// di Marcello Marinelli //

Pesco a casaccio tra i miei innumerevoli CD e LP sperando, quando non ho un’idea precisa di quello che voglio sentire, che il caso si integri con la mia atmosfera mentale e che l’ambientazione sonora di adatti a quella mentale. La scelta del caso si inserisce alla perfezione in questa domenica di giugno nuvolosa. Marc Johnson , il contrabbassista dell’ultimo trio di Bill Evans ci regala un bel disco dalle venature molto più country che jazz, ma quando ci sono musicisti del calibro, di Marc Johnson, Bill Frisell, Pat Metheny e Joey Baron anche la musica popolare country assurge ad opera d’arte.

Ricordavo che non era un album jazz in senso stretto e prima di scriverci sopra ho controllato con inquietudine alla casa discografica pensando fosse l’ECM, in quel caso non avrei avuto coraggio di pubblicarlo, con sollievo ho visto che non era l’ECM ma la Verve a pubblicare il disco e mi sono fatto coraggio, si fa per scherzare. A me non è mai piaciuto il country, perché l’ho sempre associato, ad un’idea d’America lontana dal mio sentire musicale e non. Un America di campagna, bianca, razzista, reazionaria, l’altra faccia dell’America. Memorabile ed esilarante, a proposito, il concerto dei Blues Brothers, dell’omonimo film di culto, in locale del Midwest che esordiscono con un brano R’n’B e vengono bersagliati dal lancio di bottiglie che si infrangono sulla rete metallica a protezione della loro incolumità e allora per compiacere gli avventori del locale intonano una canzone Country. Intriso di luoghi comini e di pregiudizio sulla musica country era questa la mia idea sul genere.

Marc Johnson

Nessun mondo è un monolite e nessun genere non ha contatti con alti generi e anche la musica country, musica folk americana bianca, nel corso della storia ha avuto modo di contaminarsi. Detto questo, per ovvi motivo di tempo e di interesse non ho mai approfondito il genere e i suoi sottogeneri e mai lo farò, ma quando ascolto dischi come questo, oppure di Bill Frisell, geniale chitarrista di confine, o di Pat Metheny nelle sue ballate acustiche anche il famigerato Country non mi è indigesto, anzi mi “gusta mucho”. Nel disco il jazz comunemente inteso fa capolino in “Union pacific”, e il nome traduce il concetto, unione pacifica tra i generi e concediamocela un’unione pacifica almeno per il tempo del CD.

Che ne è del jazz negli altri pezzi del CD? Qui entriamo nel campo dell’insondabile della sensibilità individuale. Io lo percepisco nel background sonoro, nel retrogusto musicale, nelle raffinate armonizzazioni, nel pedigree dei musicisti, lo “sento”, ma non voglio allargare coattivamente la mia sensibilità agli altri, né pretendo unanimità di giudizio, dico semplicemente la mia su come percepisco la Musica e allora visto che L’America, terra di grande contraddizioni, di forti lacerazioni, di contrasti stridenti ci presenta il conto con la sua, a volte, tragica attualità, trovo conforto e per i cinque minuti del pezzo composto da Marc Johnson e Eliane Elias, sua consorte, mi immagino di stare in un posto tranquillo (In a quiet place) e godo di questa tranquillità momentanea .