Ronnie Boykins – “The Will Come, Is Now”, 1975

// di Francesco Cataldo Verrina //

Questo è un valido set per approcciare una artista in parte scomparso dal controllo dei radar. L’etichetta discografica, la ESP-DISK concesse a Ronnie Boykins molta libertà espressiva, tanto da poter mettere in evidenza le sue capacità compositive ed organizzative; soprattutto parliamo di un unicum, in quanto è il solo album come band-leader che abbia mai pubblicato. Morto a soli 45 anni nel 1980, Boykins è stato un bassista dalle caratteristiche non comuni, forte di un’esperienza maturata sul campo al fianco di Sun Ra, Ornette Coleman, Sam Rivers e molti altri musicisti con il baricentro spostato verso le avanguardie. “The Will Come, Is Now”, registrato nel 1975, propone un jazz free-form a trazione anteriore.

Oltre a Ronnie Boykins al contrabbasso ed al sousafono (strumento della famiglia degli ottoni dal suono grave usato nelle march-band), Joe Ferguson al sax soprano, tenore e flauto, Monty Waters al sax alto e tenore, James Vass al sax alto, soprano e flauto, Daoud Haroom al trombone, Art Lewis alle percussioni e George Avaloz alle congas. Tutte le tracce eseguite furono composte da Ronnie Boykins e sono imperniate su un ricco campionario sonoro, a volte frenetico e stridente, altre spaziato e sfuggente; i cromatismi e toni sono cangianti e sembrano mutare da un pezzo all’altro come un colore che cambia gradazione work in progress. Tutti i solisti si alternano in prima linea sostenuti dal resto dell’ensemble, creando strutture armoniche e ritmiche che si addensano come in una tela impressionista.

Boykins tira fuori anche l’arco, dimostrando che le frecce nella faretra, pronte ad essere scagliate, sono davvero tante: “Starlight At The Wonder Inn”, mette in evidenza la sua efficace tecnica con l’archetto, mentre i fiati ricamano melodie sotterranee e ricche di interferenze, seguendo un tracciato tortuoso per filo e per segno. L’intreccio di tanti ottoni, a volte all’unisono, produce un effetto quasi tradizionale, specie in “Demon’s Dance”, riportando alla mente i grandi ensemble di Mingus. L’uso dei fiati a rotazione, con frasi brevi e veloci e con un solista a turno, come in “Dawn Is Evening Afternoon”, favorisce i cambi di tempi e le variazioni umorali, che rimandano alle orchestre di Gil Evans. In “Tipping i sassofoni sono impiegati in alternanza ed in vari duetti, in maniera vagamente dissonante ed atonale, al fine di creare un piacevole contrasto, mentre le percussioni e le congas conferiscono al costrutto sonoro un’aria di esotismo, senza precipitare sul bagnasciuga turistico-caraibico.

Il climax si raggiunge con “The Third I” un lungo componimento che supera i 12 minuti, forse il più vicino all’estetica del free jazz. Gli strumenti a percussione fanno da linea guida, mentre l’intero line-up si muove in un’orgia di sassofoni; per contro l’intenso e pungente suono dei flauti produce un vortice dal sapore mediorientale, che fluttua come una danza del ventre rimbalzando su un tappeto ritmico dinoccolato e serpeggiante. “The Will Come, Is Now” è un disco geniale negli arrangiamenti e nell’esposizione, forte di un ensemble pervaso da uno stato di grazia e guidato da una forza telepatica.