vero elemento di astrazione dal contesto e di rottura rispetto ai canoni tradizionali del jazz.
Il progetto di Parrini ospita in prima fila la cornetta di Taylor Ho Bynum, eminente jazzista contemporaneo e nasce della collaborazione tra i festival Padova Art Center, Novara Jazz e Pisa Jazz, soprattutto è la sintesi di un lavoro di introspezione e studio, iniziato con «Viaggio al Centro del Violino vol. 1» e proseguito con «Are You Ready?» ed il successivo «The Blessed Prince», idealmente dedicato alla figura di Amiri Baraka. Ecco le eloquenti parole del violinista toscano: «Questo disco rappresenta la sintesi di “Viaggio al centro del violino”, un lavoro complesso sviluppato in tre album e vari concerti. In questi lavori il materiale trattato era un mix di brani ricorrenti, perché ci fosse un filo conduttore che legasse gli album tra loro, e di brani scritti o scelti appositamente, perché ogni disco fosse caratterizzato ed autonomo. “Digging” rientra in questa logica di pensiero. Taylor l’ho incontrato nel 2015 all’interno del Sonic Genome di Braxton al Museo Egizio di Torino, a cui ho partecipato; in precedenza lo avevo ascoltato e apprezzato in più di un’occasione. Ho pensato che potesse essere una voce importante e nuova nel mio progetto e che ne potesse allargare gli orizzonti. Ho lavorato un anno e mezzo per rendere reale la possibilità di coinvolgerlo. Da subito ho capito che qualcosa era successo, vista la gran complicità e la facilità nel suonare, già dalle prove».
«Digging, Reflections On Jazz And Blues», ripreso dal vivo che raccoglie le performance di un memorabile concerto tenuto il 17 febbraio 2020 presso il Centro d’Arte degli Studenti dell’Università di Padova da un line-up stellare: Dimitri Grechi Espinoza al sax alto, Giovanni Maier al contrabbasso e Andrea Melani alla batteria, ma soprattutto la presenza del cornettista statunitense Taylor Ho Bynum, quale special guest, diventa un valore aggiunto grazie ai singolari timbri ed al back-ground recato in dote per questo nuovo album, che rispetto ai lavori in studio amplia lo spettro dell’improvvisazione, della coralità di gruppo e della ricerca attraverso una tensione esplorativa costante. In altre epoche avremmo parlato di free-jazz, ma oggi possiamo usare il concetto di evoluzione creativa del jazz non convenzionale. Nelle contesto attuale, parliamo di un disco di elevato livello artistico, capace di dirottare la musica verso latitudini significativamente diverse, grazie ad una modularità free-form, o comunque non ingabbiata in schemi già precostituiti.
La ricerca del nuovo è insita nel DNA di Parrini e le sue parole appaiono alquanto chiare: «Pensare sempre a cose nuove, al futuro, questa è l’eredità più viva che mi ha lasciato il mio mentore Tony Scott, e mettere in discussione i propri maestri è la riflessione consegnatami da Archie Shepp quando gli ho confessato la mia devozione. Sta tutto qui il significato di quello che ti dicevo prima sul guardarsi indietro per andare avanti. Mettersi in discussione, guardare alla tradizione per tirare fuori idee nuove e continuare un discorso, una storia. Rinnovarsi, abbandonare le proprie zone di sicurezza per intraprendere strade impreviste, affrontare il gioco ed il rischio».
All’interno del tragitto sonoro, al netto della collegialità di gruppo quasi telepatica, vanno certamente sottolineate le peculiarità individuali: oltre a Parrini, che con il suo strumento ad arco dal timbro nervoso. dal fraseggio spezzato e tagliente, determina il cammino della band, l’inquieta e polimorfica cornetta di Taylor Ho Bynum diventa la sorella gemella del violino del band-leader, il quale racconta: «Taylor l’ho incontrato nel 2015 all’interno del Sonic Genome di Braxton al Museo Egizio di Torino, a cui ho partecipato; in precedenza lo avevo ascoltato e apprezzato in più di un’occasione. Ho pensato che potesse essere una voce importante e nuova nel mio progetto e che ne potesse allargare gli orizzonti. Ho lavorato un anno e mezzo per rendere reale la possibilità di coinvolgerlo. Da subito ho capito che qualcosa era successo, vista la gran complicità e la facilità nel suonare, già dalle prove».
Tra i due front-man l’intesa è mutualistica e sinestetica, ma l’apporto dei sodali di sempre si rivela fondamentale: Dimitri Grechi Espinoza, prestidigitatore sul contralto, che emerge in più occasioni rispolverando una sorta di vocabolario impregnato di eccezioni sintattiche ornettiane ed invenzioni talvolta sospese ed oniriche; Giovanni Maier che rilascia il suo walking ergonomico dando profondità esecutiva al contrabbasso, spesso con assoli da accademia del jazz, mentre Andrea Melani, con estrema destrezza, intesse dalle retrovie un groove unificante e portante. Nell’album non ci sono momenti di cedimento, il flusso della musica, pur con una curva variabile, è omogeneo ed a temperatura costante: in pole-position c’è l’opener «Digging» basata su ampio spettro di sonorità confluenti dai quattro punti cardinali del jazz; «Disk Dong» si sviluppa come una spirale sonora dalle cui spire emerge il violino di Parrini, il quale si produce in un assolo da manuale che finisce per intersecarsi al sax di Grechi Espinoza, sempre ruvido, quasi primitivo e affrancato da ogni sdolcinato orpello. I tre movimenti di «The Blessed Prince» rappresentano e sintetizzano le istanze complessive dell’intero lavoro di ricerca del gruppo, tra momenti di gloria collettivi ed individuali. Superbe nell’impianto sonoro risultano «Reflaction On Jazz And Blues» e «Blues P», dove l’ensemble oltrepassa i perimetri precompilati e manieristici del jazz, usando un esperanto ritimico-armonico poco praticato ma facilmente comprensibile. «Digging, Reflaction On Jazz And Blues» è un disco di spessore creativo con il baricentro, musicalmente, spostato in avanti, determinato e assertivo, capace di tagliare l’aria che tira e trasformarla, ma in grado di regalare emozioni prêt-à-porter, grazie al lirismo dell’ordito melodico e alla convincente narrazione di Parrini e compagni.
