// di Bounty Miller //
Art Farmer è non stata la tromba per antonomasia, ma ”l’altra tromba”, pulita, elegante, signorile, impeccabile. Con una carriera durata quasi mezzo secolo, Art Farmer mostrò una ferrea e disciplinata costanza sia come solista che capofila. Il bassista Keter Betts, che aveva suonato con lui per un breve periodo negli anni ’70, lo descriveva così: “Era un trombettista gentiluomo, non un trombettista ribelle“.
Pur avendo scritto numerosi brani, Art Farmer non è passato alla storia come un compositore sopraffino, ma per essere stato un musicista serio, affidabile ed equilibrato, quasi pignolo e mercuriale sul lavoro. Il trombettista diceva di se stesso: “Avevo sviluppato questa reputazione, quella di essere un uomo che si sarebbe preso cura degli affari: essere sempre puntuale prima di un concerto, disposto a portarsi la musica a casa, studiarla e lavorare su di essa con meticoloso impegno. Quando qualcuno aveva sottomano qualcosa fuori dall’ordinario, mi chiamava per condividere il progetto. Non perché io fossi il miglior trombettista in circolazione, ma perché avrei dato il massimo”. Gli appassionati di jazz a vari livelli apprezzano Farmer per il suo caldo lirismo, un tratto distintivo che gli ha permesso di strutturare una precisa forma melodica in qualsiasi contesto, sia che avesse a che fare con una morbida ballata, sia quando era alle prese con un veloce hard-bop.
Dopo un esordio difficile passato a vagare per i locali di Los Angeles, a 25 anni, Farmer ebbe l’opportunità di viaggiare in Europa con la band di Lionel Hampton. Al suo ritorno negli Stati Uniti nel 1954, fece parte di vari line-up con Gigi Gryce, Gerry Mulligan, Horace Silver ed Hank Mobley. Finalmente all’inizio degli anni sessanta l’intuizione di dare vita insieme al sassofonista Benny Golson al progetto Jazztet, creando un riuscito sistema di collaborazione all-stars. Il progetto, molto apprezzato da pubblico e critica condusse Farmer alla notorietà internazionale, diventando come una specie di vitalizio, che gli ha consentito di avere una lunga di carriera di successo, caratterizzata da talento, etica del lavoro e professionalità.
A metà degli Settanta passò al flicorno, acquisendo notevole credibilità ed apportando allo strumento un tratto del tutto personale, grazie ad un soffio morbido che divenne un biglietto da visita, in seguito molto imitato soprattutto da numerosi trombettisti attempati, che trovarono nel flicorno uno strumento più accessibile. Per Farmer il talento aveva poco a che fare con l’eccesso, ma era basato su ciò che si potesse fare con la moderazione. Questa una sua celebre dichiarazione: “Sai, questo è ciò a cui devi fare attenzione, a questi velocisti che possono dirti qualcosa con una nota. Se possono dirti qualcosa con una nota … beh, allora fai attenzione quando iniziano a suonare più note di così. Questa è l’essenza del jazz, credo”.
“Art” nasce da una serie si sessioni registrate in studio con il pianista Tommy Flanagan, il bassista Tommy Williams e il batterista Albert Heathe. Proprio grazie all’apporto creativo e nutritivo di Flanagan, che in certe circostanze diventava una sorta di deus ex-machina, l’album assume tutti i connotati dell’happening, a ciò si aggiunga anche un Art Farmer in perfetta forma e quasi in uno stato di grazia. L’album si dimena tra vecchie ballate come “So Beats My Heart for You”, “Goodbye Old Girl” e “Younger Than Springtime”, disperse nelle nebbie del tempo, ma ravvivate dal tocco intrigante e convincente di Farmer che li trasforma in piccoli gioielli evergreen. Sotto i riflettori anche una divertita interpretazione di “Out of the Past” di Benny Golson ed una vivace e risoluta ripresa di “The Best Thing for You Is Me”.
“Art” di Art Farmer Quartet, registrato a New York il 21 ed 23 settembre del 1960, oggi risplende di nuova luce, sia sotto il profilo grafico che sonoro, in questa nuova edizione della Jazz Images. Da aggiungere, senza remora alcuna, alla vostra già nutrita collezione di classici del jazz mondiale.


EXTRALARGE
Art Farmer & Gigi Gryce – “Art Farmer Quintet Featuring Gigi Gryce”, 1963
“Art Farmer Quintet Featuring Gigi Gryce” nasce dal riuscitissimo sodalizio fra i due musicisti, pubblicato in prima battuta dalla Prestige Records nel 1956. Il disco fu registrato il 21 ottobre 1955 al Rudy Van Gelder Studio e venne rieditato in seconda battuta nel 1963 con la denominazione di “Evening In Casablanca” (dal titolo della seconda traccia presente sulla prima facciata del microsolco). A parte l’iniziale “Forecast” a firma Louis Jordan (pianista in questo set), tutte le altre tracce nascevano dalla fluida mente compositiva di Gigi Gryce, altoista di talento, spesso apprezzato come comprimario di lusso e prolifico autore di vaglia, ma del tutto sconosciuto alla moltitudine.
Ottimo il line-up: Art Farmer alla tromba, Gigi Gryce al sassofono alto, Duke Jordan al pianoforte, Addison Farmer al contrabbasso e Philly Joe Jones alla batteria. L’album restituisce all’ascolto, ancora oggi, un suono attualissimo e non convenzionale rispetto all’hard-bop del periodo; le progressioni armoniche sono originalissime, il blues ed il swing classico sono ridisegnati attraverso le dinamiche del soul-jazz a tinte funky, dove i due strumenti a fiato dettano il tempo e le regole, spesso con riff veloci e taglienti; il classico flusso bop viene deviato su un percorso meno canonico e spostato su un terreno più avventuroso: c’è voglia di sperimentare e di scardinare la classica forma di una composizione a 32 bar.
“Art Farmer Quintet Featuring Gigi Gryce” è un album privo di standard facili ed ammiccanti, riproposti per puro piacere virtuosistico o intrattenitivo, ma si sostanzia come un vero lavoro autorale di ricerca che punta su sei splendide composizioni originali, animate dal demone della creatività. Ad esempio, l’opener, “Forecast” è un hard-bop fagliente, intriso di linee funkified, veloci e sfuggenti, la cui progressione genera un happening coinvolgente a tutti i livelli, sia fisico che mentale. “Evening In Casablanca” poggia su una melodia accattivante, dilatata nella struttura e dal vago sapore cinematografico: durante l’ascolto la suggestione rimanda al celebre film. “Nica’s Tempo”, scioglie molto zucchero nell’alcool, ma con un procedimento insolito rispetto alla costruzione di una ballata mid-range tipica degli ambienti bop, soprattutto il pianoforte di Jordan riesce a stabilire e dettare nuove regole d’ingaggio.
La B-Side si apre con “Satellite” che tenta di riprendere il tema ed il mood dell’iniziale “Forecast”. La seconda traccia della facciata, “Sans Souci” è la vera chicca dell’album, il facile gioco melodico, sia pur non banale, rendono il brano accattivante ed immediato con Gigi Gryce che ricorda il miglior Charlie Parker, ma con una migliore quadratura armonica e Art Farmer che nella seconda parte si produce in un assolo da manuale in sordina. L’album si conclude con “Shabozz”, un ottimo esempio di hard-bob latineggiante, a tratti swinger, bagnato nel sudore del funk ed asciugato dal fuoco del soul. La sezione ritmica per tutto l’album non perde un colpo. “Art Farmer Quintet Featuring Gigi Gryce” è davvero un must have, che cosa aspettate a cercarlo?