JAN GARBAREK / BOBO STENSON QUARTET – “DANSERE”, 1976 (ECM)

// di Francesco Cataldo Verrina //

Jan Garbarek è stato per lungo tempo gregario, spalla e controfigura di Keith Jarrett, dal quale ha appreso l’arte di creare una struttura sonora coerente e razionale nell’ambito di quel jazz-no-jazz, molto caro alla scuola europea del Nord. Per alcuni critici di parte il suo sassofono, il tenore in particolare, ha avuto sempre un suono distintivo, per altri difettoso e carente, rispetto ai “soffiatori” americani. Nell’opera di Jarrett il confronto con Dewey Redman risulta inevitabile ed a tutto vantaggio di quest’ultimo. In talune circostanze Garbareck ha provato qualche sortita alla Coltrane, tentando di riciclarne alcuni dettagli virtuosistici, ma non ha mai raggiunto neppure lo score di Michael Brecker, per quanto sia riuscito a raccogliere consensi tra gli epigoni del sax come Chris Potter.

In un contesto limitatamente europeo, all’interno di un certo perimetro, Garbarek si staglia comunque come una figura importante rispetto ad una folta pletora di replicanti. A prescindere dalla varie scuole di pensiero, possiamo affermare, senza tema di smentita, che uno stile Garbarek esista e che sia facilmente individuabile. Oggi non è difficile ascoltare, anche in Italia, sassofonisti di vario livello, divisi tra Oslo e New York, tentare ibridazioni stilistiche alquanto discutibili o rincorrere sogni di cittadinanza musicale scandinava onoraria. Buona parte del lavoro di Garbarek degli anni ’70 è un tentativo di riprodurre in vitro certe atmosfere vicine ai dischi di Jarrett, ma non è mai stata impresa facile, e si capisce il perché: Jarrett o Jarrett, tertium non datur!

Registrato nel novembre del 1975 al Talent studio di Oslo e pubblicato dall’ECM nel 1976, “Dansere” celebra il tono acuto e quasi bramoso del tenore di Garbarek, come risulta evidente nella title-track. L’alleanza con il pianista Bobo Stenson tenta di offuscare il ricordo di Jarrett, finendo per andare per altre vie, ma nonostante Stenson non sia un superbo pianista a due mani come Keith Jarrett, garantisce costantemente l’elemento sorpresa. L’album pur essendo alquanto “garbato” e piacevole non esprime nulla di rivoluzionario, di sicuro un Garbarek al top della sua forma mentis, non ci sono anelli deboli: siamo in presenza di un quartetto intento a sovvertire il tema del tema, attraverso assoli, come qualsiasi altra band; per contro “Dansere” è anche attraversato da una sorta di placida grazia che affiora senza fretta.

Si procede in maniera rilassata, riportando in auge l’uso dello spazio, sempre importante nella musica di Garbarek. Parliamo di un team, in massima parte assai rodato, dove il bassista Palle Danielsson e Jon Christensen alla batteria sono in grado di sostenere il gioco di squadra attraverso un oleato meccanismo ritmico. Garbarek è in grande spolvero, più come esecutore che compositore, qui risulta vagamente irregolare e meno concept del solito, ma le interazioni tra gli strumenti sono intense. Alcuni elementi di diversità, con assoli più aspri ed acuminati, sono presenti sulla prima facciata, a differenza di un B-side dove i suoni descrivono il paesaggio e la luce delle terre nordiche.

Sebbene il disco non disponga di una perfetta omogeneità, requisito non necessario, ma richiesto dai cultori di questo genere, i quattro musicisti si accordano magnificamente e Garbarek, come sempre, è completamente originale ed immediatamente identificabile. “Dansere” contiene quasi tutte composizioni del sassofonista, tranne una da lui arrangiata. In esse Garbarek attinge, per la prima volta, alla tradizione folcloristica della nativa Norvegia. Un ulteriore percorso artistico da parte del sassofonista verso quelle sonorità che evocano l’atmosfera della Scandinavia, attraverso un tranquillo gioco elegiaco, fatto di pathos e malinconia. Secondo alcuni, Garbarek potrebbe essere considerato, dopo Django Reinhardt, il musicista jazz europeo più importante di tutti i tempi. Ai posteri l’ardua sentenza.

Jan Garbarek, 1971