// di Marcello Marinelli //

Tornando da un giro in macchina con la musica a palla, nel caso specifico il remix di Elton John e Dua Lipa ‘Cold earth’ di vecchi brani di Elton John e soprattutto quella bella linea melodica del ritornello di ‘Rocket man’ che trovo splendida, mi accingo a fare un passo a ritroso e mi accingo a scrivere del disco di cui all’oggetto. Dico questo non per provocare o offendere qualcuno, inserendo citazioni extrajazzistiche di merito, che qualcuno legittimamente può non condividere, ma solo per dire che di belle melodie è piena la musica anche fuori dal jazz, e possono non appartenere in origine al mondo rigorosamente jazz, ma possono essere riprese e ri-elaborate in chiave jazz e in certi casi possono diventare ‘standars’, quindi il mio modo di vedere è che non tutto è jazz, ovviamente, ma con capacità di arrangiamento, riscrittura e di improvvisazione, quello che all’origine non era jazz, lo può diventare. Oppure possono rimanere belle melodie non jazz che rimangono tali. Per dire che il jazz non ha il monopolio della bellezza, è anche altrove. Dopo questa digressione torno al disco in questione, al jazz senza se e senza ma. “Come on! lets’s go guys”.

Negli anni 70 La Prestige, con la collana ‘Jazz è Bello’ usava pubblicare doppi LP contenenti, come in questo caso, dischi già pubblicati singolarmente. Nel caso di Gil Evans, disco 1, entrambi i lati, precedentemente pubblicato col titolo ‘Gil Evans plus ten’ registrato nel 1957 mentre la la facciata 3 del secondo disco , pubblicato a titolo ‘A study of Dameronia’ del 1953 e la facciata 4 col titolo ‘Tadd Dameron-Fontainbleau’ del 1956. Le interessanti note di copertina di quegli album che contenevano anche articoli interessanti all’interno, nel disco in questione l’articolo era di Ira Gitler, una meraviglia leggere oltre che ascoltare. Della serie: come eravamo. Dalle prime note della prima facciata già si capisce l’impasto sonoro e le capacità di arrangiamento di Gil Evan,s qui alla guida di un grande ‘ensemble’, come suggerisce il titolo di 11 elementi, ma non una vera e propria big Band classica i cui elementi variano, ma partono da almeno 15 elementi.

L’originalità di Gil Evans era oltre all’indubbia capacità di scrittura, anche l’inserimento di strumenti , come in questo caso il corno francese e il fagotto che di solito non venivano usati in questi contesti, o forse si ma non ne ho memoria. Sta di fatto che il sound prodotto dalla sua penna era riconoscibile al primo ascolto, molto ‘cool’ e raffinato, e non per caso venne notato da Miles Davis che insieme a lui produsse i capolavori che tutti gli appassionati conoscono. Nel disco di Gil Evans compaio fior fior di musicisti, tra i più importanti in senso storico, Lee Konitz, che stranamente non fa assoli, Paul Chambers, Jo Jones e soprattutto Jimmy Cleveland e Steve Lacy che monopolizzano gli assoli. L’inizio ‘Remember’ preannuncia l’atmosfera del disco e da spazio a Steve Lacy in chiave solista e si apprezza anche l’arrangiatore in versione strumentale con armonizzazioni interessanti al piano in chiave minimalista. Con ‘Ella speed’ il ritmo accelera e Steve Lacy Jimmy Cleveland si alzano dai leggii e fanno i loro soli e il l’impasto sonoro è notevole e originale e gli assoli finali di Paul Chambers e Johnny Carisi alla tromba arricchiscono la tavolozza dei colori del gruppo.

‘Big stuff’ conclude il lato a del primo disco col trombone di Jimmy Cleveland e il basso di Paul Chambers in evidenza e in sottofondo, riconoscibilissimo, il fagotto di Dave Kurtzer ma amalgamato col resto. ‘Nobody’s heart’ apre il lato B del primo disco, la delicatezza la fa da padrone e il fagotto e il corno francese, creano , insieme agli altri strumenti , quel suono originale. Sembra una collezione di cristalli, da maneggiare con cura, tutto così ‘cool’ , ‘it’s cool this cool’. Con ‘Just one of tis things’ (alzare il volume please) si raggiunge l’apice, una vera chicca di sound orchestrale con Steve Lacy che sciorina un assolo, per carità molto contenuto, ma che a me fa impazzire, di una precisione e d’ispirazione chirurgica, uno di quei pezzi che mi sono sempre rimasti impressi e l’orchestra dietro asseconda gli umori dei solisti e viceversa.

Per l’ascolto di questo disco consiglio si ascoltare in simultanea e separare nei lobi del vostro cervello tutti gli strumenti e focalizzate la vostra attenzione ora sul solista, ora sugli interventi orchestrali o sul piano di Gil Evans, una meraviglia di arrangiamento orchestrale che a distanza di tempo mi commuove come allora. Certo potremo avere commozioni diverse ma l’importante è commuoversi in musica, a prescindere, quindi se questo pezzo non vi commuove, è normale. Segue ‘If you cold see me now’, (ironia della sorte un pezzo di Tadd Dameron) si Gil (anche tu Tadd) ‘se voi poteste vedermi ora’, vedreste un uomo gioire sulla vostra musica, I love you. “Ladies and gentleman, mister Jimmy Cleveland on trombone” e anche qui, come mi è già successo col disco di Giovani Guidi e Luca Aquino, con questo brano e con questa bella voce di Jimmy Cleveland che mi ‘incanta’, manco suonasse il ‘Pungi’ (strumento a fiato indiano incantatore) e io fossi un serpente a sonagli che ci divento solo se so’ preso per la giacca a strattoni, mi viene da domandare ad una signora ipotetica e potenziale: “Vuoi ballare con me?” . Che posso fa, mi piace ballare lenti con le ballads, a voi no?

Con Tadd Dameron l’altro grande arrangiatore ma meno fortunato di Gil Evans siamo più su un tipo di arrangiamento diverso, oserei dire più convenzionale, almeno nell’organico e con questo termine ‘convenzionale’ non meno bello o meno interessante di quello di Gil Evans, semplicemente diverso dal precedente, più ‘black’, anche se ‘Fontainbleau’ l’avrebbe potuta scrivere anche Gil Evans, ma non poteva essere diversamente. Rispetto a Gil Evans, Tadd Dameron soprattutto compositore, un superbo compositore, in questi due dischi tutte le composizioni sono le sue e anche la già citata ‘ If you cold see me now’ presente nel disco di Gil Evans . Meno fortunato di Gil Evans, Tadd Dameron morì a soli 48 anni di cancro e già l’eroina aveva minato il suo fisico, quanti danni ha fatto l’eroina in quegli anni negli Stati Uniti, in Italia comincerà a fare i danni 30 anni dopo. Il primo pezzo si intitola ‘Philly J.J.’ siccome nel lato 3 del disco è presente Philly Jo Jones quindi desumo, dall’alto della mia intelligenza che sia dedicata a lui.

Anche in questo grande ensemble, questo è un ‘nonetto’ sono presenti figure di rielevo nel campo dei solisti, alla tromba, ‘nientepopodimenoche’ che Clifford Brown , sempre pirotecnico ma limitato dalla lunghezza degli assoli dalle partiture e Benny Golson al sax tenore, i principali solisti. Belli tutti brani che scorrono naturalmente come un torrente di montagna col bel tempo. ‘Theme of no repeat’ , ‘Choose now’ take 1 take 2, sempre col duo Clifford Brown Benny Golson in evidenza e con gli interventi sobri e minimalisti al piano del leader che mi sembrano affini a quelli di Gil Evans, ho scritto ‘mi sembrano’ ma non vorrei aver detto un’eresia, in quel caso accetto senza fiatare l’appellativo di eretico. ‘‘Dial “B” for beauty’, una bella ballad chiude la facciata e io invito sempre la signora ipotetica per l’ennesimo ballo.

La quarta facciata si apre con la bellissima ‘Fontainbleau” e con il solito arrangiamento ‘da paura’. Qui cambiano gli addendi mail prodotto non cambia, è un ottetto e i musicisti sono diversi dalla precedente formazione. ‘Fontainbleau’ è un brano, oltre che bello, atipico perché non sono presenti assoli ed è interamente scritto. Con il secondo brano ’Delirium’ torniamo nel solco del be-bop orchestrale con Joe Alexander giganteggia al sax tenore tra un riff un altro insieme a Keny Dorham sfavillante come al solito Chissà se Ivano Fossati ha chiamato il suo primo gruppo ‘Delirium’ in onore di Tadd Dameron, improbabile, ma nel loro primo disco molto bello tra l’altro, “Dolce acqua” compaiono qua e la delle fughe vagamente jazz, ho scritto e sottolineo ‘vagamente’, ma talmente vaghe da poter essere occultate, da non essere riconosciute, da essere perfino ignorate, vabbè fate finta che non ho associato neanche lontanamente i Delirium al jazz.

‘The Scene Is Clean’ titolo quasi profetico, sembra il richiamo dell’ortodossia ai sani principi contro gli innesti arbitrari e manifestamente infondati di materiale extrajazzistico, è il terzo brano del disco. Bellissimo brano con la voce di Kenny Dohram che si eleva col suo timbro perfetto, solo nell’esposizione del tema, tra gli altri orchestrali e poi il pezzo si sviluppa prima del tema finale con un siparietto musicale di solo basso e piano. Il disco si chiude con ‘Flossie lou’ , si chiude in bellezza con un altro bel pezzo , ‘chettelodicoafa’, con evidenza il trombone di Henry Coker. Non è un lento, il ritmo è medium tempo, ma sarà che la sensualità del trombone mi suscita belle sensazioni, che l’orchestra suona con passione e precisione e ho ancora voglia di ballare.”C’è ancora la signora di prima?”

Gil Evans & Tadd Dameron