// di Guido Michelone //

Pur senza aderire alla rivoluzione bebop – e a differenza di tanti colleghi evitando di dirne peste e corna – Duke e Count si aprono, sui generis, alla modernità, magari vivendo, agli inizi degli anni ’50, un periodo di appannamento, causato dal disinteresse del pubblico verso le grandi orchestre: il duca è l’unico a non sciogliere la propria, mentre il conte non l’avrà per due lunghi anni. Restando abili talent scout e punti di riferimento per giovani solisti, Ellington e Basie tornano a far parlare di sé verso la fine di quel decennio, grazie al celebre performance concertistiche e soprattutto con grandi album che rivelano due atteggiamenti quasi antipodici.

Ascoltando infatti ad esempio da un lato Black, Brown And Beidge (versione stereo), Such Sweet Thunder, The Nutcracker Suite Peer Gynt Suite/Suite Thursday e dall’altro The Atomic Mr Basie!, Count Basie And The Kansas City 7 c’è per il duca il desiderio di avvicinarsi alla composizione dotta, per base invece l’esigenza di ribadire la propria vena blues, anche se per sopravvivere al giovanilismo degli anni ‘60 accetteranno qualche compromesso: un album sulla colonna sonora di Mary Poppins e due sui brani pop da hirt parade il primo, un tributo ai temi di 007 e ai Beatles yé-yé il secondo.

Senza darsi per vinti di fronte all’escalation musicale di rock e soul o alle rabbiose prese di coscienze del popolo afroamericano con il Black Power o le Black Panthers, sia Ellington sia Basie vivono il loro Sessantotto impegnandosi nella loro musica che fin dagli inizi, ben prima dell’hard bop o del free jazz, resta simbolicamente un inno alla Madre Africa, così fortemente evocata dagli artisti neri delle nuove generazioni. A entrambi insomma bastano pochi ‘ritocchi’ per sfornare eccellenti album sperimentali – tra il ’70 e ’71 New Orleans Suite e The Afro-Eurasian Eclipse per Ellington e Afrique per Basie – richiamanti fin dai titoli il panafricanismo e l’ideologia terzomondista dei giovani contestatori.

Con il ‘ritorno all’ordine’ e l’imminente celebrazione degli ormai anziani maestri Duke Ellington, che muore nel 1974, fa appena in tempo a vedere esaltata anche la propria arte solistica in dischi come This One’s For Blanton! e Duke’s Big 4, mentre Count Basie, scomparso nel 1984, vedrà aumentare considerevolmente la produzione fonografica soprattutto grazie alle numerose jam session registrate dal vivo, quasi un percorso a ritroso verso le origini, in 33 giri quali Basie Jam Montreux 77 o Kansas City 8 Get Together.

First Time del 1961, un album che, a seconda delle ristampe, presenta prima il nome di Basie e poi quello di Ellington (e viceversa) è l’obiettivo testimone di un unicum, fino allora, nella storia jazzistica. Spesso questa musica è fatta da episodi irripetibili accaduti per caso o senza un ordine prestabilito: e così succede che il 6 luglio di quell’anno le grandi formazioni del Duca e del Conte – da circe 3-4 anni tornate sula cresta dell’onda – si trovano nel medesimo locale, al 30th Street Studio di New York. Essendo presente l’ex jazzista e ora produttore per la Columbia Teo Macero l’incontro si materializza in un long playing posteriori definito ‘dalla ricchezza quasi imbarazzante’. Si tratta però diun lavoro di rilevanza soprattutto simbolica, non senza oggettive qualità nel risvolto musicale, perché alla fine concerne la naturale propensione di entrambi i leader (e delle loro orchetsre) a dimostrare la stima reciproca e l’immensa considerazione che lega due straordinari artisti, che all’epoca si cominciano a ritenere maestri o capiscuola, quando anche negli Stati Uniti si inizia ad apprezzare il jazz come musica con la M maiuscola o come grande Arte del Novecento americano.

Quando trapela la notizia di un disco – il futuro First Time! ovvero la Battle Royal, l’Encounter, il Basie Meet Ellington – al primo acchito i critici storcono il naso pensando che il progetto possa subito abortire in un flop clamoroso dayta l’acerrima rivalità fra le due big band per circa un quarto di secolo, con picchi di reciproca invidia tra il 1936 e il 1941 o tra il 1957 e il 1960. Però la stima genuina di Duke per Count (e viceversa) e un palinsesto azzeccato riguardante pre, post e produzione del disco stesso riescono a garantire all’album un successo grandioso (anche fuori dai circuiti jazz) eun exploit inatteso dai due leader medesimi.

Del disco piacciono soprattutto i duetti fra i due pianisti, gli arrangiamenti che permettono ottimi assolo. Tra i brani spicca in primis Seque in C, seguito da Until I Met You, Battle Royal e da Jumpin at the Woodside. E del disco il critico John Bush scrive: “Una gara fra band? Non proprio: più che altro ammirazione reciproca, fra le orchestre dei due giganti del jazz che suonano insieme. L’eleganza di Ellington e gli assoli singolari si uniscono allo swing di Kansas City di Basie, e tutto funziona meravigliosamente. Non c’è mai confusione, ogni band è concentrata e suonano molto bene insieme. Tutti si divertono e l’album trasmette questa gioia dall’inizio alla fine”. E quasi dello stesso parere è Scott Yanow : “(…) un incontro di grande successo e sorprendentemente poco affollato. Nella maggior parte delle selezioni Ellington e Basie suonano entrambi il pianoforte (la loro interazione è meravigliosa) e gli arrangiamenti hanno permesso alle star di entrambe le band di fare a turno da solisti”.