// di Bounty Miller //

John Surman – “With Holding Pattern”,1985

Un bel giorno, decido di mettere questo album su uno dei miei giradischi. Ero contento, pensavo ai molti amici del gruppo che, ascoltandolo, avrebbero mimato l’atto sessuale, io invece cominciai ad avere, dopo appena un minuto della prima traccia “Doxology”, un crisi respiratoria. Urlai a squarcia gola: ho il Covid, presto! Mia moglie irruppe nello studio con il mattarello, non sarà per caso colpa di uno di quei dischi dell’ECM! Se ne porti un altro in casa mia, non ti metto più il Viagra nel ragù di maiale! Intanto, sotto la puntina, scivolava la seconda traccia: “Changes Of Season”. Dissi a mia moglie, aspettiamo i cambi di stagioni. Li abbiamo fatti, esclamò lei con tono militaresco. Intanto io mi ritrovo a ballare sulle punte come la Carla Fracci dei tempi migliori, accompagnato da un piffero campagnolo strozzato in gola.

Non volevo crederci, pensavo a quanti andavano in estasi ascoltando dischi del genere, ma neppure l’arrivo di “All Cat’s Whiskers and Bee’s Kness”, mi tirò fuori dall’impasse. “Tutti i baffi del gatto e le ginocchia delle api”, andai ancora più i confusione, mentre una musichetta da cartoni animati, mi faceva pensare più a Gatto Silvestro che al jazz. Con l’arrivo di “Holding Pattern I”, vengo colto da un brivido di paura, ho la sensazione di essere trascinato in un film horror, vedevo zombies dappertutto, mentre una musica metronomica, monocorde e monotematica mi riportava alla mente le colonne sonore di Geaorge A. Romero.

Giro il disco per tentare una via di fuga, ma inizio a scivolare, il ghiaccio è troppo sottile e rischio di sprofondare, peso 120 chili senza la tara dello smartphone e dell’anello da mammasantissima che porto al mignolo, “Skating On A Thin Ice” sarebbe stata un trappola mortale, senza contare che il successivo “The Snooper” che, simulava il rumore di un trapano, avrebbe bucherellato la lastra ghiacciata, dandomi in pasto ai pesci. Arrivai idealmente a riva, tutto stremato e con un principio di otite da Black&Decker, mentre alle mie spalle, un grosso gatto selvaggio con gli occhi da vichingo, si era divorato tutto il blues trasformandolo in baccalà alla livornese. “Wildcat Blues” possedeva qualcosa di diabolico, piansi come un protagonista di “c’è posta per te”.

Mentre le note conclusive di “Holding Pattern II” grattavano i woofer del mio impianto, mi ritrovai stordito su una panchina e senza un soldo in tasca, mi avevano rubato anche i documenti. Non sapevo più chi ero e perché mi fosse toccata quella sorte. Mia moglie mi recuperò dopo una settimana, mentre insegnavo il norvegese ai turisti coreani. Per punizione, la mia arcigna consorte mi fece ascoltare tutti i dischi Ciro Melody, emergente neo-melodico partenopeo col il maggior numero di CD venduti di contrabbando.

Da leggere sorridendo