// di Guido Michelone //

Parlare oggi, a proposito di jazz, dello Spontaneous Music Ensemble – formatosi all’inizio come duo grazie a John Stevens (tromba e e batteria) e Trevor Watts (sax soprano) – significa raccontare un intero movimento culturale. E lo si può fare, ora, con dovizia di particolari, giacché l’etichetta Emanem di Martin Davidson dal 2000 intraprende una meritoria attività di ristampa e di inediti di tutto ciò che riguarda la free improvisation britannica, estendibile altresì all’intera coscienza neoavanguardista in Europa e in America.

Davidson intensifica la ricerca di inediti del free storico angloamericano, pubblicando soprattutto concerti effettuati dagli anni Sessanta ai giorni nostri: ecco dunque a Londra il ‘free prima del free’ del settetto Spontaneous Music Ensemble che in Withdrawal (1966-1967) sembra ancora legato al jazz nero, pensando ai futuri sviluppi dei singoli protagonisti John Stevens, Trevor Watts, Derek Bailey, Barry Guy, Evan Parker, Paul Rutherford, Kenny Wheeler. Orecchiabile risultano addirittura le improvvisazioni dello statunitense Duck Baker alla chitarra acustica in Outside (1977-1983) da concerti a Torino, Londra, Calgary, la cui radicalità ha comunque precisi agganci con stilemi popolari (il finger picking, anzitutto). Non può infine non ricordare gli splendidi duetti tra John Coltrane e Rashied Alì, il duo Tony Marsh & Chefa Alonsonel e più di recente Goodbye Red Rose! (2008-2009)dal vivo a Londra e Huesla, in cui l’anziano libero percussionista britannico si confronta con la grinta e il lirismo della giovane sopranista spagnola.

Tutto questo significa che, oltre il rock l’Inghilterra vive un’età dell’oro del jazz degli anni ’70 nel sound avanguardista impegnato a trasformare profondamente il concetto di free dal free jazz alla free improvisation tout court. Apre le danze, pensando sempre alle ristampe della Emanem su CD, nel fatidico ‘68, proprio lo Spontaneous Music Ensemble con Oliv & Famille in grossa formazione, dove la libertà di gruppo è scandita da quella dei singoli e viceversa, tra masse sonore e solismi radicali. Lo stesso metodo viene applicato da Nigel Coombies e Steve Beresford, in Speed Correction che, nel 1979, è il riuscito tentativo di agganciarsi alla realtà classica, fino a esternare una sorta di “terza corrente” dall’impatto ben più estremo. Tuttavia dove il free britannico esprime forse il meglio è nei piccoli gruppi soprattutto quando a guidarli è un genio del trombone (già discusso in apposito capitolo) ovvero il Paul Rutherford Trio in Heim nel 1983 vede il leader emettere due suoni contemporaneamente grazie a un uso singolarissimo della respirazione circolazione fino a rendere le performance informali all’insegna di un virtuosismo oltranzista, dove la ricerca è volta a sottolineare anche la fisicità dello strumento.

Sembrerebbe dunque che questo jazz non abbia età e che la free improvisation Britannica nata di fatto con lo Spontaneous Music Ensemble prosegua indisturbata fino a oggi con la stessa mentalità rivoluzionaria, sebbene alcuni esponenti sia ormai vecchi o defunti. E dunque, benché già ampiamente storicizzata, il sound ‘inventato’ dallo Spontaneous Music Ensemble continua oggi imperterrito attraverso concerti e performance che, poi, a distanza di qualche anno, diventano dischi grazie all’instancabile fervore dell’indipendente Emanem con distribuzione propria. Ecco quindi una tripla panoramica sul nuovo Millennio, partendo a ritroso proprio dallo Spontaneous Music Ensemble – qui chiamato Spontaneous Music Orchestra per l’allargarsi dei partecipanti – nel doppio Search & Reflect, il free di ampio respiro con tre sedute datate 1975, 1981 e 2000: gli anni passano, la radicalità no! Dal gruppone si passa al trio con As The Wind di Evan Parker (sax soprano) che, nel 2012, assieme a Mark Nauseef (percussioni) e Toma Gouband (litofoni) incrocia il free al primitivismo. Per contro, Veryan Weston con Discoveries On Tracker Action Organs (2014) improvvisa su sette diversi organi da chiesa in Gran Bretagna: l’esperimento già tentato da Fats Waller negli anni Trenta, è riuscito, a ennesima dimostrazione di come la free improvisation britannica sia materia duttile e cultura flessibilissima, pur dura e intransigente.

Tornando allo Spontaneous Music Ensemble, nella band, oltre i fondatori Stevens e Watts, si avvicendano via via Evan Parker, Roger Smith e Nigel Coombes, non senza le occasionali collaborazioni di tutti gli altri ‘liberi imrpovvisatori’ del regno Unito come Derek Bailey, Paul Rutherford, Maggie Nichols, Dave Holland, Barry Guy, Peter Kowald, Kent Carter, Norma Winstone, John Butcher in una discografia vastissima, ancora ricca di molti inediti. Conclude ‘idealmente’ Trevor Watts: “Voglio che la musica sia rappresentativa di musicisti che lottano per essere onesti, veramente creativi e non scadenti (…) proponendo cose che gli altri possano utilizzare come supporto creativo per la loro musica e sostenendo musicisti che, alla lunga, non siano interessati a categorie stilistiche per il loro profitto”.

.