// di Francesco Cataldo Verrina //

Horace Silver ha rappresentato il jazz con l’anima, “il grande ritmo dei treni neri” con la vaporiera sempre a tutta manetta, l’uomo al comando che trasportava il popolo del blues su un convoglio a base di funk-bebop, con esecuzioni brucianti di soul e sempre in volata. Horace Ward Martin Tavares Silva, questo il suo vero nome, è stato uno dei personaggi più rappresentativi dell’hard-bop, prima con i Messengers di Art Blakey, con cui inizialmente divideva la leadership, quindi protagonista di una lunga carriera come band-leader.

“Blowin’ The Blues Away” è un disco bifronte a due velocità, eseguito in trio su due tracce e quattro in quintetto, nonché registrato in due sezioni separate: la prima il 29 e il 30 agosto del 1959, la seconda il 13 settembre. Il pianista si alterna alla guida a tre o a cinque marce, pur potendo contare sulla squadra di sempre, quella storica e più affiatata al suo fianco: Junior Cook sax tenore, Blue Mitchell tromba, Gene Taylor contrabbasso, Louis Hayes batteria. In tutti i formati, Silver riusce ad esprimersi da eccelso solista, generando una forte propulsione alle spalle della linea frontale, quando arretra per garantire un comping perfetto ed impeccabile. “Blowin ‘the Blues Away” è uno degli elaborati più riusciti di Horace Silver in casa Blue Note, forte di sei composizioni originali; un album che segna l’apice del quintetto classico al pari di “Song for My Father” e Horace Silver & The Jazz Messengers.

Il ritmo dell’album è impeccabile, si va a martello e si rallenta con un paio di placidi intermezzi, tanto da consentire a tutti di riprendere fiato, ascoltatore incluso. Il ventaglio di sensazioni e variazioni tematiche offerte è assai ricco. Tra i tanti, due brani spiccano per intensità: “Peace”, una bollente e seducente ballata e “Sister Sadie”, basato sul Vangelo, un concentrato di swing, dove la band, di tanto in tanto, suona all’unisono prima che l’uno o l’altro dei solisti abbia una breve voce in capitolo. Entrambe saranno destinate a diventare degli standard del repertorio di Silver, al pari della title-track, “Blowin’ The Blues Away”. “Melancholy Mood” è una case-study per piano trio, sviluppato con il solo accompagnamento di Hayes e Taylor, dove i ripetuti cambi di ritmo lento sono magicamente lirici con qualche martellata alla Monk e una melodia mercuriale, che tracciano una delle più riuscite rappresentazioni dell’estetica silveriana. Della stessa pasta è fatta anche la frenetica “The St.Vitus dance” (il ballo si San Vito), un esempio di piano trio ad alta combustione sonora.

L’esotismo e l’amore per le terre lontane affiorano, ma senza oleografia caricaturale e turistica, in “Baghdad Blues”, un bop up-tempo insanguato da una mistura di soul-blues metropolitano, dal groove funkoide e calato in gran bazar di suoni. “Break City” è frutto della tipica economia a forte impatto di casa Silver con la band ai massimi livelli di tensione, dove l’esuberanza totale diventa un diktat non derogabile. “Blowin ‘the Blues Away” è uno dei cardini della lunga discografia di Silver, che, specie in questa elegante edizione della Jazz Images, diventa un prezioso supporto per ogni collezionista o appassionato che si rispetti.

Horace Silver