Charles Mingus – «Mingus Mingus Mingus Mingus», 1963

Se dovessimo dare una definizione di jazz, in relazione ad un personaggio come Charles Mingus, potremmo affermare, senza tema di smentita, che il jazz sia la musica dell’inquietudine. Ed ora calatevi una una suggestiva dimensione quasi cinematografica.

Sono le quattro del mattino, il contrabbassista di Nogales ha appena concluso le sessioni di quello che sarà da molti indicato come uno dei suoi capolavori, se non il capolavoro assoluto della sua discografia, «The Black Saint and the Sinner Lady». I musicisti che avevano preso parte alla registrazione si erano dileguati rapidamente: una pomeriggio ed una notte sul set con il «boss» era una sorta di esercizio snervante, di certo non era quasi mai una passeggiata agevole e spensierata. Mingus era rimasto da solo con la sua inseparabile compagna: l’inquietudine. In verità, con lui c’era un certo Mike, un factotum che lo accompagnava spesso. Montati in macchina, dopo poco, i due si fermano per magiare qualcosa ad una tavola calda, il classico fast-food americano, quelli che restano sempre aperti anche di notte.

Nel locale ci sono pochi avventori, Mingus ha lo sguardo perso nel vuoto, non parla, ma sta rimuginando qualcosa. Forse non è soddisfatto della registrazione, quasi mai lo era: i ripensamenti affiorano alla sua mente come le onde di un mare in tempesta. Qualcosa, però, gli frulla in testa. Poco tempo dopo, organizzò un focoso blitz stile big band rielaborando alcuni classici del repertorio con titoli diversi. «Goodbye Pork Pie Hat», presente in «Mingus Ah Um» venne ribattezzato «Theme per Lester Young», dove il superbo assolo di tenore di Booker Ervin entra di diritto nella storia del jazz moderno, mentre “Haitian Fight Song» da «Plus Max Roach» e «The Clown» diventa per l’occasione «II B.S.»

In effetti «Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus» avrebbe dovuto essere il primo di un serie di album pianificati per la Impulse! Sull’onda lunga di «The Black Saint and the Sinner Lady», sulle cui note di copertina l’inquieto contrabbassista aveva scritto che i suoi ascoltatori avrebbero potuto buttare via tutti i dischi precedenti poiché stava per «registrarli nuovamente per questa etichetta nel modo in cui avrebbero dovuto realmente suonare», ma il progetto naufrago con l’album successivo sempre del 1963. Mingus era intenzionato «ridefinire» se stesso e la sua musica, quando entrò in studio per «Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus», ma non riusci a mantenere le promesse con l’insolito «Mingus Plays Piano: Spontaneous Compositions and Improvisations», lasciando spaesati i suoi sostenitori , i quali non immaginavano che quello sarebbe stato il modo in cui la musica del nuovo Mingus avrebbe dovuto suonare. La rappresentazione scenica fu quella di un artista confuso e crepuscolare, anche perché «Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus» lo aveva celebrato come il degno erede di Ellington, mentre il passo successivo ne avrebbe segnato il declino fisico e mentale ed un periodo di letargo dal 1963 al 1970.

«Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus» presenta i due lati del genio compositivo del contrabbassista: quello più intimo, a cui si aggiunge un tocco da film noir, insieme alla sua aura più gioiosa e ottimista dove le sequenze sonore sono la risultante di un caos organizzato, quei momento in cui sembra che tutto possa andare in frantumi, eppure non succede mai, al contrario il fiume della musica continua a fluire, mentre tutti i sodali toccano le «corde giuste» al momento giusto: Charlie Mariano in «Celia» suona il sax contralto in modo sensuale, alla maniera di Johnny Hodges alla corte di Duke Ellington, mentre le linee contorte di Eric Dolphy intensificano e ingrossano la portata di «Hora Decubitus», assumendo un tono di sacralità in «Better Git It in Your Soul», «IX Love» contiene una sezione di «Open Letter to Duke» ma in parte è una rielaborazione di «Nouroog» da «A Modern Jazz Symposium of Music and Poetry», mentre il nuovo arrangiamento alla Ellington di «Mood Indigo» non passa inosservato.

I miglioramenti risultano significativi rispetto alle versioni precedenti, con un ensemble che offre una performance più articolata ed enfatica. E’ assai evidente, quasi in tutte le tracce, come lo spettro visivo e creativo di Mingus si fosse ampliato, come il nuovo line-up e la produzione di Bob Thiele facessero impallidire alcuni lavori precedente. Mingus stava ovviamente incorporando i nuovi assunti e le nuove istanze di libertà della struttura sonora proclamate dalla New Thing e dal free-form. Il jazz è un processo in continua evoluzione, un elemento di transizione un dipinto mai finito, una primavera sempre in fioritura. Anche quando tutto sembrava messo a punto, ognuno aveva riposto lo strumento tornando a casa, all’alba l’insonne capitano, seduto al tavolo di un locale scelto a caso lungo la statale con tre scatole di nastri reel-to-reel a fianco, si era fermato a riflettere davanti ad una tazza di caffè ed un boccone divorato in fretta, fissando il nulla fuori dalla finestra mentre il sole stava per sorgere.

Si potrebbe pensare che l’uomo in genere dovrebbe essere contento del completamento di una sua avventura o di aver appena consegnato ai posteri un’altra opera immortale, ma non Charles Mingus. Quella notte aveva ancora in mente qualcosa di molto importanti per quel gruppo di lavoro, semplicemente non sapeva cosa fosse. Noi l’abbiamo scoperto più tardi con un altro capolavoro: «Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus». Quella notte, però un sentimento inquietante ed indefinito avrebbe perseguitarlo il contrabbassista; cercò di scrollarselo di dosso, lasciando cadere qualche spicciolo sul tavolo e svanendo nei primi barbagli dell’aurora, ma forse avvertiva che non tutti i sogni e desideri si sarebbero avverati. «Mingus, Mingus, Mingus, Mingus, Mingus» è stata l’ultima importante registrazione degli anni ’60 in studio del genio di Nogales e costituisce un vero scrigno di gemme preziose all’interno della sua lunga discografia. «Mingus Plays Piano», uscito subito dopo, fu solo una deriva, l’inizio di un tracollo compositivo e di un lungo coma creativo durato molti anni.