// di Francesco Cataldo Verrina //
A volte un disco, ossia un insieme di canzoni ben legate l’una all’altra da un un concept sonoro e testuale, può diventare una rappresentazione scenica dell’esistenza umana, che pur partendo da una dimensione individuale e singolare, può trasformarsi in qualcosa di plurale ed universale. Se c’è qualcosa che accomuna gli essere umani sono le gioie, la paturnie, il riso, il pianto, la delusione, l’illusione, l’amore, il sogno, la rabbia, e tutti qui sentimenti a gradazione variabile che possono essere raccontati attraverso le canzoni. “Per Aspera ad Astra” di Daniela Spalletta è un dispenser di stati emozionali a getto continuo, un racconto aspro e pungente dell’esistenza umana, diluito nel sangue delle emozioni ed inciso sulla carne viva dei sentimenti, sostenuto da una liricità perforante, che attraversa i confini di un semplice pensiero o di una sensazione occasionale.
La descrizione della stessa cantautrice-compositrice è alquanto eloquente: “Al mattino presto, seduta nel grande albero, saluto la notte, che ha la forma di ciò che non ha forma, la dimora primordiale, dove il mondo infinito è stabilito senza fine. Al mattino presto, ai piedi del monte viola, rendo grazie per la fiamma dell’amore che brilla nel mio cuore. Che dà la beatitudine della coscienza e danza con i fenicotteri e gli aironi, nel ventre liquido del lago. Al mattino presto, e nel suo giorno, rendo grazie per l’amore che sono, per l’amore che è nella mia vita e per l’amore che mi circonda. Entro nel suo prisma ovale e mi immergo nell’infinito presente, dove ogni cosa è, e nulla è invano. Il passato non è più, il futuro non è ancora. Dove sono ora? Sono qui, ora”. In fondo “Per Aspera ad Astra” è un antico adagio latino che indica il raggiungimento di una dimensione ottimale passando tra le difficoltà e le sofferenze, dove, attraverso una vita irta di difficoltà, chiunque può raggiungere un eremo ideale fatto di pace e serenità.
Il disco propone questo percorso attraverso un cammino polisensoriale, fondendo a caldo differenti stili ed linguaggi musicali: world music, rock, fusion, pop, electronic, contemporary jazz. Nell’architettura sonora del progetto trova spazio una sezione d’archi, la TRP Studio Orchestra, con effetto diluente, ma l’asse portante è costituito da una solida sezione ritmica, il trio Urban Fabula, Seby Burgio, Alberto Fidone, Peppe Tringali, forte di un consolidata conoscenza, affinata in più di dieci anni di collaborazioni e di sinergia artistica, a cui si aggiunge la chitarra di Jani Moder estremamente flessibile ed in grado di diventare descrittiva alla medesima stregua del cantato ed in perenne dialogo con la voce della protagonista: “In questo intreccio” – dice la Spalletta – “la mia voce è stata la guida, che mi ha condotto durante la composizione: ora quale strumento lirico ed estremamente melodico, ora in linee più nervose e ostiche, più propriamente strumentali (…) Alberto Fidone: oltre a suonare il contrabbasso e il basso elettrico, ha curato la direzione dell’orchestra d’archi ed ha prodotto il progetto, insieme a me e a Riccardo Samperi, ingegnere del suono e “quinto uomo del quartetto”, un elemento fondamentale nella definizione del suono di questo disco”.
L’album è giocato su una perfetta coesione strumentale fra le varie sezioni che grantiscono un agile sviluppo della melodia e delle liriche. Da sottolineare che non sempre, nei brani, la melodia è sostenuta da un testo; tuttavia, laddove è presente, esso ne costituisce il punto nevralgico e funge da armonizzatore degli elementi musicali e sonsoriali. Il testo di Yasam, ad esempio, in lingua turca, prende spunto da un passo della poesia “Alla vita” di Nazim Hikmet, che recita: “Prendila sul serio (la vita) ma sul serio a tal punto che a settant’anni pianterai un olivo, non perché resti ai tuoi figli, ma perché non crederai alla morte e la vita peserà di più sulla bilancia”. Dunque, “Per Aspera ad Astra” è un perfetto amalgama di stili, un album contenente dodici schegge di vita provenienti dall’incontenibile vena compositiva di Daniela Spalletta, racchiusi in una sorta di diario ideale che copre un ampio arco spazio-temporale esposto come un itinerario a tappe. Si parte con uno sguardo iniziale, “Up”, rivolto al cielo, verso un riferimento quasi trascendentale che consente di attraversare agevolmente i territori più impervi come “Heal me” e “Coiled in a bondage”, mentre “Samsara” è un’immersione nelle più recondite ed abissali profondità dell’anima, quasi un precipitare nel buio dell’esistenza, propedeutico, però, alla risalita di “The Gift” che apre uno spiraglio di luce, tanto che con “Power Flow-er” riemerge un flusso di energia vitale, grazie alla meditazione.
