Herbie Mann Featuring Charlie Rouse / Kenny Burrell / Mal Waldron – «Just Wailin’» , 1958

// di Irma Sanders //

«Just Wailin’» venne registrato il 14 febbraio del 1958 al Van Gelder Studios e pubblicato nello stesso anno dall’etichetta New Jazz, consociata della Fantasy, molto vicina allo stile californiano. Pur essendo un disco nato dalla collaborazione di artisti, tutti con un nome da cartellone – all-stars si diceva – uno di quei set senza «testa», senza un leader vero e proprio, a dominare la scena fu il sax di Charlie Rouse, ma come apporto creativo; sostanzialmente fu il pianista Mal Waldron, autore di tre brani su sei, a dettare le linee guida. Un altro motivo fu composto dal chitarrista Kenny Burrell, mentre a completare l’opera furono scelti due standard, tra cui «Jumpin’ With Symphony Sid» di Lester Young.

In realtà, pare, che l’album fosse finalizzato al lancio del flautista Herbie Mann (il quale si era distinto in alcune registrazioni come «September Song» di Sarah Vaughan with Clifford Brown), ma soprattutto a dimostrare l’utilità del flauto nel jazz. Era convinzione largamente diffusa, che qualora il flauto non fosse stato utilizzato come strumento di supporto o di appoggio al sax, nel bop o nel cool, sarebbe diventato uno strumento inessenziale come il clarinetto. Ci sono altre ipotesi come quella di creare all’interno del movimento West Coast dei prodotti che fossero più legati alla matrice nera di tipo soul-jazz. Il sestetto si muove agilmente su un territorio musicale, facilmente accessibile, il calore emanato dal line-up è contenuto ed appaga molto gli amanti del semifreddo simil-West-Coast. «Just Wailin’» è un disco dove ognuno dei partecipanti diventa una sorta di contendente vagamente esibizionista, dove tutto è molto «dritto», anche se piacevole e servito con garbo e professionalità. Pensiamo ai questi sei valenti musicisti come a dei parenti stretti che partecipano ad una festa di matrimonio, facendo finta di non conoscersi, ma poi alla fine si divertono come matti, poiché il ricevimento era stato organizzato bene ed il buffet alquanto succulento.

Perfino Herbie Mann con il suo flauto si ritaglia una fetta di torta abbondante; dalle retrovie, George Joyner al basso e Art Taylor alla batteria non fanno fuochi d’artificio, ma assicurano al ritimo il giusto movimento gravitazionale. L’iniziale «Minor Groove» a firma Waldron è uno dei momenti più efficaci dell’album, grazie al largo giro d’orizzonte sonoro percorso ed inventato da Charlie Rouse, ma soprattutto per merito dagli interscambi tra il sax di Rouse e la chitarra di Kenny Burrell; a seguire «Blue Echo» che ottempera allo stesso modello applicativo, ma a parti invertite; la terza traccia, «Blue Dip», una delle più riuscite, è un regalo di Kenny Burrell a Herbie Mann, che prova con il flauto a non far sentire la mancanza iniziale del sax, ma l’arrivo di Charlie Rouse, a metà percorso, ribalta la situazione ed il flauto è costretto a riempire solo gli interstizi; la vetrina si apre al pianoforte che procede da solo con il sostegno della sella sezione ritmica, quindi ancora in alternanza sax, chitarra e flauto che battibeccano con vanità. «Gospel Truth» apre la seconda facciata del disco e ne occupa il maggior tempo, oltre dieci minuti, sostanziandosi come una lunga ballata vagamente blues, con intenti assai cool; tutto fluisce sottotraccia, senza impeti particolari, mostrando il polimorfismo sonoro del progetto e di tutti gli strumentisti, che a ruota si succedono l’un l’altro senza troppe interazioni o suggerimenti reciproci.

A seguire il succitato tributo ad un pezzo di Lester Young, dove per ovvie affinità, l’unico a scivolare sulla piattaforma sonora senza attrito è Charlie Rouse, il quale riesce a modulare il sax in maniera controllata e levigata come avrebbe fatto il Presidente; in chiusura «Trinidad» di Cal Massey, dove chitarra e flauto creano la classica atmosfera esotico-caraibica, molto cara agli amanti ed ai fautori dello stile West-Coast, più predisposti a guardare verso le Antille che non verso la Grande Mela; l’impennata al sassofono di Charlie Rose riporta tutti sulla terra del sacro fuoco del jazz. «Just Wailin’» è un disco disimpegnato, scorrevole, adatto anche a quanti non hanno gli enzimi per digerire il jazz, adatto a qualsiasi situazione ambientale, ma con dei momenti individuali di elevato livello; non ha la forza proletaria e combattiva dell’hard bop, ma è garantita tutta la tranquillità borghese e distaccata del cool.