// di Guido MIchelone //

Esistono LP e CD che ‘traducano’ in musica una qualsivoglia teoria del jazz o altre teorie, filosofiche, religiose, sociali, eccetera? Di certo no, benché esitano lavori che rappresentano il pensiero complesso del proprio autore in merito alla civiltà musicale afroamericana. Di queste opere ‘autoreferenziali’ è costallata l’evolversi e l’espandersi del jazz fin dalle origini, sebbene siano la modernità e il presente a favorire maggiormente creazioni ad hoc.


Esiste tuttavia un grandissimo precedente che è simboleggiato da Black, Brown and Beige un esteso lavoro scritto da Duke Ellington, presumibilmente tra il 1942 e il 1943, per il suo primo concerto, avvenuto nella newyorchese Carnegie Hall, il 23 gennaio 1943. Ellington introduce questa sontuosa composizione, poco prima di eseguirla in pubblico, come “un parallelo alla storia dei negri in America”; si tratta di un evento particolarissimo, giacché, fino a quel momento, risulta la composizione più lunga, complessa e ambiziosa di Ellington e forse dell’intera storia jazzistica, anche se di recente si scopre che negli anni Venti pianisti come James P. Johnson vantano addirittura ambizioni classiche, scrivendo persino partiture sinfoniche (rimaste nel cassetto per decenni).

Il tre colori rimandano ad altrettanti movimenti, proprio come in un lavoro classico: il primo Black (Nero), è diviso in tre parti: Work Song, la canzone di lavoro degli schiavi, Come Sunday, uno spiritual che inneggia alla domenica; Light, come una luce di speranza. Anche il secondo movimento consta di tre parti, giacché Brown (Marrone) offre via via West Indian Influence nota anche come Danza delle Indie Occidentali; Emancipation Celebration, poi rielaborato come Lighter Attitude); e The Blues, l’unico pezzo cantato, in riferimento alla prima grande forma vocalica afroamericana. Beidge (Nocciola o Marroncino) raffigura sempre gli afroamericani, ma degli anni Venti, Trenta, fino alla seconda guerra mondiale (all’epoca dall’andamento incerto), secondo le note che Leonard Feather scrive per la ristampa su vinile nel 1977 della performance originale.

Lo studioso Irving Townsend – estensore delle liner notes della susseguente versione – scopre che B, B, & B – come spesso è chiamata – viene eseguita in anteprima alla Rye High School nella contea di Westchester (New York) il 22 gennaio 1943,ossia a meno di 24 ore dal debutto, per essere successivamente presentata alla Symphony Hall di Boston il 28 gennaio, senza mai alcun altro seguito, nonostante una rilettura stereo su LP per la Columbia nel 1958, con la partecipazione della cantante gospel Mahalia Jackson. Dal 1943 in poi il Duca non suona più, dal vivo, per intero , Black Brown And Beidge; ma ad esempio al concerto dell’11 dicembre 1943 sempre alla Carnegie Hall, Ellington comunica una cosa importante.

Pensavamo – dice – di non suonarlo tutto completo stasera, perché rappresenta una storia terribilmente lunga e importante di cui, anch’io, dubito che molte persone ne conoscano la storia. Questa (West Indian Influence) è quella che dedichiamo ai settecento negri venuti da Haiti per salvare Savannah durante la guerra rivoluzionaria“. Il riferimento va ai Chasseurs-Volontaires de Saint-Domingue (prima e unica repubblica nera nelle Americhe). Diverse altre selezioni appaiono nella serie di trasmissioni radio per il Dipartimento del Tesoro nel 1945 e nel 1946. Come Sunday e The Bluesfanno parte dello spettacolo My People(1963) per celebrare il centesimo anniversario della proclamazione di emancipazione, mentre Black viene addirittura eseguita alla Casa Bianca il 14 giugno 1965.

Per tanti studiosi infine la progressione dei tre colori, dallo scuro al chiaro, metaforizza, per Ellington, la lenta metamorfosi delle varie razze ed etnie presenti negli Stati Uniti, con gli ex schiavi che si mescolano via via agli ex padroni sino a formare un futuro inedito meticciato né bianco né nero, appunto beidge, termine intraducibile (il più vicino appare ‘nocciola) per indicare un marrone ‘slavato’ o un bianco ‘sporco’.

PS: Ho postato la copertina della versione posteriore per il semplice fatto che il disco che ho della suite originaria è nell’antologia I GRANDI DEL JAZZ di Franco Fayenz (2 lp) e poco attraente per calamitare l’attenzione su quest’opera e su Duke Ellington.