Francesco Cataldo – «Giulia», 2020

// di Irma Sanders //

Quando si hai per le mani un disco del genere, la prima domanda che ci si fa è: «Sarà lei, Giulia, la musa ispiratrice di Francesco Cataldo, questa giovane donna che scruta l’infinito dalla feritoia di un avito maniero alla ricerca di un lontano altrove? Fuori da ogni metafora, Francesco Cataldo (non siamo parenti) è un abile musicista capace d’impugnare la chitarra con scioltezza, ma soprattutto di tenere in pugno i sentimenti e le umane paturnie e di liberarli all’occorrenza, facendo vibrare le corde della nostalgia, delle emozioni, della gioia, dei ricordi ed offrendo mille suggestioni ed un perfetto substrato sonoro alla narrazione del mestiere di vivere, fatto di luci ed ombre.

«Giulia» è l’album di Francesco Cataldo, pubblicato da Alfa Music con il sostegno e la complicità diMarc Copland al piano, Pietro Leve ratto al contrabbasso e Adam Numerus alla batteria, perfetti sodali in questa sorta di introspezione sonora di natura autobiografica, con un ruolo per nulla secondario e marginale. Per contro il quartetto, che si muove sempre in maniera quasi telepatica e sincrona, agisce come un corpo unico, ma ognuno degli «attanti» sulla scena recita un ruolo primario in relazione alla parte assegnata. In realtà «Giulia», cui è intestato questo piccolo gioiello di jazz dal passo lieve, ma deciso, come quello degli eroi omerici, è la figlia di Francesco Cataldo, che finisce per essere idealmente adottata da tutti i musicisti coinvolti nel progetto. Ognuno di essi riesce ad immedesimarsi nella dimensione proposta dal band-leader ed a condividerne pathos, lirismo ed ispirazione.

Francesco Cataldo

«Giulia» è una sorta di romanzo sentimentale, meglio sarebbe dire, racconto dei sentimenti, narrato attraverso 10 componimenti musicali, che corrispondono ad altrettanti capitoli, dove la sostanza jazzistica, assai plastica, si rivela attraverso un delicato gioco di sfumature a volte diafane ad appena impercettibili, altre gioiose e luminescenti. Scorrendo le dieci tracce dell’album in lungo ed in largo, si viene colpiti dalla linearità, dall’omogeneità, dalla pacatezza compositiva, ma al contempo soggiogati da una fitta trama di armonie e delicate melodie, dove i quattro musicisti non tentano mai fughe impossibili, cercando di violare la barriera del suono o creando avvallamenti o escrescenze ritmiche al fine di sbalordire. È invece il forte senso di spiritualità che colpisce e riesce a soggiogare l’ascoltatore, attraverso l’equilibrio dei suoni e dei colori, gli scambi tra chitarra e pianoforte, le atmosfere arcane, fiabesche e sognanti, l’impeccabile comping della retroguardia ritmica ed i luoghi della memoria vicini e lontani, dove la ricerca di sé, diventa la conoscenza dell’altro.

Come in un racconto, si parte da un prologo, «I Tuoi Colori», dove le note del piano suonato con eleganza, foriero di note spaziate e percettibili, cerca di definire la giusta ambientazione, fino al sopraggiungere di «Giulia», uno dei momenti clou dell’album, dove la chitarra di Cataldo inizia a declamare le frasi del racconto sonoro con potente lirismo, mentre il plot s’infittisce di vibranti suggestioni con «Levante», per poi liberarsi in un suadente «Waltz for Two», un ballo in punta di piedi ed in punta di plettro. «Two Ways sembra indicare ancora due strade, quasi a descrive i due lati dell’umanità, descritti nell’immediato da «Joy and Pain, gioia e dolore, che rappresentano le due facce dell’esistenza. Il dualismo contrapposto sembra essere il leitmotiv dell’album, «Two Color» ne coglie l’antitesi, attraverso cento sfumature diverse, fino a planare sul concetto di piccolo e grande, in «So Small So Big», pesi e misure, dimensioni e simmetrie, stati fisici e mentali, valori e controvalori che descrivono l’essenza dell’uomo, esaltata nella sua insostenibile leggerezza da «Circles» che diventa una sorta di quadratura del cerchio della vita. «Giulia» di Francesco Cataldo è un album jazz per animi gentili. Accomodati pure e, come diceva qualcuno, ascolta, si fa sera!

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