// di Bounty Miller //
Il mondo del jazz non è stato mai ospitale con le donne in qualità di musiciste, compositrici ed arrangiatrici: si contano sulla punta delle dita; per contro l’ambiente jazzistico ha sempre offerto una spalla alle cantanti pure e, nell’arco delle centenaria storia del jazz, l’elenco sarebbe lunghissimo.
Patrice Rushen, un fenomeno dotato di un’ampiezza musicale non comune, lega il suo nome al jazz soprattutto nella parte erigenda della sua carriera, quando ancora adolescente firmò il suo primo contratto con la Prestige. Un impegno durato poco più di tre anni, dal quale dal pianista si divincolò presto poiché abbacinata da un più interessante contratto con la Elektra, una delle tre consociate WEA (Warner, Electra, Atlantic), che la instradò sul più redditizio terreno del R&B cantato e da airplay radiofonico.
Siamo alla fine degli anni ’70 ed il jazz si muove in varie direzioni, subendo scippi e contaminazioni a vari livelli; se per molti colleghi uomini la lotta per la sopravvivenza e le difficoltà furono tante, salvo espatriare nel Nord Europa, per una giovane donna, per quanto pianista superdotata e promessa sposa al jazz sin dalla tenera età, gli impedimenti e le incomprensioni dovettero apparire insormontabili. La Rushen aveva iniziato a suonare all’età di tre anni e giovanissima aveva firmato, come già detto, per Prestige, reclutando un peso massimo come Joe Henderson proprio per l’album di debutto, “Prelusion”. La pianista cresciuta a pane e jazz, non poteva immaginare che nel 1974, anno del suo esordio, le classifiche cominciassero ad infittirsi di dischi funk, R&B, fusion, mentre il pulsare della disco-music cominciava a modificare il paesaggio urbano della scena afro-americana.
L’universo jazz, specie quello legato agli artisti di colore, iniziò ad assorbire tutti questi elementi. Quando Patrice Rushen passò all’etichetta Elektra nel 1978, dedicandosi ad un sofisticato soul urbano con una certa inclinazione per le piste da ballo, non era sola: molte stelle del jazz, come Herbie Hancock, Donald Byrd, Roy Ayers e George Benson, avevano già attraversato la linea di confine. “Herbie Hancock è stato uno dei primi musicisti con cui mi sono completamente identificata”, dichiarò, tempo dopo, la Rushen, “per la sua tecnica, la produzione tonale, il senso dell’armonia e la struttura collaborativa che si poteva sempre percepire nei suoi lavori. Herbie ha sempre lasciato uno spazio aperto nella sua musica per essere in grado di rispondere e fronteggiare qualsiasi nuova situazione gli si presentasse”.
Dopo aver suonato nel 1975 in “Upon The Wings Of Music” di Jean Luc Ponty, il violinista fu così preso dalla sua abilità esecutiva che l’avrebbe voluta nella band per il tour, ma lei non accettò su consiglio dei genitori che la sollecitarono a finire prima università. “La sensibilità di Patrice, le improvvisazioni e il suo modo di gestire i cambi di accordi erano perfetti per la mia musica”, ricordò in seguito il violinista, “Inoltre, stava sperimentando tutte le nuove tastiere dell’epoca, dimostrando un’intelligenza musicale non comune. Era una grande lettrice di spartito a vista e poteva gestire arrangiamenti complessi con tempi dispari. Ma il suo modo di suonare non era solo intellettuale, era capace di andare in quella dimensione successiva, che è l’approccio emotivo alla musica”. Ad esempio, l’agilità della Rushen con i sintetizzatori e il piano elettrico, avendola vista dal vivo non posso che confermare, ha fatto si che album come “Heritage” di Eddie Henderson del 1976 assurgessero allo status di classico.
Quando nell’agosto del 1974 Patrice Rushen registrò presso i Fantasy Studios di Berkeley l’album di debutto, “Prelusion”, il jazz strumentale era il suo obiettivo principale e c’erano tutte le ragioni per credere che sarebbe diventata una figura importante in tale ambito. Nello specifico il disco è una sorta di post-bop straight-ahead con riferimenti alla fusion e fu realizzato con il supporto di alcuni solisti di rango: il sassofonista tenore Joe Henderson, il trombonista George Bohanon e il trombettista Oscar Brashear, con l’aggiunta di Tony Dumas al basso elettrico, Leon “Ndugu” Chancler alla batteria e Kenneth Nash alle percussioni.
Suonando sia il piano acustico che le tastiere elettriche, la Rushen non nasconde l’influenza di Herbie Hancock anche nelle sue composizioni originali come l’iniziale “Shortie’s Portion”,dove la pressione dei fiati delimita subito un’ambientazione funkfied, intensificata dall’acidula e lisergica progressione delle tastiere e da una ritmica percussiva che non lascia scampo, aprendo una prateria al veloce e zampillante incedere pianistico della Rushen, pronta ad incontrare sul terreno di battaglia gli agguerritissimi sodali: Joe Henderson si produce in serpeggiante assolo ad alta combustione, seguito dalla tromba fiammante di Oscar Brashear.. “7/73”, in cui si possono scorgere echi del tardo McCoy Tyner, è una lunga progressione pianistica, completata dalla retroguardia ritmica; a parte un ricamo di flauto ed qualche intarsio di trombone, i fiati sono quasi in stand-by.
“Haw-Right Now” è un post bop a schema libero, screziato di funk, quasi un tributo alle atmosfere urban-street di “Head Hunters”, ma, al contempo, ricorda alcune soluzioni del Keith Jarrett più “americano”.. “Traverse”, con i suoi 10 minuti e 53 secondi, è un sacro peana al più tradizionale pianismo jazz di alta scuola, declinato sotto forma di ballata dai contrafforti lirici molto accentuati, così come la conclusiva “Puttered Bopcorn”, a cui tutti gli altri strumenti, fiati compresi, fanno da contorno o sono propedeutici al cambio di passo e di mood. Poco meno che ventenne, Patrice Rushen, scrive, compone, dirige, elaborando armonie dai colori mutevoli ed intricati, oscuri ed evocativi arrangiamenti che rivelarono una maturità ed una forte affinità, come già sottolineato, con Herbie Hancock, soprattutto nell’uso dei fiati.
La Rushen, già all’epoca, era geneticamente un’improvvisatrice attraente e sopraffina ed oggi, ex-post, non è difficile immaginare dove la sua carriera jazzistica avrebbe potuto arrivare. Per i cultori del jazz mainstream sono da tenere in considerazione anche “Before the Dawn” del 1975 e “Shout It Out” del 1977, pubblicati sempre dalla Prestige.
