// di Irma Sanders //

Pur essendo uscito solo in CD, l’autore lo definisce “un disco vinilico, poiché suddiviso in due facciate virtuali, dove le prime cinque tracce evocano atmosfere introspettive, sonorità e melodie derivate da interessi extramusicali e da situazioni personali che si allontanano dal jazz canonico (…) mentre le rimanenti tracce si rifanno di più all’improvvisazione su progressioni modali e free”.

In sostanza l’album di Danyart, al secolo Daniele Ricciu, sassofonista sardo di talento, insegnante per professione e ritrattista per diletto, propone una ricchezza di sfumature e timbri sonori non comune, creando un’atmosfera avvolgente e seduttiva che pervade ogni traccia. Daniele Ricciu si definisce autodidatta, ma la sua lunga gavetta ha forgiato uno stile ed una tempra di grande esploratore di suoni, che affonda le radici nei classici maestri del sax dell’era pre e bop come Coleman Hawkins, Stan Getz, Sonny Rollins, Ben Webster per poi evolversi verso soluzioni più trasversali e d’avanguardia post bop, attraverso un personalissimo approccio con la musica di John Coltrane, Albert Ayler, Gato Barbieri, John Zorn, Pharoah Sanders, fino a giungere a Jan Garbarek.

Potremmo aggiungere che nell’album di “vinilico” c’è un retro-gusto compositivo ed una sapienza d’altri tempi, che ha portato l’autore alla costruzione dei singoli brani in maniera calibrata e precisa con una cura maniacale per l’elemento melodico, che diventa il propulsore della narrazione sonora ed un gancio a presa rapida per il fruitore. Il movimento melodico-armonico delle singole tracce, pur nella loro varietà genetica, è assai libero e svincolato da moduli prestabiliti e scolastici e da riferimenti smaccati ai canoni tradizionali dello standard jazzistico.

Pubblicato nel Marzo 2018, “La Musica mi ripara” è il primo lavoro discografico da leader di Daniele Ricciu con la dicitura Danyart. Il titolo è alquanto evocativo e si riferisce ad un complesso quadro psico-emotivo, ossia come isolarsi e “ripararsi” attraverso la musica che, nell’immaginario e nell’utopia dell’autore, diventa quasi una poesia leopardiana, riuscendo a trasformare in bellezza la caducità dell’esistenza umana, la durezza di una natura a volte tiranna e la drammaticità di un mondo imperfetto e violento. L’album, realizzato con il supporto di Fabrizio Fogagnolo al contrabbasso, Simone Sassue Matteo Cara al pianoforte, Antonio Argiolas e Paoletto Sechi alla batteria, contiene nove brani tutti scritti dal sassofonista, i cui titoli suggeriscono atmosfere derivate dai suoi interessi storici, scientifici, filosofici e sociologici, corroborati da un un interessante libretto interno con tredici illustrazioni e relative descrizioni a commento dei brani.

Il disco è estremamente fruibile nel totalità dei suo concept, ma alcuni momenti svettano su altri per intensità e facilità di fruizione, ad iniziare dalla title-track, “La Musica mi ripara”, un breve intro di poco più di un minuto, che parte da uno scroscio d’acqua o da un temporale e si lega al successivo “Torres” quale rappresentazione della vita e delle sue difficoltà, da cui si cerca riparo. La melodia è spaziata e perforante al contempo, con un andamento indagatore ed introspettivo. “Mondi paralleli” è un mid-range dal movimento dilatato, molto Garbarek, quasi a voler mettere in evidenza i contrasti ed i non-sense del viver quotidiano. “La storia non cambia” è una struggente ballata declinata con un timbro profondo, mentre il fantasma di Ben Webster compare sullo sfondo, per poi lasciare spazio ad un movimento più libero ed angolare.

“Assenza e ricordo” è ispirata ad una tragedia sul lavoro, il soffio diventa sofferente e trasporta il fruitore in una sorta di cunicolo buio e disperato, da cui si intravede una luce, alimentata da un’avvolgente melodia. “Nevroticità allegra” porta il disco su un registro sonoro più libero e, nonostante il contrastante titolo, approda ad un improvvisazione piacevole e calibrata. “Valentina è un estratto di struggente tenerezza, un inno all’amore, nello stile delle classiche ballate che i jazzisti da sempre dedicano ai loro amori. “Ladri di bellezza” è sicuramente il climax dell’album, un lungo affresco sonoro srotolato su una narrazione espansa di oltre 14 minuti, con un interplay da manuale ed uno scambio esaltante tra sax e pianoforte, un gioiello di modale a più strati e dai momenti cangianti, a tinte variegate e stili molteplici, proprio come fanno i pittori che tratteggiano nervosamente i contorni di una tela.

Per concludere, l’ultima traccia, dal titolo “Frammenti di cuore”, come racconta il sassofonista: “E’ un brano dal gusto dolce/amaro, nel quale ho lasciato l’esecuzione e l’interpretazione al mio collega pianista Simone Sassu, mettendomi da parte e riflettendo su pensieri, paure, insoddisfazioni, incertezze, fragilità, domande in cerca di risposte forse introvabili, che lasciano anche l’ascoltatore in una situazione di stallo, tra la quiete dell’atmosfera del brano e il subbuglio e il caos della mente”. “La Musica mi ripara” di Danyart è un album unico nel suo genere, trascinato dalla potenza della musica e dalla forza del pensiero.