// di Francesco Cataldo Verrina //
Preambolo
In taluni circoli pseudo-culturali, il patriottismo italiota in merito al jazz, talvolta diventa parossistico. Ci manca poco che secondo alcuni il jazz sarebbe un’invenzione degli Italiani, comunque italo-americani, ma soprattutto cittadini americani, figli di espatriati italici, fuggitivi, dissidenti politici, emigrati per fame, trattati in malo modo in patria che, nella terra delle mille opportunità, gli USA, avevano trovato un minimo di dignità. Quindi via con la riscoperta di quei jazzisti della prima ora, o comunque, con un cognome italiano.
Tony Fruscella – “Fruscella” (Rstampa Audiofila)
Tony Fruscella è stato un trombettista geniale, dalla vita breve, mori a soli 42 anni per abuso di droghe ed alcoolismo. Nato a Orangeburg, NY, il 4 febbraio 1927, fece la sua prima importante esperienza suonando in una banda militare. Il suo tono “freddo” e l’influenza di Joe Thomas, veterano dello swing e di Bix Beiderbecke, gli consentirono di strutturare un personale modus operandi fluido e distaccato al contempo. Cresciuto in condizioni di povertà estrema ed affidato ad un orfanotrofio, il trombettista cercò un riscatto studiando jazz. Le opportunità non gli mancarono, avendo suonato come gregario al soldo di Lester Young, Stan Getz e Gerry Mulligan, ma la fortuna non fu dalla sua parte. Sono poche le pubblicazioni a suo nome e tutte postume. In verità, l’unica registrazione ufficiale risale al 1955 ed è stata ristampata un paio di anni fa su vinile audiofilo da 180 grammi in tiratura limitata, solo 500 copie. Una vera chicca per quanti cercano di capire i lati più oscuri del jazz, talvolta torbidi e fitti di misteri. Già al primo ascolta il disco di Fruscella impressiona per la qualità e l’originalità della proposta e per la selezione dei brani: tutte composizioni originali di Phil Sunkel, consegnate al mondo attraverso suono aperto, arioso e da una cantabilità presente nei vari fraseggi che, nonostante siano spesso ottenuti da una ridotta estensione dello strumento, risultano sempre efficaci, mai scontati o banali.
Fruscella, molto apprezzato dai colleghi, possedeva un’ottima tecnica imperniata sul registro medio-basso della tromba, soprattutto il suo modulo espressivo appariva già piuttosto evoluto per un uomo del suo tempo. Il trombettista si muoveva tra le note in maniera aggraziata, riuscendo ad essere costantemente inventivo attraverso un approccio soffice, lineare e convincente, tanto da poter essere associato alla corrente del cool jazz: una sorta di Miles Davis ante-litteram, meno aspro e con una migliore quadratura melodica. Per morbidezza e lirismo, qualcuno ha finanche azzardato delle similitudini con Chet Baker, ma soprattutto per via della sua vita randagia e senza dimora fissa. Dal punto di vista dell’organizzazione musicale, però, Chet era molto più schematico, immediato e “melodizzante”.
Il disco sotto i riflettori, come titolo porta il suo nome, forse due righe sbiadite nella storia del jazz e per la moltitudine solo uno sconosciuto, uno dei tanti, è un vero capolavoro, di quelli che meriterebbero ben altra considerazione ed una trattazione più dettagliata. Tra i top 100 nella personale graduatoria di gradimento di molti esperti di jazz, il microsolco è comprensivo di otto tracce di lunghezza media con l’aggiunta di una bonus-track, scorre velocemente e lo stile del trombettista risulta assai caratterizzato. Sono presentii anche residui di musica sacra, ascoltata in tenera età da Fruscella. Una curiosità: “His Master Voice” riprende l’aria del canto ecclesiastico “Prendi questa offerta”.
Gli stupefacenti e l’etilismo, tuttavia, avevano già cominciato a pesare sul suo modo di agire, condizionandone irreversibilmente l’esistenza e la professione di musicista, a tal punto che l’attività successiva di Fruscella, specie verso la fine degli anni ’50, si limitò per lo più ad alcune esibizioni come sideman di supporto Negli anni Sessanta, l’inquieto trombettista era già fuori dal giro jazz; gravemente ammalato e provato da gli eccessi di una vita scombussolata, morì di cirrosi a New York nel 1969. Dopo la morte, la valida ma scarna eredità discografica di Fruscella è stata in qualche modo arricchita con la pubblicazione di diverse date dal vivo e registrazioni in studio precedentemente accantonate. Ancor oggi vi son registrazioni inedite, quali il set da occasionale membro del quartetto pianoless di Gerry Mulligan al Festival di Newport del 1954.
Esiste una session con Brew Moore, altro personaggio dimenticato, che ha una storia singolare. Come molti sapranno, l’archivio dei nastri della Atlantic di Long Branch nel New Jersey andò perduto nel 1978 a causa di un incendio. Tuttavia, di questa session erano stati prodotti alcuni dischi campione, quindi la seduta venne recuperata e pubblicata su CD.
L’album in oggetto, registrato con il supporto di Allan Eager sax tenore, Bill Triglia piano, Bill Anthony basso e Junior Bradley batteria, può essere ascoltato con impianti molto selettivi ed evidenziare una perfetta qualità sonora. Ottima l’operazione di mastering che mette in risalto una buona dinamica e una gamma tonale equilibrata. La scena è ampia e gli strumenti percepibili al dettaglio: la tromba in tutta la sua nitidezza, il calore del sax tenore, la limpidezza del pianoforte, la vibrazione armonica del basso e i colpi precisi della batteria.
N.B il fatto che Fruscella avesse un cognome italiano non ha alcuna valenza, né di tipo jazzstico, né di tipo storico.
