// di Bounty Miller //
Art Farmer – “Art Worker”, 1969
Un disco che rimane avvolto in piccolo mistero, ma è documento storico di notevole spessore. Non esistono note ufficiali che spieghino l’origine di questa registrazione live avvenuta in in Austria, a Vienna il 18 marzo del 1968, presso ORF-Studioso; non se ne conosce l’originaria finalità e soprattutto il perché questo set sia stato pubblicato circa trent’anni più tardi nel 1989 dall’etichetta italiana Moon Records, anche se ne esisteva una precedente stampa, probabilmente in tiratura limitata, ripresa in parte da alcune edizioni economiche come quelle della Lotus che vedete in foto e risalente al 1979, per la serie JAZZ della Dischi Ricordi. Al netto di tutte le valutazioni che riguardano gli aspetti commerciali e distributivi, “Art Worker” è un solido album di forte impatto, in cui Farmer dirige un affiatato sestetto, probabilmente rodato durante un tournée nel Nord Europa: il trombettista Robert Politzer, il sassofonista Hans Salomon (su contralto e tenore), il pianista Fritz Pauer, il bassista Jimmy Woode ed il batterista Erich Bachträgl.
Non esistono sulla copertina dell’album, assai avara di notizie, informazioni riguardanti eventuali arrangiatori, tecnologie usate e luogo esatto, tipo teatro, music-hall, auditorium o simile, dove queste riprese siano state veramente effettuate, ma a giudicare dal suono limpido e pulito, o ripulito, non ci sono applausi o i soliti rumori di fondo tipici di un esibizione dal vivo, potrebbe trattarsi di una registrazione per la radio tedesca, una sorta di live creato in studio; ad esempio, sono presenti due tracce firmate dal trombonista austriaco Erich Kleinschuster, a quel tempo, molto popolare in Germania. In ogni caso, il suono è eccellente, si potrebbe dire superiore alla media degli album registrati in quel periodo. Farmer e compagni si esprimono attraverso un hard-bop d’avanguardia a tinte soul-funk con un orecchio particolare al modale, qualche simpatia per la new-thing e per il post-Coltrane.
Fra le sette tracce, tutte ben suonate, emergono “Stars” un’insolita bossa nova dall’incedere molto fluido con digressioni sul tema, dove Farmer sfodera il flicorno per dare maggiore espressività al concept e per lenire i contrasti con il resto della front-line che si mostra molto più trasversale; “Eau Sovage” è un’escursione avventurosa e funkoide, tracciata su un camminamento irregolare, mentre il basso frusta l’aria con veemenza, un suono acidulo riporta alla mente Sly & The family Stone e gli strumenti a fiato gonfiano la bolla d’aria; “Orienterung” si muove attraverso l’iperbole scalare, su un terreno accidentato con le trombe che squittiscono con sequenze atonali, ma senza mai perdere il controllo della melodia. “Ala Nova” ritrova il temperamento soulful di farmer, mentre la ballata di Fritz Pauer “Gratuliere” è piccolo gioiello, dove tutto l’ensemble usa il principio dei vasi comunicanti. “Art Worker” potrebbe essere un album di notevole interesse per i sostenitori di Art Farmer, ma è consigliato a tutti, urbi et orbi.


Art Farmer – “Early Art”, 1954
Questo album non ha cambiato la storia del jazz, ma sicuramente ha una storia. Alcune tracce confluite in “Early Art” furono registrate la Van Gelder Studio il 20 gennaio del 1954 ed altre il 9 novembre dello stesso anno, con due differenti line-up. Il disco vide la luce solo nel 1962 per volere di un’etichetta inglese, la Esquire Records, ma con una distribuzione alquanto limitata. Finalmente, nel 1973, la Prestige rese giustizia a quello che rappresenta il vero esordio come band-leader ( a parte “The Art Farmer Septet”) di uno dei più estrosi trombettisti jazz di tutte le epoche. Insieme a Art Farmer alla tromba, parteciparono a quei set, alcuni musicisti, i cui nomi andranno presto ad ingrossare le fila della Jazz Hall Of Fame: Sonny Rollins sassofono tenore, Horace Silver pianoforte, Percy Heath contrabbasso, Kenny Clarke batteria, Wynton Kelly pianoforte, Addison Farmer contrabbasso, Herbie Lovelle batteria.
“Early Art” è suddiviso in due facciate molto simili per sviluppo e procedimento musicale, la prima suonata da una sorta di un quintetto all-star e la seconda eseguita in quartetto. Il suono di Farmer è lirico e ricco di sfumature anche nei pezzi uptempo, tipico stile bop legato alla prima fase della sua carriera. Tra i momenti più riusciti si segnalano “Soft Shoe”, “I’ll Take Romance” e “Autumn Nocturne”, ma soprattutto la trascinante “Gone with the Wind”. Nell’insieme, parliamo di un must have per i collezionisti e i cultori del bop classico.
Art Farmer Quintet– “Mirage”, 1982
“Mirage” è uno di quei dischi che nascono per una sorta di stato di grazia e per una confluenza di elementi ad incastro; ad esempio l’incontro al vertice tra Art Farmer e Clifford Jordan, che si conoscevano da decenni ma che unirono le forze per la prima volta in occasione di queste sessioni del 1982. L’album pubblicato dalla italianissima Soul Note segnò l’inizio di una collaborazione tra Farmer e Jordan che si concluse con la morte di quest’ultimo avvenuta nel 1993. Sostenuti da una potente sezione ritmica composta dal pianista Fred Hersch, dal bassista Ray Drummond e dal batterista Akira Tana, Farmer e Jordan si muovono agili e spediti attraverso una variegata gamma di espressioni jazzistiche, fondendosi alla perfezione in “Barbados” di Charlie Parker un blues ravvivato da spezie al lime dei Caraibi.
Fritz Pauer, il pianista abituale di Farmer durante le tournée europee, diede un forte spinta con “Passos”, un esotico viaggio a passo di samba con la bussola puntata a Sud e “Cherokee Sketches”, che alterna una variazione ispirata a Thelonious Monk attraverso una veloce rielaborazione. Pur nella sua perfetta omogeneità, l’album esprime delle punte di eccellenza come “Mirage”, firmato dal pianista Fred Hersch, un altro trastullo sonoro dall’anima latina, in cui Farmer e Jordan tirano fuori dal cilindro assoli da alta accademia del jazz e “Smilin’ Billy” di Jimmy Heath dedicato al batterista Billy Higgins a suggello di un album promosso a pieni voti. Registrato al Vanguard Studio di New York e il 18 e 19 settembre del 1982 e finalizzato al Barigozzi Studio di Milano il 22 settembre dello stesso anno, “Mirage” è un disco da aggiungere alla vostra wishing-list senza esitazione alcuna.


Art Farmer Quintet – “You Make Me Smile”, 1985
Quando Art Farmer realizzò questo album aveva già più di trent’anni di carriera alle spalle, quasi un centinaio di album incisi come band-leader ed innumerevoli collaborazioni con alcuni mostri sacri dal jazz mondiale: molti ricorderanno il suo lungo sodalizio con Benny Golson, sassofonista di talento e prolifico autore, suo sodale nel progetto The Jazztet. Il trombettista di Phoenix aveva sempre dimostrato grande duttilità creativa ed operativa, districandosi abilmente tra jazz dell’Est e dell’Ovest, ed un naturale spirito di apertura verso le collaborazioni inter pares. In questo set tenta di far rivivere la magia del sodalizio con Golson, scegliendo di suonare a fianco di Clifford Jordan, ottimo sassofonista tenore con il quale decide di condividere la prima linea, con il sostegno di Fred Hersch al pianoforte, Rufus Reid al contrabbasso e Akira Tana alla batteria. “You Make Me Smile” si muove leggiadro fra un post-bop a tinte soulful ed un nostalgico ed intrigante cool a temperatura ambiente.
Per l’occasione Farmer scelse di suonare il flicorno, la cui morbidezza adorna meravigliosamente gli scorci melodici con una tonalità calda, profonda e viaggevole. Molto evocativa la riedizione di due famosi standard, quali “Nostalgia” e “Have You Met Miss Jones?”, mentre “Prelude No.1” di Alexander Scriabin viene calato in un’atmosfera ombrosa e diradata, quasi un tributo ai suoi trascorsi in ambito westcoastiano. “Flashback”, l’unico brano a firma Art farmer, si lega perfettamente a “Souvenir” di Benny Carter, che diventa è un massaggio per l’anima, attraverso un perforante gioco di sax e flicorno, accompagnati dal cullante movimento della sezione ritmica. La title-track è un componimento originale del bassista Rufus Reid. Registrato al Classic Studio Sound di New York il 13 ed il 15 dicembre 1984, “You Make Me Smile” fu pubblicato dall’italiana Soul Note. Un ‘album dal quieto incedere, suonato con classe e precisione mercuriale, ma capace di emettere vampate di calore e scintille di emozioni allo stato puro.
Art Farmer – “Ph.D.”, 1989
Considerato come il miglior disco della seconda giovinezza di Art Farmer, “Ph.D.” vede il trombettista dell’Arizona ancora in stretto sodalizio con Clifford Jordan ed altri eminenti personaggi della nomenclatura jazz mondiale: il chitarrista Kenny Burrell, il pianista James Williams, il bassista Rufus Reid e il batterista Marvin “Smitty” Smith. Il sestetto si muove sul piano inclinato della nostalgia, ma con uno sguardo alla contemporaneità del periodo, oltrepassando lo steccato dell’hard-bop, soprattutto la track-list è organizzata su una scelta di materiale sonoro non prevedibile e convenzionale, tra cui alcuni standard poco sfruttati come “Like Someone in Love”, firmato Burke-Van Heusen, “The Summary” di Thad Jones e “Affaire D’Amour” di Donald Brown.
Il pianista James Williams contribuì alla session con tre brani, tra cui l’iniziale title-track, “Ph.D.”, un blues languido e calante, che precipita verso il basso come i rami di un salice piangente piantato in un’urna funeraria, ma il coinvolgimento è totale ed ipnotizzante: per oltre otto minuti piano, sax, chitarra e tromba eseguono una sorta di moderno requiem giocato quasi sul filo dell’ironia. “Mr.Day’s Dream”, sempre a firma Williams, è una ballata, intensa e ricca di pathos, che offre un’ottima vetrina soprattutto al sax di Jordan ed al flicorno di Farmer, che, quasi come due accorate voci narranti, raccontano le paturnie dell’animo umano. Con “Rise To Occasion”, il solito Williams dimostra di saper camminare anche a passo più sostenuto, distillando un ottimo blues mid-range. “Ballad Art” è un omaggio di Jordan al suo sodale, dove entrambi dimostrano di essere maestri nell’irretire i cuori infranti. Il momento più incisivo dell’album è certamente “Blue Wail” di kenny Drew, una bella prova corale per tutta la band.
Registrato all’Home base Recording di New York il 3 e il 4 aprile del 1989 e pubblicato dalla Contemporary, di “Ph.D.”, usando una metafora, potremmo dire che sia un’eccellente prova d’orchestra; un altro di quei dischi jazz da riconsiderare e, magari, da aggiungere alla vostra collezione.