// di Guido MIchelone //

Non mi piace quando si scrive QUESTO NON E’ JAZZ senza motivarne le ragioni! Quindi, a scanso di equivoci, propongo una mia play-list (commentata) di quanto di bello sia accaduto nel jazz a New York tra il 2020 e il 2021: 16 album, forse non i migliori in assoluto, ma, a mio avviso, variamente significativi della molteplicità culturale delle proposte musicali.

2020

Jason Kao Hwang, Human Rites Trio (True Sound Recordings)

Accostabile alle nuove leve del jazz asiatico di matrice newyorkese, il 57enne (vl. e vla.) assieme a Ken Filiano (cb.) e Andrea Drury (batt.) dedica l’album alle vittime del Covid-19, proponendo una complessa world music, dove, in lunghi brani, l’improvvisazione spesso radicale si incrocia con diverse reminiscenze, dal tango al blues, fino a certo lirismo orientale, con un sound complessivo personalissimo, spesso dall’anelito fortemente rituale.

Chris Potter, There Is A Tide (E Edition)

Frutto del lockdown di marzo 2020 e del movimento Black Live Matter, autentico tour de force per il sassofonista chicagoano (ma di scuola newyorchese), che fa tutto da solo, registrando e sovrapponendo una ventina di strumenti (a fiato, a corde e ritmici), in una ‘sequenza poetica’ di 13 nuovi brani originali di jazz contemporaneo fra le tragedie shakespeariane e la cultura Orisha: la title track rimanda al Giulio Cesare, mentre The Mother Of Water evoca Yoruba e Santeria.

Allegra Levy, Sings John McNeil (SteepleChase)

Il giovane canto jazz femminile, oggi, nel mondo, è variamente declinato: negli Stati Uniti c’è chi ancora si impegna nello spirito dei folk singer: infatti risulta assai introversa la cantautrice newyorchese che sceglie 9 pezzi del trombettista (ospite in 2 brani del quartetto) del titolo, aggiungendovi le liriche per approdare a un sound complesso e determinato, in grado di rimarcare piacevolmente le proprie virtù canore.

Sly 5th Ave, What It Is (TruThoughts)

Con base a Brooklyn, il collettivo multistrumentistico – singole collaborazioni con Prince, Stevie Wionder, Quantic – offre un doppio vinile con 13 brani improntati a una riuscita miscela di jazz, hip-hop, r&b e soul; ma è nel tributo orchestrale al rapper Dr Dre e nelle tante diverse sfumature che si contraddistingue un album eclettico ‘in linea’ con le più aggiornate tendenze neroamericane.

Brad Mehldau, Suite: April 2020 (Nonesuch Warner)

Chiuso nel proprio appartamento newyorchese, il 50enne pianista offre un concept album su lockdown e Covid-19, allargandosi alle contraddizioni della società americana: i 14 brani originali (più una cover da Neil Young) sembrano racconti autobiografici, cupi, malinconici, tradotti in sorprendenti invenzioni melodiche con qualche ascendenza classica (e forte senso ritmico), sino a riconnotarsi quale jazz allo stato puro.

AccordingTo The Sound, Prism-A-Ning (Losen Records)

Tra Bristol, Londra, New York, Adam Parry-Davies (tast.) e Patrick Case (chit.) coinvolgono altri 10 musicisti (tra cui James Carter al tenore in due brani) per un jazz eclettico, in senso avanguardista e con netti richiami alla tradizione bebop e al gusto fusion (e a tratti allo stesso prog rock), in un’altalena di 11 pezzi via via lunghi e brevi, veloci e rilassanti, tesi e sentimentali.

David Krakauer & Kathleen Tagg, Breath & Hammer (Table Pounding)

Quella che, dalla NY Downtown in jazz, John Zorn & Co. chiamano New Jewish Music, sta oggi assumendo differenti prospettive, soprattutto quando si lega al jazz contemporaneo. Sempre nella Grande Mela giunge la rilettura del klezmer in duo (cl. e p.) grazie a un disco quasi cameristico di omaggi a svariate modernità con un pizzico di dissacrazione.

Bobby Previte, Music from the Early 21st Century (Rare Noise Records)

Che sia questa la musica del giovane Ventunesimo Secolo verrà deciso dai posteri: certo, il sound che propongono Jamie Saft (org., tast., p. el.), Nels Cline (b.) e Bobby Previte (batt.) è una funambolica rilettura dell’hammond jazz trio, di moda con hard bop e acid jazz. Qui un sound torrenziale azzera quanto inventato da Jimmy Smith e compagni, per farsi assoluta pura avanguardia, improvvisando dal vivo, in diversi club del New York State, riscuotendo ampi consensi, grazie ai richiami a una stralunata psichedelia.

2021

Julian Gerstin, Music for The Exploration Of Elusive Phenomena (Zabap Music)

Il leader, jazzman ed etnologo, noto per gli studi sulle percussioni subsahariane, latine, mediorientali, balcaniche, compie qui opera di sintesi, alternando ben 19 musicisti, a registrare le parti a casa, per il Covid; la summa è sorprendente per coesione di ogni diverso gruppo su 12 original, ‘tributi’ a melodie e ritmi del folclore delle 3 Americhe, con un imprinting di jazz e di afrobeat.

Pakt, Pakt (Moonjune Records)

Nomi della band indicati in copertina, Tim Motzer e Alex Skolnick (chit.), Percy Jones (b.), Kenny Grohowski (batt.), per un doppio concept The Unsilence e The Sacred Ladder a cavalcare un sound che fonde inventivamente noise, free jazz, prog rock e improvvisazioni radicali (talvolta cariche e aggressive nel primo dischetto, più dolci e melodiche nel secondo). Registrato in studio con le mascherine.

Dave Liebman & Richie Beirach, Empathy (Jazzline)

Cofanetto quintuplo sottotitolato Five Improvised Soundscapes, dove 2 veterani dell’avanguardia (rispettivamente ten., sop. e p.) si dividono la scena in duo, in trio (con il mitico Jack De Johnette, batt.) e in quartetto dove tutti approcciano molti altri strumenti. Cambiano gli organici, ma il gusto per ricerca, improvvisazione, intesa, estemporaneità resta inalterato.

Jeremy Pelt, Griot: This Is Important (HighNote)

Operazione coraggiosa e singolare, quella del 45enne californiano (tr.), esponente del BAM: introdurre 9 dei 16 brani dalle parole di altrettanti celebri jazzisti soprattutto newyorchesi (Ambrose Akimmusire, JD Allen, Harold Mabern, ecc.) a dissertare su musica, America, razzismo, identità etnico-culturale. Vicino idealmente ai poeti griot dell’Africa nera, il sound in quartetto (più ospiti) resta linguaggio boppistico.

Joe Fiedle’s Big Sackbut, Live in Graz (MultiShonics Music)

Tre tromboni (il leader, Ryan Keberle, Luis Bonilla) e una tuba (Jon Sass) nella cittadina austriaca, quasi in omaggio a Beethoven che nel 1812 scrive per il locale Maestro di Cappella una partitura per questi strumenti; qualche suggestione classica e barocca nel sound compatto del quartetto, attento però a proporre musica propria e singolari arrangiamenti da Charles Mingus, Roswell Rudd, Jay & Kay.

Three-Layer Cake, Stove Top (Rare Noise Records)

Il debutto di un power rock trio all’ennesima potenza nel tipico stile dell’avanguardia newyorchese. Il leader Mike Watt (b., già con i Minutemen) chiama Brandon Seabrook (chit., bj.) e Mike Pride (batt., perc., org.) per improvvisare musica eterogenea, talvolta tiratissima, talaltra meditabonda, ma che, in soli 8 brani, profuma via via di free funk, doom metal, no wave, punk jazz.

William Parker, Migration Of Silence Into And Out Of The Tone World (Centering Records)

Cofanetto di 10 cd – 91 brani e circa 10 ore d’ascolto – sulla recente attività del 69enne contrabbassista e compositore afroamericano che, dai Nineties, propone un jazz che supera limiti e frontiere per dialogare alla pari con altre forme sonore qui ottimamente dispiegate, tra classica e contemporanea, canzone e hip-hop, free e post-free, ribadendo una genialità costante.

Roy Hargrove & Mulgrew Miller, In Harmony (Resonance)

Per ricordare sia il trombettista scomparso nel 2018 a soli 49 anni, sia il partner ideale (1955-2013) come sempre davanti al pianoforte, questo inedito doppio CD propone concerti inediti di incredibile virtuosità: a New York (2006) e in Pennsylvania (2007) il duo affiatatissimo improvvisa a lungo su 12 grandi temi e un originale (dedicato a Andrew Hill) dialogando a prima vista con estrema scioltezza in un jazz senza tempo (forse oggi BAM).