“Rahsaan Roland Kirk The Case Of The Three Sided Dream”
// di Guido Michelone //
Il DVD “Rahsaan Roland Kirk The Case of the Three Sided Dream” è forse meglio di un libro ci consente di conoscere a fondo Rahsaan Roland Kirk – nato a Columbus il 7 agosto 1935 e scomparso a Bloomington il 5 dicembre 1977) –il polistrumentista afroamericano per eccellenza, solista chiave nel jazz dei Sixties e protagonista della musica per buona parte degli anni ‘70, nonostante la breve esistenza: finisce però la vita terrena, colpito da un ictus mentre suona al Bluebird della cittadina dell’Indiana. Del resto la biografia del saxman è purtroppo contrassegnata da sfortuna e malattie: divenuto cieco da bambino, quando un’infermiera sbaglia la dose di un medicamento oculistico, due anni prima di morire è colpito da un’emorragia cerebrale che lo lascia semiparalizzato, benché trovi quasi subito il modo di riplasmare i propri strumenti a fiato onde poterli utilizzare con una mano sola su disco e in concerto.
Il nome di Rahsaan Roland Kirk, tanto alle nuove e medie generazioni quanto alle schiere di jazzofili/jazzomani, oggi risulta assai meno noto di tanti altri, personaggi che, nel sound afroamericano degli anni ’60-’70 stanno godendo di eccessive fortune da parte della critica e del pubblico. Kirk, pur nella sua breve carriera, il cui spettro creativo è durato circa una quindicina d’anni (disco graficamente dal 1960 al 1976, a parte un esordio precoce nel 1956), imprime concettualmente una svolta decisiva all’intera cultura afroamericana, rivelandosi artista/performer non solo al passo coi tempi, ma persino in anticipo su fenomeni diventati di massa con l’acid-jazz o il postmoderno solo negli anni Novanta. Invece Rashaan è già avanti e guarda al nuovo jazz degli anni Cinquanta-Sessanta come a qualcosa che merita un ulteriore superamento. In questo gli è di grande aiuto Charles Mingus che de facto lo lancia fra i grandi, facendolo suonare nei propri gruppi e in album capolavoro come Oh Yeah (1961).
Ma messosi in proprio, Roland dal 1963 al 1974, da Rip Rig And Panic a Bright Moments, dà prove infinte di un talento multiforme, giocando talvolta sulla propria cecità al servizio di un istrionismo solo in apparenza debitore della clownerie del vecchio jazz: nel suonare sei diversi strumenti di cui addirittura tre contemporaneamente, Kirk si rivela un jazzista capace di ricavare da ance e fiati qualcosa di più di una sonorità complessa o articolata. Infatti dischi e concerti – di cui anche un bellissimo inedito come Brotherman In The Fatherland, da un live in Amburgo il 3 marzo 1972 – sono fedele testimonianza, offrendo un sano esempio di black classical music, come lui stesso la chiama, un jazz dove happening, agilità, esibizionismo, raffinatezza sono un tutt’uno. Il corpo che diventa strumento (e viceversa) trova poi in quest’ultima fase della ricerca di Kirk la musica di John Coltrane quale referente assoluto. E in effetti questo concerto in quintetto – Ron Burton, Henry Pete Pearson,, Richie Goldberg, Joe Texidor – è uno struggente tributo al poeta del jazz modale, con tre pezzi del repertorio coltraniano, eseguiti con foga mistica, quasi a contrastare la ruvida tenerezza dei brani dall’innovativo sapore free-funk e da quelli con arcane tragicomiche reminiscenze.
Nel 2018 esce quindi il documentario Rahsaan Roland Kirk The Case of the Three Sided Dream di Adam Kahan, il quale viene lungamente intervistato dalla rivista «Esquire» su quest’opera, il discorso cade anche sul concetto di black classical music negli anni ‘70: “[Kirk] non è stato il primo a non gradire il termine ‘jazz’, ma questa è tutta un’altra questione. Pensava che la definizione black classical music fosse molto più accurata, perché questa musica è un contributo che viene dai neri e ha, o dovrebbe avere, l’importanza della musica classica europea. Ma è nata qui, quindi Musica Classica Nera. Non mi sorprende che l’espressione non sia rimasta, anche se oggi sembra più rilevante che mai, quando guardi cose come il Jazz At Lincoln Center, i jazzisti che suonano alla Casa Bianca, i musei del jazz, le case dei grandi del jazz che diventano punti di riferimento storici… In un certo senso, il jazz sta ottenendo il riconoscimento che merita, come un importante fenomeno storico sia nazionale sia culturale, e questo era davvero importante per lui”.
