// di IRMA SANDERS //
Sonny Rollins disse di lui: “Saul è un musicista consumato, una persona che conosce i sentimenti degli altri e, in tal senso, risulta una persona gentile. È tutto ciò che potrei chiedere ad un compagno di lavoro“. Saul Rubin, pilastro della scena jazz newyorkese, chitarrista di vaglia diplomato alla Hartt School of Music, si è laureato in composizione, studiando jazz anche con Jackie McLean. Da sempre è foriero di una musica soulful e pregna di virtuosismo che ha fatto il giro del mondo insieme ad importanti jazzmen, tra cui Sonny Rollins, con il quale è stato in tour in Europa e negli Stati Uniti e Roy Hargrove, di cui ha arrangiato un album per la Verve nel 2009.
Con lo stesso Hargrove ha fatto numerose tournée in Europa, Canada, Giappone e Stati Uniti. Sono innumerevoli gli artisti che, negli anni, hanno usufruito dei servigi musicali di questo estroso chitarrista. Nell’album “The Zebtet”, registrato allo Zebulon Sound & Light di New York il 15 aprile del 2014 e pubblicato dalla Red Records, Rubin esprime una musica con richiami ancestrali legata alla cultura afro-americana, ma getta un ponte verso la contemporaneità, grazie ad un modus operandi moderno che guarda ai climi sonori ed ai ritmi della Grande Mela e alle nuove vie di fuga del jazz attraverso l’evoluzione della black-music. Grazie all’incontro con Fabio Morgera, trombettista italiano di talento, di stanza a New York, che ha curato la produzione dell’album, Rubin è riuscito a trovare un perfetto equilibrio fra tradizione e modernità, assemblando un perfetto costrutto sonoro fatto di classici e composizioni nuove di zecca, la cui compattezza garantisce alle singole individualità di esprimessi con personalità, ma all’interno di un recinto sicuro e in un perfetto gioco di squadra; in particolare Rubin si concede ampi spazio di manovra negli assoli, ma senza mai debordare nel virtuosismo esasperato.
“The Zebtet” mostra una duplice dimensione, quella del piano trio, in brani come l’iniziale “Lotus Blossom” di Billy Stayhorn, “Milestone” di Miles Davis e “Song For Diana” firmata dallo stesso band-leader e quella più swing-bop con la band al competo, che esplode in “Bluetooth”, “The Android” e “Sasquatch Shuffle”, tutti componimenti originali di Saul Rubin. Uno dei momenti più toccanti dell’album è certamente la struggente versione di “Aisha” di McCoy Tyner, dove il suono della chitarra tenta quasi un’emulazione del pianoforte, mentre le soffuse note del sax di Stacy Dillard scavano nel profondo dell’anima. Decisamente suggestivo il brano cantato, “Make Someone Happy”, con la partecipazione speciale di Harold O’Neal, la cui voce velluto millerighe ben si amalgama al vibrato suadente della chitarra per un duetto da manuale. Ottimo il supporto del sassofonista Dillard, decisivo nei momenti più groovy dell’album, così come l’intervento di Fabio Morgera, mentre Ben Meigners al basso e Brandon Lewis alla batteria non fanno mancare mai il giusto apporto ritmico dalle retrovie.
“The Zebtet” è un disco multitasking, un gioiello del catalogo Red Records, diviso tra momenti evocativi e propositivi, fra innovazione e patrimonio musicale collettivo, che sposa appieno la dimensione del jazz più attuale, restando ancorato saldamento al passato come modello ispirativo e stimolo al cambiamento, ma non semplice riproposizione manieristica e calligrafica.
