// di Francesco Cataldo Verrina //

Da quando il rock ha cessato di esistere, trasformandosi in pop usa e getta e sbriciolandosi nel pattume da airplay radiofonico, salvo qualche rara eccezione underground, spetta al sempre e solo al jazz richiamare l’attenzione sulle grandi problematiche sociali ed ambientali. Il jazz è voce quanto mai autorevole nel creare forti suggestioni cariche di contenuti e d’impegno «militante», pur non facendo quasi mai ricorso all’uso del testo e della parola per denunciare e raccontare. «Peace For Earth», il nuovo album dell’Enrico Ghelardi Shanti, pubblicato da Alfa Musica, a detta del fautore nasce sotto tali auspici: «Ho scritto «Peace For Earth», il brano che dà il titolo all’album, una invocazione di pace per Madre Terra, prima che scoppiasse la pandemia, ma il destino ha voluto che questo lavoro uscisse in tempi di Corona virus, in un periodo così particolare per tutta l’umanità, un periodo in cui un male oscuro percorre, come un’onda invisibile, tutto il pianeta, provocando sofferenze e lutti, e lasciando una scia di rovine economiche

Il disco si muove attraverso una narrazione sonora, talvolta delicata e floreale, altre onirica e sospesa, perché come sostiene il sassofonista/clarinettista leader: «A me piace pensare alla mia musica come ad un fiore che apre i suoi petali verso l’alto, nutrendosi della luce che dall’alto scende, e inviando verso il cielo la propria vibrazione, come fosse una preghiera». Qui subentra un altro degli elementi tipici del jazz, ossia quella componente «spirituale», che sfugge ad ogni altra forma di manifestazione musicale contemporanea. La musica di Ghelardi contiene una notevole dose di universalismo e panteismo, che affonda le radici in alcuni assunti coltraniani. Le parole del musicista pisano sono alquanto eloquenti: «L’umanità genera forze autodistruttive, fuori di sé e dentro di sé, ed a queste si unisce il crollo delle difese immunitarie dovuto allo stile di vita e all’avvelenamento dell’anima. E sopravviene la malattia. Tuttavia la malattia, anche se genera sofferenza, talvolta è utile, perché, costringendoci ad un riposo forzato, ci dà modo di rivedere ciò che dentro di noi e fuori di noi è opportuno cambiare, per poter vivere in modo più equilibrato e gentile».

L’album contiene otto componimenti originali scritti da Ghelardi ed eseguiti con estrema perizia tecnica, ma capaci di raggiungere subito al primo impatto il nucleo emotivo della narrazione sonora. Pierpaolo Principato al pianoforte, Stefano Cantarano al contrabbasso e Massimiliano De Lucia alla batteria e percussioni condividono pienamente gli assunti basilari dell’album ed agiscono come un corpo unico, pur esprimendo creatività ed inventiva personale, ma senza mai calcare la mano. Nessuno è alla ricerca di protagonismo, non ci sono impennate virtuosistiche o manierismo, ma una collegialità sincrona, in modo che «la musica contribuisca a produrre, dunque, armoniose vibrazioni di pace e serenità nel cuore e nella mente di chi ascolta, come in una meditazione guidata; che possa contribuire, con i propri colori, al meraviglioso affresco di cui siamo parte», come sostiene lo stesso Ghelardi, che oltre ad essere molto ispirato a livello compositivo ed esecutivo, riesce ad accompagnare il suo progetto seguendo una sorta di filosofia dematerializzata da banali elementi terreni: «Pace per la terra e per tutti gli esseri che vi dimorano, è l’essenza della preghiera, perché solo l’albero della pace produce i benefici frutti di cui l’umanità ha bisogno, i frutti della gentilezza, della concordia, del perdono, del rispetto per tutti gli esseri viventi e dell’ambiente, in una parola dell’amore universale. «Peace for Earth», pace per la terra, allora; e ciò significa pace per il cuore e la mente, perché solo pacificando il cuore e la mente possono essere estirpate le velenose piante infestanti della rabbia, della feroce conflittualità e dell’odio, che tanta sofferenza generano».

Enrico Ghelardi

Il concept sonoro dell’album è distante dal classico costrutto posr-bop contemporaneo, ma si rifornisce di stimoli creativi guardando in ogni dove, arricchendosi di elementi della cultura popolare mediterranea ed incamerando sonorità orientali, del Nord e del Sud del mondo: il brano di apertura, «Shakti Dance» fortemente evocativo è una sorta di manifesto programmatico, dove è possibile cogliere echi dell’ultimo Coltrane o del Garbarek post-jarrettiano. Nei suoi nove minuti di peregrinazione per i quattro punti cardinali della musica, questa prima traccia descrive e condensa quanto accadrà nelle rimanenti sette. «Offering», sospinta da un incantevole flauto, sembra dischiudere scenari esotici che si accavallano in un’altra piccola odissea sonora che oltrepassa ancora la durata di nove minuti. «Silent Song» è una ballata dalle tinte soffuse e delicate, dotata di un ottimo impianto melodico, emotivo e descrivo al contempo. «Om Naham», riporta alla mente il Coltrane più etnico, anche se il costrutto sonoro si avvale di modus operandi molto più vicino alla fusion, dove le ritmiche guardano con interesse al continente afro-latino. «The Call», magnificata da un flauto esplorativo e fiabesco al contempo, si svolge attraverso una modalità che riporta in auge alcuni momenti del Don Cherry più etnico, mentre il piano fa pensare al miglior Dollar Brand. Il viaggio per le vie del mondo sposta la bussola in direzione Oriente con «Pranam», il cui titolo si riferisce al classico saluto indiano, mentre gli intrecci sonori sembrano descrivere le contraddizioni terrene e la forte spiritualità di quella lontana terra ricca di storia e tradizioni.

La title-track, «Peace for Earth» è una ballata che cammina come un ramingo viandante alla ricerca di un’altra verità, soprattutto sembra l’espressione in musica del pensiero di Ghelardi che dice: «Un grazie infine al Divino per avermi dato la possibilità di cercare me stesso e di esprimermi anche attraverso la musica, portando il mio fiore nel grande prato della vita», mentre il Coltrane di «Al Love Supreme», sia pure in un differente dimensione sonora, sembra fare ancora da guida. The last but not the least, «Diwali» suggella l’album caratterizzandosi come una delle tappe più suggestive dell’intero percosso sonoro. Anche qui il motivo ispiratore e l’India, il Diwali, Dipavali o Deepawali è una delle più importanti feste indiane che si svolge nel mese di ottobre e novembre, simboleggia la vittoria del bene sul male e viene detta anche «festa delle luci». In conclusione possiamo solo affermare che «Peace For Earth» di Enrico Ghelardi Shanti Project è un album che brilla di un’intensa luce positiva

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