“Tutto l’album è un viaggio trasversale, una piacevole fuga dalla routine della liturgia jazzistica.”

// di Francesco Cataldo Verrina //

Ci siamo spesso chiesti che cosa sia realmente il jazz. Forse, il pensiero di Max Roach potrebbe dissipare ogni dubbio in proposito. Infatti, una possibile visione del jazz è riassunta in ciò che Max Roach replicò a chi osò rimproverarlo, «lui che aveva suonato con Charlie Parker…», di aver lavorato in duo con musicisti come Anthony Braxton. Il batterista tuonò: «Una persona come Anthony Braxton è più simile a Parker di una che suoni “come” Charlie Parker. Bird era creativo e differente, e guardava in sé stesso. Sapeva quanto Hodges, Benny Carter e tutti gli altri avessero fatto. Quelle erano le fondamenta, e Bird costruì su quelle. Oggi ci sono alcuni come Phil Woods che preservano la tradizione, e poi ci sono quelli che spingono più oltre, che perpetuano il continuum cercandovi cose. Cecil Taylor è più simile ad Art Tatum di uno che suoni come Tatum. Magari non sempre tutto questo viene fuori, ma significa creatività».

A volte quando si parla di jazz si pensa ad una particolare struttura melodico-armonica ed una concezione del ritmo che non ammetterebbe deroghe. In realtà a volte è il mood che si respira fra i solchi di un album che fa di un disco transgenico un disco jazz. La Bley, in quel momento dedita all’apologia del synth, ed i suoi sodali mostrano di saper andare avanti, superarsi e poi ritornare su i propri passi senza smarrire mai il sentiero, a volte fatto di curve espressive non convenzionali e traiettorie ardite, tanto che si tratti di «Light In The Dark», dove i musicisti sembrano rigenerarsi nella luce di una nuova alba o di «Joyfull Noise», nel quale sembrano sprofondare in un abisso di pensieri sospesi ed itineranti: due momenti topici dell’album, ma distanti.

Registrato tra settembre d ottobre del 1983 al Grog Kill Studio di New York e pubblicato nel marzo del 1984, «Heavy Heart» mette il luce la proteiforme ed irrequieta personalità di Carla Bley, distillando quella che oggi potremmo definire una fusion di gran classe ed un viaggio spazio-temporale attraverso vari metalinguaggi jazzistici o para-jazzistici.

L’ensemble cammina unito come una comitiva in gita di piacere: leggerezza ed unità intenti animano i loro passaggi di mano ed i cambi di ruolo. Il baritonista Steve Slagle (eccellente anche al flauto alto) diventa il focus in entrambi i brani, mentre la band-leader mostra la sua genetica capacità di descrivere pensieri e parole attraverso la melodia. Il pianista Kenny Kirkland intesse una trama di fili colorati e resistenti all’urto della band, mentre il chitarrista Hiram Bullock aggiunge qualche mano di vernice alla tavolozza della Bley, la quale irrobustisce il contenuto facendo abilmente ricorso al sintetizzatore. «Talking Hearts» mette in mostra l’abilità di Bullock, nel cucire insieme tutti i frammenti sonori dispersi nell’aria, donandogli forma e sostanza, mentre il synth di Carla Bley sembrerebbe guardare al futuro attraverso l’applicazione di una metodologia sonora retroattiva; quasi come guidare in avanti, ma spiando sempre dallo specchietto retrovisore. L’effetto è tale che al momento della title-track, «Heavy Heart, l’estrosa Carla non resistere all’idea di voltarsi indietro, ma solo per qualche immagine monocromatica come in un flash-back.

La strada verso il futuro è stata aperta, si può guardare, ma non tornare indietro. Un sentimento contrastante che si rigenera e si esalta in «Starting Again», dove il piano di Kenny Kirkland incrocia e schiva sia la sezione ritmica che il sulfureo calore dei fiati, creando un piacevole effetto inseguimento come in un game virtuale che sfugge alle banali regole scritte. Tutto l’album è un viaggio trasversale, una piacevole fuga dalla routine della liturgia jazzistica, dove ombrosi scenari ritrovano la luce come in «Ending It», illuminati dall’adamantino bagliore del trombone di Gary Valente e dalla grana sottile dell’organo della band-leader. Per godere le evoluzioni di Carla Bley bisogna considerarla come una fontana da cui zampilla un costante senso di rinnovamento. Ancora oggi, ultraottantenne, ad ogni incontro la troverete ancora intenta a scrivere un altro copione. Genialità e prevedibilità non possono convivere.

Carla Bley