// di Francesco Cataldo Verrina //

Il primo ardito paragone che viene in mente è quello con la Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, ma volendo allargare lo spettro d’indagine si potrebbe pensare anche all’ Art Ensemble of Chicago oppure alla Sun Ra Arkestra. Forse la componente sociale e teatrale del Dinamitri Open Combo, segnato da un pizzico di follia libertaria, racchiude tutti questi elementi e molti altri ancora. Parliamo di un ensemble di 14 elementi che nasce dalla fusione a caldo di elementi condivisi su un terreno comune, nati da una simile ricerca musicale che unisce idealmente il Dinamitri Jazz Folklore e l’Open Combo, due formazioni dal carattere sonoro ben definito, ma composti da musicisti che hanno elaborato il medesimo percorso artistico, sia pure con le loro peculiarità e che hanno condiviso molte esperienze nelle più svariate combinazioni. L’album “Mappe per l’Eden” è il risultato di una finalità di intenti, basata su una profonda analisi e conoscenza di fenomenologie musicali molteplici, ma soprattutto dalla relazione tra musica ed elementi ambientali e sociali, dove anche i contrasti e le diversità diventano terreno di sviluppo creativo.

Come racconta Silvia Bolognesi, contrabbassista ed insegnante con collaborazioni internazionali: “La prima volta che mi è balenata in testa l’idea di proporre un’unione fra il mio Open Combo e il Dinamitri Jazz Folklore la ricordo bene. Ero al concerto della Sun Ra Arkestra diretta da Marshall Allen tenutosi a Pisa Jazz nel marzo 2018 e in apertura si esibiva proprio il Dinamitri di Grechi Espinoza. Uscii dal concerto entusiasta e decisa a proporre agli interessati un’eventuale fusione dei due gruppi. Anche sfruttando la parziale coincidenza di organico, dato che alcuni membri dell’Open Combo fanno parte del Dinamitri – la ritmica per la precisione, Simone Padovani (percussioni) e Andrea Melani (batteria) –, oltre al fatto che Beppe Scardino (sax baritono) e lo stesso Dimitri Grechi Espinoza si sono episodicamente uniti a me. Io stessa poi sono stata coinvolta nel Dinamitri in qualche loro concerto. Senza contare le innumerevoli altre volte in cui ci siamo mescolati per i più svariati progetti, gravitando tutti all’incirca nello stesso circuito musicale”.

Conoscenza e complicità rappresentano il valore aggiunto del progetto, mentre la musica diventa il flusso creativo di un pensiero comune e di una meditazione collettiva che scavalca l’idea stessa di musica in quanto tale. Il violinista Emanuele Parrini racconta che “tecnicamente tutto si è svolto nei giorni 3 e 4 gennaio 2019, prove e registrazioni. Quello che in alcune occasioni tra noi si era solo ipotizzato, Francesco Mariotti, attraverso la struttura di Pisa Jazz, lo rendeva concreto. Così ci siamo interrogati su quali potessero essere gli argomenti e i parametri comuni per le composizioni, trovando risposta nell’origine della musica e nelle sue funzioni nella società. Il successivo concerto del 5 maggio ha avuto un esito assai positivo e abbiamo così accumulato molto materiale registrato, in generale di ottima qualità. Scegliere le tracce da pubblicare su disco non è stato però difficile e il master prodotto rappresenta al meglio il nostro pensiero e il messaggio che volevamo trasmettere”.

“Mappe per l’Eden”, pubblicato dalla Felmay, nasce dall’esigenza una ricerca di espressioni che potessero travalicare l’ambito ristretto del vernacolo jazzistico, ma idonee ad asere amalgamate all’interno di una tematica forte e coinvolgente, una sorta di musica “parlante” e dotata di pensiero. L’equilibrio all’interno del tracciato sonoro appare a dir poco stupefacente: tutto è naturale e senza forzature, tanto che i solisti non sovrabbondano mai i sodali della retroguardia e, nonostante alcuni assoli da manuale, non c’è virtuosismo, ma solo collegialità e cooperazione. L’impalcatura del costrutto sonoro mostra radici profonde che affondano nella sorgente primaria della musica, fra tradizione e modernismo, ma con uno sguardo proiettato al futuro, almeno all’esperanto sonoro di un futuro possibile. “Mappe per l’Eden”, titolo alquanto emblematico, si sostanzia come un’evoluzione darwiniana della musica, partendo dalle origini della specie homo-sapiens, attraverso un moderno hub che collega i suoni, i ritmi e le culture di popoli e di civiltà riferibili ad epoche apparentemente lontane. L’album trae ispirazione dagli studi di Cavalli Sforza sulla deriva genetica e linguistica, applicati poi da Grauer, allievo di Alan Lomax in ambito musicale, divenendo una mappa musicale, ma anche genetica e linguistica, che traccia movimenti e percorsi rivelando i legami tra culture e popoli.

L’album si apre con “Honeycomb”, firmata da Piero Bittolo Bon, il quale dopo un progressivo crescendo sonoro a base di fiati in dissonanza che ricorda l’alba del mondo in un film di fantascienza, si sviluppa come una lunga marcia di dieci minuti dal ritmo cadenzato e percussivo, segnato da riff veloci che s’infittiscono sempre di più, tra corde, legni ed ottoni, quasi a voler descrivere il cammino di un’umanità liberata. Il titolo del brano successivo è proprio “Umanità”, una composizione di Dimitri Grechi Espinosa, caratterizzata da un movimento afro-caraibico, dove le percussioni sembrano lo spirito guida, mentre gli strumenti melodici, a turno, sembrano assecondarne la cadenza insinuandosi l’uno nelle spire armoniche dell’altro, al fine di creare un rito tribale dall’impianto arcaico e finalizzato ad un atto propiziatorio.

“Slide Me On The Moon”, dopo un lunga introduzione free-form, sospesa ed onirica, si trasforma in un inno poetico ululato alla luna dal coautore (insieme a Paolo Durante) ed io narrante Griffin Alan Rodriguez. “Eden Was My Home” di Cristiano Arcelli, disegna una sorta di Eden trasformato in una giungla metropolitana dove le voci delle natura vengono progressivamente sostituite da battiti urbani e sonorità funkfied, mentre gli strumenti di prima linea, specie i fiati, procedono per linee trasversali e traiettorie non convenzionali. “I’m Refugee / Hope”, un doppio titolo a firma Espinosa, che intreccia due momenti sonori apparentemente distanti, i quali finiscono per amalgamarsi. L’inizio è gravido di sonorità africane, arabescate e spezie melodiche d’Oriente dal sapore quasi ancestrale, ma flessuoso ed ammiccante come una danza pagana; a metà del tragitto, l’atmosfera sembra spostarsi quasi verso i Balcani e poi il Nord Europa, mentre la retroguardia ritmica non perde mai il contato con il Sud del mondo.

La presenza di un nutrito ensemble garantisce una variegata gamma di suoni, di timbri ed espressioni tonali: Dimitri Grechi Espinoza sax tenore / Beppe Scardino sax baritono /Tony Cattano trombone / Rossano Emili sax baritono / Pee Wee Durante clavinet / Silvia Bolognesi contrabbasso / Emanuele Parrini violino / Simone Padovani percussioni / Gabrio Baldacci chitarra /Andrea Melani batteria, percussioni / Cristiano Arcelli flauto, sax soprano, sax alto / Piero BittoloBon liuto, sax alto, clarinetto alto. “Mappe per l’Eden” del Dinamitri Open Combo, oltre ad essere una riflessione sul mondo contemporaneo, i suoi totem ed i suoi tabù, è un disco fatto di migrazioni sonore e pulsioni ritmiche che si spostano come vettori umani. Pensando a Sun Ra, potrebbe essere paragonato ad un viaggio cosmico di musicisti alieni sul pianeta terra, quale catarsi purificatrice e liberatoria dalle umane debolezze e dai piccoli egoismi terreni, con il supremo incarico di unire popoli e culture in un unico afflato sonoro.

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